Io Sono Santippe 3

Questo articolo è stato scritto e pubblicato da Nerina Piras.

Sono Santippe, sono Ateniese, mi sono sposata con Socrate quando lui aveva già 50 abbiamo avuto tre figli.

Sono nata in un periodo storico a me non congeniale, qui le donne sono tutte sottomesse ai mariti, devono ubbidienza assoluta, il mondo è maschile.

Io sento di essere diversa, sento di avere una mente, un carattere, un’indole non incline all’ubbidienza

Vivere con un uomo come Socrate è difficile, lui ama molto discutere e ragionare della vita, il più delle volte lo trovo in piazza con i giovani, che lo seguono molto.

Per me è difficile stargli dietro quando lui parla, sinceramente non riesco a capirlo, mi sento lontana da lui ed ho paura che anche lui si senta lontano da me.

Non riesco a tenere un discorso con lui perché non mi sento all’altezza.

Però sono orgogliosa di lui e ne sono innamorata, quando lui parla anche io a volte ne resto affascinata ma anche intimorita ed è per non soccombere a questa insicurezza che a volte reagisco in maniera irrazionale. per questo forse mi faccio prendere dalla rabbia e sfogo su di lui i miei malumori e la mia inferiorità anche se ci sono altre persone con noi.

Quando ho questi scatti di rabbia vedo negli occhi della gente perplessità e sento che loro mi vedono come una strega bisbetica, ma io non lo sono, mi sento solo come una donna fuori dal tempo che vive, e, che vorrebbe un uomo più presente nella vita familiare.

Fortuna vuole che Socrate sia buono, infatti, anche se viviamo in un mondo maschile lui non mi ha mai picchiata anzi quando sono furiosa mi fa sfogare senza mai interrompermi, ma per quanto sia buono non sopporto il suo modo di vivere

Sono una donna e come tale mi piacerebbe indossare bei vestiti, ricevere ospiti con decoro, lui è esattamente il contrario. Invita ospiti anche importanti ma non si preoccupa mai di sapere se ho abbastanza cibo da mettere in tavola.

Sfido qualsiasi donna a mantenere la pazienza.

Gli voglio bene, e quando lo hanno messo in prigione ho pianto tanto, mi sono disperata, mi sono strappata i capelli, mi sono percossa per il dolore di perderlo.

Il giorno prima della sua morte, ero nella sua cella, lui teneva in braccio nostro figlio più piccolo, uno strazio per me, ma più doloroso è stato quando sono arrivati i suoi discepoli, mi mandò a casa, così da passare gli ultimi attimi della sua vita con loro e non con me che ero sua moglie. Quello che mi fa rabbia, e mi fa male, è sapere che avrebbe potuto avere salva la vita se si fosse proclamato colpevole, ma coerente con le sue idee rifiutò, così fu condannato a bere la cicuta dal tribunale popolare dandosi una morte onorevole, ma…lasciando la sua famiglia nell’indigenza

Giordania 2006

Questo articolo è stato scritto e pubblicato da Nerina Piras.

Quando ho intrapreso il mio viaggio in Giordania già lavoravo all’università di Roma Tre e avevo conosciuto tante persone, tra cui Gabriella che lavorava al Miur, a quei tempi, si chiamava MIUR ed era il Ministero dell’università per questo motivo avevamo modo di incontrarci parlare e diventare amiche. A quei tempi ero separata avevo un figlio adolescente, ma per quanto potessi voler la bella vita e anche se lavoravo e non ero indigente però non potevo scialare con lo stipendio.

Amavo però viaggiare, conoscere altre culture, anche perché lavoravo nell’ufficio degli studenti stranieri e la mia curiosità di vedere il mondo era messa a dura.

Quando parlando del più e del meno Gabriella mi propose un viaggio in Giordania, mi lasciò con un forte desiderio. Solo che costava parecchio questo viaggio, pertanto ci pensai un bel po’ prima di decidermi.

Chiedi a consiglio alle mie amiche colleghe che lavoravano lì è proprio Paola mi disse “Non ti fare mancare questa opportunità, non perdere questa occasione che nella vita ogni lasciata è persa se devi fare un piccolo sacrificio fallo ma non ti far mancare questo viaggio”

Così ci pensai bene anche avevo appena finito di leggere i rotoli del Mar Morto scritto da Baigent Michael e Richard Leigh e la curiosità di conoscere quei luoghi e i manoscritti stessi mi portarono a fare la scelta giusta, sarei andata a visitare quei posti che tanto mi avevano intrigato con questo libro.

Così chiesi un piccolo prestito e partecipai a questa avventura. Fu proprio un’avventura, tutto bello e incredibile, a cominciare dall’albergo dove alloggiavamo.

Occupavamo la stanza in tre io Gabriella e la sua amica Maria, con Gabriella non ebbi mai problemi si andava abbastanza d’accordo ma questa Maria mi dava un po’ di angoscia la trovavo negativa era sempre depressa, eravamo in viaggio e invece di essere contenta aveva sempre il broncio. Che palle! Ma visto che ero in vacanza pensai ma chi se ne frega

Il viaggio era ben organizzato ci portarono in tanti posti, uno di questi fu proprio il Mar Morto, ci proibirono di fare il bagno in quanto l’acqua era talmente salata che ci avrebbe potuto rovinare gli occhi, lì non dimoravano i pesci, per questo motivo e proprio per questo era chiamato Mar Morto, però la vista era bellissima, non rinunciammo a fare i famosi fanghi.

Una di queste spedizioni fu andare nel deserto rosso chiamato Wadi Rum, con una camionetta jeep in testa avevamo un foulard alla loro moda, per evitare la sabbia sia negli occhi che nei capelli, ma che divertimento, ma che bello, ci portarono a prendere il tè in un villaggio beduino, sinceramente avevo un po’ senso a bere quel te ma ormai ero in ballo e dovevo provare di tutto, le persone che incontrammo erano di una gentilezza incredibile.

Un altro bel sito dove ci portarono su alla Cittadella, sembrava di essere tornata a Roma nei fori imperiali, incredibile il Tempio di Ercole, il teatro, ho saputo poi che la cittadella era sorta sui sette colli come Roma.

Quando invece andammo a visitare Petra ricordo che rimasi sconvolta da tanta bellezza, passammo per un tratto tra due montagne come se fosse un canyon, poi all’improvviso questo tempio completamente rosa baciato dal sole da rimanere storditi dalla sua bellezza, un incanto, bisogna vederlo per capire quanta emozione può trasmettere, il bello che cambia colore nelle varie ore della giornata.

Ma credo che l’emozione più grande l’ho avuta quando siamo andati al museo archeologico, lì erano i famosi rotoli di Qumran, sono rimasta senza parole poi ho preso la macchina fotografica e di nascosto li ho fotografati, solo che mi hanno visto e sono stata sgridata, ma intanto la foto l’avevo fatta. Questo libro aveva lasciato in me un forte turbamento, in quanto parlava dei primi anni della vita di Gesù, ed erano rotoli che non essendo stati manomessi da ebrei o da cristiani poi, raccontavano la sua vera vita.

Naturalmente ci prepararono una serata in albergo, l’ultimo giorno per salutarci ci vestimmo bene con cura per fare una bella figura finale.

Devo dire che non mi sono mai pentita di aver fatto un debito per poter partire, è stato uno dei più bei viaggi che ho intrapreso.

Fortuna

Questo articolo è stato scritto e pubblicato da Nerina Piras.

La Fortuna cos’è la fortuna? ti si chiede: sei una persona fortunata?

Ci rifletto un po’ e la risposta è sicuramente sì …perché?

Beh, per parlare della fortuna bisogna andare indietro nel tempo, ripassare la propria esistenza, analizzarla,

Intanto sono fortunata perchè esisto, poi perchè sono nata in Italia, questo paese bellissimo, con un clima invidiabile, con delle città favolose, ogni angolo d’Italia è un piccolo capolavoro, ma sono fortunata perchè oltretutto sono nata a Roma, questa città favolosa, incantatrice, antica e nuova allo stesso tempo, con tanta storia, tanto verde tanta umanità ma anche tanta modernità.

Immagino la mia vita in un altro paese, magari in quei luoghi dove le donne sono sottomesse e devono camminare ad un passo dietro i loro uomini, o sono costrette a portare il velo o addirittura il burka, non riesco a pensare a questa vita per me che sono così piena di vitalità di colore e indipendenza, questa è per me una grande grande fortuna.

Non sono romana di sette generazioni, infatti i miei genitori erano sardi, quindi emigranti, venuti nella grande città a trovare fortuna, quella fortuna che forse loro non hanno trovato.

Al principio quando mio padre era ancora vivo e lavorava, le cose per loro non erano poi catastrofiche, era in grado di provvedere al sostentamento della sua famiglia formata da ben cinque figli, io unica femmina ero la terzultima, cocca di papà sicuramente, peccato lo ricordo poco, infatti si ammala e muore quando io avevo nove anni.

Ho dei ricordi confusi di lui, ma secondo la mia visione di vita lo reputo ora con il senno del poi, un perdente, un debole, anche perchè mia madre era tutt’altra persona, con un carattere forte, una generalessa direi, si chiamava Anita come la compagna/moglie di Garibaldi, e rispecchiava in pieno il temperamento forte ed energico.

Non so se andassero d’accordo o meno, ricordo che mio padre beveva, fortuna che non era un violento, ma come ho appena detto era un debole, ricordo negli sprazzi di memoria che lo incitavo a non bere, ma…quando si è alcolisti è difficile senza aiuto uscirne fuori, e lui non ne uscì ma morì giovane, aveva solo 46 anni lasciando una moglie vedova, bella e giovane da sola a provvedere ad una famiglia numerosa, composta da 4 maschi da educare ed una bambina da crescere.

Forse è per questo che mia madre è diventata per me una generalessa, ora lo capisco, ma quando si è adolescenti …si pensa solo a sé stessi.

Questa donna Anita, mia madre si deve rimboccare le maniche, non avendo mai lavorato in vita sua, mai studiato, deve così trovare una soluzione a questa famiglia da sfamare, due dei miei fratelli, purtroppo per loro vanno in collegio, il più grande si spera provveda e faccia un po’ da capofamiglia, io sono solo una bambina, per questo non mi tocca il collegio né al fratello più piccolo che per me diventa il mio bambolotto, mio figlio, mio tutto.

Cresco in un ambiente di borgata, ci sono tanti pericoli, e già posso parlare della mia prima FORTUNA, di essere passata indenne ai mille pericoli che questo comporta. Comunque, non mi sentivo a mio agio in questo ambiente.

La seconda FORTUNA, come almeno io la reputo è di essere nata dopo la guerra, quindi di non aver vissuto quell’incubo, quella devastazione, quella paura delle bombe in ogni momento, di scappare appena ascolti il suono delle sirene.

Sono nata negli anni 50 quando appena appena la vita ritorna, le persone provano a ricostruire, pertanto ancora miseria ma non fame.

Questa è l’infanzia, non ricca ma serena fino a quando mio padre vive, poi gli stenti, ma da bambina non ti accorgi, in fondo intorno a te le persone comuni soffrono le stesse carenze, pertanto pensi che la vita sia questa, e ancora non nasce in me la ribellione.

Piccoli sentori di ribellione nascono appena compio 13 anni, sono una piccola donna, mia madre si vive a Roma da tanto tempo, ma la sua mentalità è rimasta in quel paese sperduto della Sardegna, e cosa pretende da me? sei una femmina devi sposarti presto e intanto servire i tuoi fratelli….

…Ecco questa frase sarà l’inizio di tutto…per prima cosa rimpiango di essere “femmina”, secondo inizio a provare invidia per “il pene”, lo voglio anche io come i miei fratelli, perchè sono diversa? non mi sembra giusto…e mi ribello…

Questa ribellione porterà a vari conflitti con mia madre e con i miei fratelli, ma cresco con la convinzione di fuggire da questa casa e da questa situazione che vuole imprigionarmi.

Lascio la scuola, perchè non amo studiare e stare ferma in un luogo, sono troppo frenetica, troppo indisciplinata, in casa si ha bisogno di denaro, inizia la consapevolezza della mia povertà.

Il mio primo lavoro è stato fare la commessa per la moglie del mio medico di casa, un incubo, percepivo 3000 lire a settimana che non mi bastavano nemmeno per comperarmi un paio di calze, la boutique era bella per persone ricche, ogni abito costava quanto la mia paga di un anno, tutto questo lusso mi intimidiva, la padrona senza scrupoli mi teneva nel negozio anche oltre l’orario di lavoro a volte nemmeno pranzavo.

INGIUSTIZIA

Sapevo di subire un’ingiustizia, ma non sapevo che fare come ribellarmi.

La mia voglia di scappare dalla borgata cresce assieme a me…sento che devo fare qualcosa, intanto inizio ad apprezzare la lettura, mi regalano un libro “Piccole donne”, sarà il mio inizio, da allora non ho mai smesso di leggere, di sognare assieme ai personaggi del libro, questa è stata la mia prima vera FORTUNA, leggere è ancora la mia vita, ma andiamo per ordine.

Con la disapprovazione di mia madre trovo un lavoro in “Fabbrica” come camiciaia. Lei non vuole perchè pensa che sia un luogo di perdizione per una ragazza di 18 anni, non mi interessa, voglio guadagnare di più, voglio comperarmi le calze se si rompono, questa la primaria motivazione, ma la verità è che voglio scappare dalla borgata, inizio a volere una vita più decente.

La mia passione dei libri diventa frenetica e questo mi porta a sognare in grande a voler volare più in alto, non posso accontentarmi…la vita non è questa i libri mi dicono altro.

Sarà proprio in fabbrica che si svilupperà in me la ribellione vera, quella che già stava sconvolgendo il mondo, negli anni 60 c’era stata una ripresa dell’economia un boom, che noi in casa nostra non abbiamo percepito, ma si arriva poi agli anni 70, sono già una donna, e la consapevolezza delle ingiustizie del mondo mi fanno aprire ancora di più gli occhi

La percepisco in casa, ma al lavoro è anche peggio, uomini e donne che svolgono lo stesso lavoro, vengono pagati in modo differente, perché???

Questa disparità mi farà fare le lotte sindacali e politiche e perchè no anche femministe…saranno anni di lotte per i diritti umani, per le pari opportunità delle donne. arriverò ad occupare una fabbrica, arriverò a vedere come un “padrone ” che si sente anche padrone delle nostre vite spararci per ostacolare la nostra lotta.

Vedrò l’arroganza di questa gente che gioca sulla pelle degli operai pur di guadagnare.

Ma poi anche le lotte sindacali finiscono quando sopraggiunge l’amore, poi il matrimonio, poi il figlio.

Si rientra nei ruoli donna, casa, massaia, madre.

La vita sembra scorrere tranquilla, ma non è così.

Ora sembra che la FORTUNA qui non c’entri più, invece è sempre presente, perchè ogni volta che la vita ti presenta una grande prova e pensi di non riuscire a superarla, ti presenta anche una grande opportunità o FORTUNA.

Il mio matrimonio fallisce, ho voglia di separarmi, sarà una dura lotta che durerà per tanti anni, forse succube di questo uomo che mi domina, non riesco a ribellarmi, fino a che non scopro aprendo questi occhi bendati il tradimento, è il momento di uscire fuori da questo incubo.

Ma …mentre decido di volermi separare la fabbrica ci mette tutte in Cassa integrazione” Oddio che disperazione…come fare? senza lavoro è impossibile uscire di casa, ho un figlio da mantenere.

Ma come dicevo prima le disgrazie peggiori diventano opportunità e FORTUNA a vederla con il senno del poi…

Infatti, con i soldi della cassa integrazione finalmente prendo la mia vita e cerco quel miglioramento che volevo, inizio a studiare veramente, prendo il diploma, mi iscrivo ad un corso di dattilografia, ad un corso di inglese ad un corso di computer, cerco lavoro e trovo “la segretaria volante”, vengo apprezzata, cresco, sto finalmente volando…. ma.

Mi arriva una proposta di lavoro dal Comune di Roma, mi devo presentare il tale giorno alla tale ora per iniziare un lavoro da “bidella ” presso la tale scuola.

Panico….è una bella proposta? è una FORTUNA? o non mi interessa? ho bisogno di lavoro, non posso rifiutare, panico ….

In famiglia felici, sei contenta? finalmente torni al lavoro, contenta? ma io ero contenta di fare “la segretaria volante” è questo che voglio anche se è precario, ci sto mettendo tutta la mia volontà perchè questo si avveri ed ora dovrei rinunciare a tutto? a tutti i miei sogni? non so che fare.

Mi spingono ad andare al colloquio, io resisto e poi chiamo Elena, lei sa tutto di me, le racconto quello che mi sta succedendo…le sue prime parole: ” ma sei matta ad accettare”?

Parole che entrano nel cuore, profondamente, e mi danno la consapevolezza di quello che voglio.

NON ACCETTO

Nuovo dramma in famiglia, nuovi litigi, ma questa volta ho alzato la testa, e da allora non l’ho più abbassata.

Decido io della mia vita

Intanto continuo ad essere in Cassa integrazione e a svolgere lavoretti in nero…se mi beccano sono dolori!!!! ma io devo farcela!

Questi lavori mi danno molto, imparo a comportarmi, a lavorare, a svolgere questo lavoro con passione, con amore.

Ecco l’altra FORTUNA, non avere accettato di lavorare per il comune di Roma. Mi chiamano a lavorare per i Lavori Socialmente Utili, per un solo periodo di tempo all’Università di Roma Tre appena Costituita, come “operatrice di computer”, ricordo che il Pc era uno strumento appena nato e in quell’ufficio ero la sola a saperlo usare, pertanto mi diedero il ruolo di “segretaria ” del capo della segreteria studenti.

Inizia qui la seconda FORTUNA e crescita della mia vita, il capo apprezza molto il mio lavoro, fino ad assegnarmi la responsabilità di un ufficio quello “degli studenti Stranieri”, ho un po’ di timore, troppi cambiamenti tutti assieme, ho paura di non farcela, parlo con il capo e cerco di rifiutare, ma lui è irremovibile, mi fa capire che sono perfettamente in grado di svolgere questo lavoro visto che già lo stavo facendo.

Si sono FORTUNATA, anche se dico sempre che un po’ di FORTUNA ce la dobbiamo cercare e guadagnare.

All’università mi assumono con contratto definitivo ma per fare questo devo rinunciare al mio ruolo di “operatrice di pc” e farmi assumere come “usciere” che ironia, però la responsabilità non me la tolgono anzi la mia carriera va avanti anche se il mio ruolo non lo rappresenta.

Intanto la mia voglia di conoscenza cresce assieme alla mia carriera, non mi basta più leggere libri fini a sé stessi ma voglio una conoscenza più concreta, mi iscrivo all’Università, mi sarebbe piaciuto fare archeologia, ma il mio lavoro mi impegnava molto, andare per musei o per scavi sarebbe stato troppo, così scendo a compromessi e mi iscrivo a Lettere e filosofia come storica “”Storia contemporanea”

Anche questo è stato un percorso difficile, tanto che spesso pensavo di rinunciare, ma tanta ormai la voglia di finire che arrivo anche alla sospirata Laurea

La FORTUNA mi arride, sono veramente fortunata.

Se mi guardo indietro mi accorgo di aver fatto dei passi da gigante.

È l’incontro con il Buddismo la mia PIU’ grande Fortuna dopo quella della nascita di mio figlio,

Il buddismo mi darà talmente tanta serenità pace, amore, amicizia, casa, che ancora oggi ringrazio le persone che per prime mi hanno parlato di questa pratica.

Ho raggiunto obiettivi che pensavo impossibile, anche se ho lottato e ottenuto comunque tante cose belle il buddhismo ha accelerato tutto ciò che oggi io posseggo.

Grazie alla pratica Buddhista ho ottenuto benefici grandi come la mia prima casa comperata a Setteville.

E cosa ancora più bella ho incontrato il mio nuovo marito, avevo come obiettivo di incontrare l’anima gemella, visto che anche se frequentavo qualcuno, nessuno aveva fatto battere il mio cuore tanto da desiderare di sposarmi di nuovo.

Infatti, ora sono sposata con un uomo di Milano abbiamo una famiglia allargata, lui ha tre figli, io ne ho uno che vive a Roma,

Il grande di Rino, mio marito, ci ha donato la gioia della prima nipote Asia che andiamo a trovare ogni tre mesi su a Milano, cresce che è una meraviglia, ora ha sette anni una donnina, e per coronare la mia FORTUNA anche mio figlio mi ha dato la gioia di un nipote Manuel

SONO UNA PERSONA FORTUNATA

Anche se la vita mi ha dato molti dolori, molte angosce e molte lotte da affrontare, trovo che tutte le mie sofferenze sono servite a fare di me quella che sono.

Ora sono una donna matura supero i 68 anni, ma la mia voglia di vivere non è ancora venuta meno.

Sono in pensione e godo ogni giorno di questa libertà dal lavoro e dagli impegni fissi, frequento la palestra, faccio volontariato in due luoghi, seguo le mie amiche/compagne di fede, nel buddismo che continua a regalarmi soddisfazioni, ed ora mi sono iscritta ad un corso di teatro.

La vita è bella, se la sai vedere dalla giusta prospettiva, se non ti lamenti delle prove che devi affrontare, ma le accetti come una crescita interiore.

Questa in breve, molto in breve è stata la mia vita, segnata si dai dolori, dai molti lutti, dalle sofferenze per amore, ma sempre visti come opportunità.

questa è la vita, gioie e dolori ci sono per tutti ma una forte fede e le amicizie giuste ti fanno dire la vita è bella ed io sono molto FORTUNATA

Diego E Le Oche

Questo articolo è stato scritto e pubblicato da Nerina Piras

C’era una volta un bambino chiamato Diego di sette anni, che amava molto andare al parco con gli amici per dondolarsi con l’altalena e fare anche tutti gli altri giochi.

Lui vive a Santa Marinella è libero e felice.

Ma un brutto giorno recandosi al solito parco pieno di giochi, lo trova chiuso e dentro ci sono tante oche che starnazzano, fanno un tale baccano che lui si spaventa e le guarda impotente.

Vorrebbe aprire il cancello che lo separa dal suo amato parco, ma ha paura delle oche, ha paura che lo becchino, e poi pensa che se apre il cancello quelle scappano e lui non vuole che finiscano sotto le macchine.

Pensa e ripensa, si mette l’abito di Spider man, così si trasformerà in un super eroe e riuscirà a trovare una soluzione.

Chiama a raccolta tutti i suoi amici rimasti anche loro basiti da questa chiusura e, loro camminando, lui saltando come spider man, decidono di cercare per il paese un terreno libero dove si possa ricostruire un altro parco.

Trovano un piccolo spazio e decidono di costruirlo li, Diego tesse la sua ragnatela e con essa forma il recinto, gli altri ragazzi cercano tanta terra per poter piantare gli alberi, così potranno rimettere l’altalena e lasciarsi dondolare di nuovo. altri ragazzi vanno a prendere l’acqua dal mare lì vicino e costruiscono una piscina per poter poi fare un bagno quando farà più caldo.

Tutto bello, ma l’uomo nero che aveva chiuso i cancelli del loro parco e vi aveva messo le oche, li stava a spiare e decide che nessun bambino doveva più essere felice, non dovevano più giocare nei parchi e in nessun altro posto e non dovevano più andare a scuola.

Infatti chiuse tutte le scuole e i bambini disperati, separati tra di loro, piangevano lacrime amare.

Così separati non potendo comunicare tra di loro erano senza futuro né speranza.

Ma l’uomo nero non aveva calcolato la volontà, la voglia di stare ancora insieme e la loro intelligenza,

Così Diego si rivestì con la tuta di Spider man e tesse una lunga ragnatela, tanto lunga da raggiungere tutti i suoi compagni di scuola e di gioco, si sentirono finalmente uniti e cercarono insieme una soluzione, riuscirono anche a studiare nonostante la lontananza, poi sempre Diego costruì con i barattoli del pomodoro vuoti della mamma e con la ragnatela un telefono per poter parlare tra di loro senza che nessuno li poteva disturbare, riuscirono a parlare anche con Franco che viveva a Civitavecchia.

Si scambiarono le idee, decisero di lasciar perdere il nuovo parco ma di riscattare quello che loro già avevano.

Formarono un gruppo unito per combattere l’uomo nero che non voleva che i bambini crescessero liberi e felici.

Così un giorno, tutti insieme facendosi coraggio a vicenda entrarono dentro il parco dove c’erano le oche e fecero amicizia con loro.

Le oche riconoscendo l’innocenza e la bontà dei bimbi non li beccarono.

Così quando entrò l’uomo nero che voleva picchiarli e cacciarli via , fu circondato dai bimbi che fecero un gran girotondo attorno a lui,  cantando e ridendo come solo i bambini sanno fare.

L’uomo si spaventò e scappò a gambe levate, lasciando finalmente liberi i bambini di essere bambini.

Messico

Questo articolo è stato scritto e pubblicato da Nerina Piras

Cara Anna,

ecco che sono di già di nuovo a scriverti, sono appena arrivata a Città del Messico, era questo il mio punto di destinazione dove devo svolgere questi lavori di volontariato.

Ti ho scritto subito appena arrivata qui perchè tu naturalmente non potevi rispondere alla mia lettera precedente, infatti la stavo scrivendo poco prima di partire e non avevo ancora l’indirizzo di arrivo da comunicarti o dell’albergo dove avrei soggiornato.

Per questo motivo ti riscrivo di nuovo, vorrà dire che ti troverai due lettere che ti perverranno assieme.

Spero almeno che ti faccia piacere, perché come ti avevo già accennato l’altra volta in questo viaggio ti racconterò effettivamente tutte le bellezze che incontrerò in questo magnifico stato.

Sono in Città del Messico, la capitale, ed è forse la città più caotica, più variopinta, più piena di allegria e umanità, dal centro che è bellissimo con la sua cattedrale metropolitana costruita dai Conquistadores spagnoli e il Palazzo nazionale dove nel suo interno sono custoditi gli storici murales di Diego Rivera * (nota)

Ora non voglio annoiarti con chi è questo Diego Rivera, ma voglio raccontarti la mia entrata in questa cattedrale e la sensazione che ho provato davanti a questa magnificenza, non ti parlerò della bellezza, quella la puoi immaginare anzi spero che tu un giorno la possa ammirare con i tuoi occhi.

 Quello di cui voglio parlarti è la sensazione che  ho avuto entrando dentro, era quasi buio si vedeva appena solo da parte di spiragli che pervenivano dai finestroni , c’era tanta gente raccolta in preghiera, è stato un momento mio di raccoglimento , anche se è vero che non sono cristiana ma pratico la filosofia buddista, come tu già sai, però in quel luogo così magico ho sentito dentro tutta la magia del luogo, mi sono guardata intorno e ho visto nei volti delle persone chi una lacrima, chi una preghiera, chi solo il silenzio pieno di rumore.

In quel magico momento sarei voluta entrare dentro l’anima delle persone che erano lì, mi sarebbe piaciuto sondare i loro pensieri, le loro preoccupazioni, e capire cosa li muoveva, cosa cercavano in quella solitudine, cosa chiedevano a Dio, come pregavano il loro Dio in quell’immensità di quella cattedrale così bella e così imponente.

Naturalmente le mie domande sono rimaste senza risposta, non potevo certo fermare le persone e chiedere cosa passasse per la loro mente, cosa desideravano, che cosa si aspettavano dalla vita, così alla fine sono uscita quasi trasognata da questo incontro con la cattedrale così bella.

Uscita fuori sono stata abbagliata dalla luce del sole e ho continuato a guardare la gente, perché in fondo è quello che a me interessa, tanto è vero che il mio desiderio è andare nell’interland di questa città dove sorge la vita vera con le sue “favelas” e i suoi “barrios” pieni di umanità, questa città è la più densamente popolata ed è posta così in alto che si trova a ben 2.250 Kilometri

Naturalmente i miei amici collaboratori non vogliono mai portarmi in quei luoghi, la volta scorsa non sono riuscita. questa volta farò in modo di andare, anche se effettivamente ho un po’ di paura.

Devi sapere che fuori del blindato paradiso borghese, le “favelas”sono separate da un alto muro, così che queste due realtà non entrano quasi mai in contatto. Ed è interessante sapere di questa una grande contraddizione dove ci sono i ricchissimi residenti e più di 60milioni di poveri che vivono al margine in questi “Slum”, dove il degrado e la delinquenza regna sovrana.

Certo solo per visitare questa città con i suoi più attrattivi luoghi ci vorrebbe un mese intero, che io non ho.

Sicuramente farò una visita al Museo di Antropologia, dove si trovano i manufatti Maya e tanto altro, poi non vorrò perdere il Castello di Chapultepec, qui si trova il museo della storia, di cui sono appassionata.

Non so se riuscirò a tornare alla Piramide del Sole, il tempo è avaro.

Per quanto riguarda la temperatura, qui è gradevole, per fortuna qui il giaccone non lo porto mai solo la sera magari un piccolo maglioncino ci vuole ma non mi lamento, anche perché non sono capitata quando la piovosità è maggiore, ma come tutti i posti abitati dall’uomo anche qui hanno rovinato l’ecosistema iniziando dai laghi e con essa tutta la fauna lacustre. Mi raccontano che sono spariti anche i cervi, peccato!

Ma il male peggiore è stato l’accrescere dell’attività industriale, rendendo il Messico una delle più regioni contaminate del pianeta.

Mi farebbe piacere sapere se tutte queste notizie ti annoieranno, mi aspetto da te una lettera di risposta per sapere cosa ne pensi di tutti i miei scritti.

Io amo il Messico con la sua storia anche se cruda dove ci sono i primi indizi addirittura dal 9.500 al 7000 AC. con grande fioritura di villaggi. La sua decadenza e pertanto il suo sviluppo terminò con la conquista spagnola.

Per ora mi fermo qui, ti mando il mio indirizzo e il numero di telefono anche se spero in una tua missiva così potrò leggerla nei momenti di riposo.

L’albergo che mi ospita è molto bello e confortevole, ti mando alcune foto dove potrai ammirare ogni luogo che incontro, la bellezza di questa città.

Un caro saluto Marisa

*Diego Rivera nato a Guanajuato, 8 dicembre 1886 – Città del Messico, morto 24 novembre 1957, è stato un pittore e muralista messicano di ideologia comunista, famoso per la tematica politica e sociale delle sue opere realizzate in gran parte in edifici pubblici, soprattutto nel centro storico di Città del Messico (Epopea del popolo messicano, 1929).

Partenza

Questo articolo è stato scritto e pubblicato da Nerina Piras

Cara Anna, eccomi di nuovo qui a scrivere una lettera, ho ricevuto la tua.

Pensare che in questi tempi così tecnologici ci scriviamo ancora lettere è quasi impensabile, con tutti i mezzi di comunicazione che abbiamo, come l’e-mail per esempio o come WhatsApp.

Questa volta ho deciso di scriverti di nuovo perché sono in partenza, quindi non volevo chiamarti e salutarti con una semplice telefonata, Ciao ci vediamo tra poco.

Ti spiego, questo mio viaggio è dovuto per motivi di lavoro, beh non proprio di lavoro, diciamo, come ti avevo già accennato che faccio parte di una associazione di volontariato, sono stata inviata come supervisore in Messico.

Dici, in Messico cosa c’entra? Sai lì ci sono molti dei nostri collaboratori, con cui ci aiutiamo a scambiare le problematiche che occorrono volta per volta, ecco il motivo di questo viaggio.

Sono molto contenta di partire anche se ero già stata in Messico, trovo questo paese affascinante.

Questa lettera nasce dal desiderio di condividere con te le mie conoscenze per quanto riguarda l’aiuto a tuo figlio come ti avevo promesso.

Volevo però parlarti anche del buddismo, notando in te una certa curiosità, per questo sono entusiasta di farti conoscere questa filosofia che a me ha cambiato la vita. Parlartene per me è un momento di gioia, volevo trasmetterti quanta serenità mi ha portato.

Come ti avevo già detto, ho voluto scriverti questa lettera per non lasciarci con un semplice saluto, ma desidero che ti rimanga uno scritto di me, non perché non torni più, anche se so che questo sarà un viaggio molto lungo.

Qui dovrò parlare con tante persone, sforzarmi di parlare in spagnolo, questa lingua che ho appena imparato, forse tu non lo sai ma sono stata sei mesi a scuola per apprenderla, è una lingua musicale e anche se è vero che ormai capisco quasi tutto, non ho comunque la sua padronanza, comunque ci proverò e ti racconterò quante brutte figure farò, scherzo dai!

Non scherzo quando ti dico che ti racconterò questo viaggio passo per passo, non dico che ti farò il resoconto, ma ti parlerò di questi magnifici posti che io ho già conosciuto e visitato.

Ti parlerò della Piramide del Sole, dove tempo fa la visitai come turista, e come turista, mi ricordo che la scalai.

Questa Piramide con la sua cima inarrivabile, era così a precipizio che avevo una gran fifa di cadere, però il desiderio e la voglia di arrivare fin lassù e di toccare con mano quello che io sapevo essere in cima, l’energia del “Sole”.

Si arrivai fino alla fine, toccai con mano il punto cruciale, con il fiatone, con la lingua di fuori, con le gambe che tremavano per lo sforzo, per la stanchezza di arrivare fin lassù, ma con la soddisfazione grande, sapendo che prima di affrontare il percorso della filosofia del buddismo, ero stata un’adoratrice del sole.

Per questo motivo era una meta da raggiungere, lo ricordo ancora con piacere era stato bellissimo caricata di energia ho ammirato il panorama che si vedeva da lassù.

Questa Piramide si trova nel distretto di Teotihuacan ed è il più grande edificio dell’intera Mesoamerica.

Anche il suo nome è romantico “Piramide del sole”” gli fu dato dagli aztechi che riscoprirono questa città verso il 1000 dc.

Se te ne parlo tanto è perché spero che tu un giorno possa venire ad ammirarla con i tuoi occhi.

E così antico che gli Aztechi e i Toltechi vi si insediarono dopo la sua distruzione, è alta come quattro piani circa, ma la vista da lassù fa pensare veramente che lì nascano gli dèi.

Ma non vorrei annoiarti troppo con i miei racconti di questo luogo spettacolare, anche perché devo lasciarti, ora sta arrivando il mio aereo, ma non mancherò di raccontarti ancora dei luoghi che visiterò in questi giorni.

Sarai il mio diario di viaggio, poi quando tornerò mi farai sapere quanta noia ti abbiano provocato i miei racconti o se ti hanno alleviato le giornate.

Ora ti lascio sicuramente riceverai ancora lettera da me

tua amica Marisa

Ricordi Di Infanzia

Questo articolo è stato scritto e pubblicato da Nerina Piras

Cara Anna,

che gioia ricevere la tua lettera, ho tanto desiderio di rivederti, per ora non posso muovermi da casa, sono ancora convalescente e il mio amore mi sconsiglia le uscite e le visite, anche se il mio cuore anela a questo incontro, anche perchè tu non saresti una semplice visita ma saresti TU, la mia amica di sempre.

Nella tua risposta mi racconti della nostra gioventù, ma i miei ricordi sono ancora più antichi, ricordo i giochi di bimbe, ricordo i nostri sogni, quanto penso a te torno indietro nel tempo, e la nostalgia mi riempi l’anima, ricordo i nostri segreti di donne/bambine, dei piccoli amori, delle amicizie incontrate a scuola e nella via delle nostre case, perchè a quei tempi, ti ricordi? si giocava ancora per le vie della città, non c’erano macchine, né traffico, le strade appartenevano a noi bambini, tracciavamo le “campane” in mezzo alla via, e saltavamo alla corda, ogni tanto passava un auto, era un evento, non c’era smog, la città era la nostra.

I genitori ci chiamavano solo la sera per andare a cena, pertanto, restavamo fino a che non si faceva buio.

Quando penso a te ricordo tutto questo con gran serenità.

Ripenso anche ai sogni di noi ormai quasi donne che si sono trasformate in un incubo, almeno per me, ma dalla tua lettera, si evince che anche tu non hai avuto vita facile, non mi hai voluto raccontare nulla per lettera, per questo motivo non vedo l’ora di rivederti presto

Come sai io ti ho raccontato la mia, di come disperata e abbandonata ho tentato di togliermi la vita, tu mi rimproveri per questo, ma sai le persone come me a volte non si rendono conto che la vita è preziosa, ma pensano solo che l’unico modo che risolvere i problemi sia farla finita.

Ora mi rendo conto che è stata una decisione da vigliacchi, hai ragione quando dici che la vita è un bene prezioso e come tale va curata e protetta, ora ne sono consapevole, e come già ti avevo accennato anche grazie all’amore che ho incontrato, questo uomo, Francesco, non solo mi ha salvato la vita, ma ha fatto tornare il sorriso sul mio volto.

Sono rimasta sorpresa, invece quando mi dici che per te non è stato l’amore di un uomo a cambiare la vita, ma una “filosofia di vita” il buddismo mi hai incuriosito, non ne so nulla, mi piacerebbe approfondire, lo sai è da una vita che non prego, anche se appena risvegliata dall’incoscienza del mio gesto disperato, ho pensato di riavvicinarmi a Dio e al suo credo, ma evidentemente non ne sono così convinta per questo mi reputo Atea.

Non credo in nulla, anche perchè nel momento del bisogno, non ho avuto conforto nemmeno nella preghiera, ho provato qualche volta a recarmi in chiesa, ma sinceramente non è servito a nulla, per questo poi sono arrivata al gesto estremo di cui mi sono sicuramente pentita.

Mi pento di non aver lottato di più per me stessa, mi pento di non aver chiesto aiuto, nemmeno a te, mi pento di aver rinunciato a mio figlio, ora il mio grande rammarico.

Una speranza me l’hai accesa tu parlando della tua associazione, di quella che aiuta le persone in difficoltà, non ho ben capito se il “buddismo” aiuta le persone con gli “psicologi” o a farlo è la tua associazione di cui non mi hai detto il nome, comunque sia, questa volta sono qui a chiederti aiuto.

Vorrei ritrovare mio figlio, vorrei riallacciare con lui i rapporti, vorrei che capisse fino in fondo cosa mi è accaduto.

Non posso farlo ora, perchè Francesco, che è anche il mio medico, reputa che sono ancora molto fragile psicologicamente, ma ha promesso che appena starò meglio vorrà conoscerti e insieme a lui aiutarmi in questa nuova impresa.

Impresa di ricongiungermi con mio figlio, questo figlio perduto per ora.

Per farti capire cosa è successo, devo tornare indietro nel tempo.

Quando, come ti avevo già predetto, mi tolsero tutto, tutto anche lui, che poi è vissuto in casa della nonna, nonna che non faceva altro che parlare male di me, allontanandolo sempre di più, come se fossi stata io ad abbandonarlo, inoltre non avevo il denaro per poterlo mantenere, anzi a malapena riuscivo a sbarcare il lunario per me stessa.

Fosse stato solo questo… il dramma più grande questo ragazzo lo ha vissuto con la presenza di questo “padre malato” entrando nella testa di questo figlio avvelenandolo, contro di me ma anche contro il mondo.

Per ultimo e più grave è stato quando il padre ormai del tutto fuori di testa, decide di vendere la casa dove vive, andando a fare il “barbone” per la via, questa è stata la botta finale per lui.

Per me peggio sapere che anche mio figlio non aveva più una casa, uno sbandato anche lui, so che Giulio per questo motivo non si è più ripreso non riuscendo a capire il comportamento degli adulti che avrebbero dovuto proteggerlo e indicargli la via giusta.

Prima sua madre lo abbandona, andando via di casa, poi il padre vende casa e va a vivere come un barbone, cosa ci si può aspettare da un figlio che aveva tutto, una famiglia agiata, una nonna amorevole, che l’ha abbandonato al suo destino anche lei, cosa ci si può aspettare?

È già tanto che non sia finito nella stessa “malattia” del padre.

Vorrei tanto parlare con lui e spiegargli tutta la verità, ma non vuole incontrarmi, mi rifiuta, come pensa lo abbia fatto io.

Per questo sono ancora disperata, ma sono ancora troppo fragile per poterlo affrontare, devo riprendermi, solo quando sarò di nuovo padrona dei miei pensieri e della mia emotività, ti chiederò aiuto, e questa volta lo accetterò senza pensarci un attimo.

Farò esattamente quello che mi chiederai, e sarò umile nel chiederti l’aiuto di cui ho bisogno.

Con sempre tanto affetto Anna

Risposta Di Marisa

Questo articolo è stato scritto e pubblicato da Nerina Piras

Cara Anna, ho ricevuto la tua lettera, dopo tutto questo silenzio, sono rimasta stupita e sconvolta, da ciò che hai scritto e pertanto vissuto.

Sapevo che stavi attraversando un periodo buio, ma mai avrei immaginato fino a che punto.

Sai, ricordo noi due giovani donne, piene di belle speranze, di voglia di vivere, di amare, di essere amate, si ricordo bene Giulio, l’amico del mio futuro marito, Giorgio, ricordo i suoi riccioli neri, come li chiami tu, ricordo il suo sorriso affascinante, il suo sguardo, che in fondo mi inquietava sempre un po’; i suoi discorsi, strampalati, di filosofo mancato, ma te quei discorsi incantavano, lo vedevo bene!!

Peccato che tu non riuscivi a vedere quella parte malata che era in lui, per me così evidente!

E già tu ne eri innamorata pazza, eri incantata di questo ragazzo giovane e bello, pieno di sé e di parole …e pendevi dalle sue labbra.

Inutili i miei discorsi, per aprirti gli occhi, per farti vedere quello che tu non riuscivi a vedere, cioè che quei discorsi erano senza senso.

Ah l’amore, come li chiude gli occhi, cieca fino in fondo, da non riconoscere neanche l’evidenza, i pericoli a cui ti stavi lanciando.

Tu volevi Giulio e lo hai avuto, ma Francesca a che prezzo!

Ricordo bene anche quando comprasti l’abito da sposa, scelto non da te ma da tua suocera! Ma tu continuavi a non capire, mi sforzavo, ma niente, veramente cieca davanti a quest’amore per te così importante.

Ora con il senno del poi posso capire che ognuno di noi deve percorrere la propria strada, fare le proprie esperienze, anche se dolorose, ma più dolorose sono più ci rendono maturi, saggi e adulti.

Però se ripenso a quei tempi, ancora mi vengono i brividi…Lui aveva la casa che i suoi genitori gli avevano dato, ma era da ristrutturare…e tu pensasti bene di investire tutti i tuoi risparmi di una vita in quella casa, che giustamente pensavi il tuo nido d’amore.

Oh, Francesca, perchè non mi hai ascoltato almeno in quel momento! perchè non ti sei posta alcune domande, perchè non hai avuto nemmeno un piccolo dubbio?

Perchè non mi hai dato retto, perchè non hai dato retta ad una amica di sempre, quella che aveva condiviso con te le mille avventure di bimbe, di giochi, perchè non riconoscevi in me la persona che ti voleva bene e ti stava aprendo gli occhi?

Ma tu non volevi vedere, anzi mi avrai visto come un’invidiosa, una menagramo…ma io ti volevo e ti voglio bene.

Purtroppo per te, avevo ragione, i suoi parenti spocchiosi ti fecero da subito sentire come un’arrivista, come un’estranea.

E Giulio? cosa fece in quei frangenti per aiutarti? Nulla, riuscivi a vedere l’immaturo che era, il cocco di mamma, l’ozioso, ma forse era già troppo tardi, anzi era troppo tardi.

Vivevi nello stesso palazzo dei tuoi suoceri e cognate!!! Ahimè!

Che vita potevi aspettarti?

Sicuramente la fame e la solitudine!

Ricordo perfettamente, a quei tempi ancora ci frequentavamo, quando ti lamentasti di come ti trattavano e come non riuscivi a sbarcare il lunario.

Ma ancora cieca e sorda, hai fatto di testa tua, ancora una volta non ti sono servite le mie parole, i miei incoraggiamenti

Hai voluto provare a lavorare con lui, in un’impresa di commercio, questo ti fece onore, voler salvare il tuo matrimonio, era una nobile causa…ma avevi dimenticato che con la filosofia e le belle parole non si mangia.

Così anche quello fu un fallimento.

Ma la cosa peggiore fu il disprezzo dei suoi che avvaloravano così la tua inadeguatezza, senza mai supporre che il figliolo poteva sbagliare.

Tutte queste vicende le ricordo bene, così come ricordo la nascita del tuo bambino Gianni, ancora più bello del padre.

Ma i tuoi occhi invece di brillare per la gioia, erano tristi.

Poi ci siamo salutate, perse di vista, io sono partita, un’altra vita, altre avventure mi hanno portato lontano da te.

Ho sbagliato in quel momento, dovevo ascoltare la richiesta di aiuto muta dei tuoi occhi, però in quel momento non capii e mi allontanai da te.

Ora tu con questa lettera, mi hai fatto tornare nel nostro passato.

Mi hai sconvolta con il racconto di Giulio e della sua “malattia”, non immaginavo tanto, anche se capivo che qualcosa non andava!

Quello che mi ha sconvolto è la tua decisione di perdere la vita, la vita questo bene prezioso.

Sai devo confessarti, che anche io ho trascorso un periodo buio, ma questa è un’altra storia che ti racconterò in un altro momento. Quello che invece voglio trasmetterti è di come ne sono uscita dal tunnel della sofferenza, con quale forza e quali spinte hanno fatto di me la donna che ora sono!

Quella matura che guarda la vita con speranza, con gioia, e con tanta voglia di viverla.

Io non ho conosciuto un uomo che mi ha cambiato la vita ma una religione, ovvero una filosofia di vita “il Buddhismo”.

Ciò che mi ha dato forza sono le persone che lo praticano, le mie compagne di fede, la mia famiglia, perchè loro mi sono state vicine e mi hanno fatto vedere la preziosità della mia vita, la bellezza che è in ognuno di noi, per questo ora faccio parte di un’organizzazione di volontari, qui noi aiutiamo le persone che si trovano in difficoltà, specialmente donne maltrattate e picchiate dai loro mariti/compagni che giuravano di amarle per poi arrivare anche ad ucciderle.

Non tutte per fortuna, diventano vittime di femminicidio, molte di loro, anche grazie al nostro impegno e aiuto, riescono a trovare la forza di uscirne fuori, di rifarsi una vita, ritrovare sé stesse, la dignità distrutta.

Peccato cara, non aver ricevuto prima la tua lettera, sarei corsa da te per aiutarti con tutta la forza della nostra antica amicizia, che non è mai venuta meno, nonostante la lontananza.

Ho avuto comunque piacere di sapere alla fine della tua lettera, la speranza che alberga in te. Vorrei conoscere il tuo nuovo compagno, questa persona che ha saputo far tornare il tuo bel sorriso.

Ho ancora un po’ di dolore sapendo che hai tagliato i ponti con tuo figlio, ma non disperare, abbiamo tanti psicologi che potranno aiutarti a superare e tornare a ricongiungerti con lui, abbi fiducia.

Questa volta ti prego accetta il mio aiuto, percorreremo assieme questo ultimo tratto della nostra vita, che sarà piena di sorrisi e di amore…e poi ho tanto da raccontarti anche io, non lo farò in questa lettera, ma solo quando potrò riabbracciarti.

con grande affetto la tua sempre amica Marisa

Lettera Ad Un’Amica

Questo articolo è stato scritto e pubblicato da Nerina Piras

Cara Marisa, era tanto che volevo scriverti e darti mie notizie, so che mi hai cercata tanto, ma io non potevo, né raggiungerti telefonicamente, né personalmente, perché emotivamente ho trascorso un pessimo periodo, finalmente ora ho raggiunto una certa tranquillità, sono molto serena, per questo ho deciso di raccontarti la mia vicenda:

La mia storia con Giulio è finita miseramente tanto tempo fa ed ora posso raccontartela senza né angosce né tormenti.

Tu lo sai quanto ero innamorata di lui…ricordi quando 15 anni fai incontrai Giulio? Che bel ragazzo che era, così alto, con quei riccioli neri gli incorniciavano il viso, sembrava un angelo, io mi sentivo quasi insignificante al suo confronto e lo guardavo estasiata come se davvero fosse un angelo…poi il miracolo! Lui mi guardò, mi sorrise, si sorrise proprio a me! E il mio cuore da allora iniziò a battere per lui e non si fermò più.

E…ricordi? Tu eri con me quando mi comperai l’abito da sposa, ma ricordo anche le tue parole così fuori luogo in quel momento “non vorrai investire tutto il tuo denaro, la tua liquidazione, nel ristrutturare la casa di lui, non metterti completamente nelle sue mani, piuttosto ti suggerisco di vendere tutto e di riacquistare in un altro quartiere, lontano da suocere e cognate, lasciati un margine di indipendenza”

Io ridevo delle tue assurde paure, ma come mi dicevo “la mia migliore amica mi mette in guardia contro l’uomo che amo, che diventerà mio marito, che mi proteggerà per tutta la vita?

Ed è con tutto l’ottimismo e con tutto l’amore di cui ero capace che mi preparai alla mia vita coniugale e in questa impresa, come tu ben sai misi tutto, i miei sogni, il mio amore, la mia libertà, il mio denaro faticosamente racconto da una vita di lavoro.

Lui aveva un appartamento donatogli dai genitori, un appartamento da terminare ed è li che investii i miei risparmi, per preparare il nido che avrebbe accolto il nostro amore.

Ma i problemi sorsero quasi subito, i miei suoceri e le mie cognate non mi perdonarono mai le mie umili origini, io ero la parente povera e orfana per giunta, l’intrusa che non sarebbe mai stata all’altezza del loro rango e del loro figlio unico maschio mandato a studiare nelle migliori scuole della capitale, mentre io avevo appena la licenza media.

Fui subito trattata come un’estranea, anche l’”angelo” che avevo sposato non era proprio un “angelo”, con il passare del tempo si rivelò la sua vera natura…era un gran parlatore (come mi incantavo a sentirlo), un filosofo mancato, ma un filosofo non aderente alla realtà della vita quotidiana, le parole non procuravano il cibo.

Così abbassai ancora il mio orgoglio ferito e chiesi del danaro in prestito ai miei suoceri per poter iniziare un’attività commerciale dove almeno Giulio avrebbe “dovuto” lavorare insieme a me, ma quel tipo di commercio durò poco, non c’era guadagno, facevamo la fame, ripensandoci ora, mi chiedo come ho fatto a non rendermi conto di nulla, come ho fatto a non vedere più lontano del mio naso, non ero io ad amministrare il denaro di casa e soprattutto quello era un piccolo negozio di ferramento che avevamo.

Ben presto fui costretta a chiudere per i debiti.

Perché non mi sono rivolta a te? Ti starai chiedendo, ma in quel momento dovevo risolvere i miei gravi problemi finanziari e familiari, perché intanto che le cose non marciavano bene finanziariamente, sentimentalmente era una frana.

Il mio bel ragazzo si era rivelato quello che era nella realtà un “filosofo mancato” che sapeva solo parlare ma non era capace di risolvere nemmeno il più piccolo problema…ma io lo amavo ancora molto e mentre riuscivo ad analizzare la situazione e a rendermi conto che qualcosa non andava appesa si allontanava da me…dimenticavo tutto quando mi prendeva tra le braccia e mi trasportava in quel mondo meraviglioso che è l’amore, mi ripagava di tutte le mie notti insonni, delle mie angosce.

Ma intanto i suoi parenti mi tormentavano dando a me la colpa dei nostri fallimenti economici, sottolineandolo sempre di più.

Cara Marisa avrei voluto vederti in quei giorni bui, avrei voluto piangere sulla tua spalla, ti avrei angosciato con i miei problemi, ma so già che tu sempre così realista mi avresti saputo consolare e avresti avuto una parola per me, ma non so perché non l’ho fatto, forse per non sentirmi dire da te, che pure eri la mia migliore amica “te lo avevo detto”, anche se probabilmente tu nemmeno lo avresti pensato, però le cose non tornano indietro e così mi sono portata il fardello da sola, veramente pesante, credimi.

Mia cara amica dell’infanzia non ti ricordi quando ci siamo viste l’ultima volta, quando da questa storia così tormentata  è nato il mio bambino, così somigliante a Giulio, così bello coi riccioli neri da sembrare un “angelo” e tu lo hai preso tra le braccia congratulandoti con me, per il mio capolavoro, ma poi con il tuo occhio vigile mi hai guardata e ti sei venuta a sedere accanto a me e mi hai chiesto se tutto andava bene, se avevo problemi, io sorrisi solo, ma tu con la tua sensibilità avevi già capito che c’èra qualcosa che non andava, io non potevo parlare, prigioniera della mia storia.

Cara Marisa, ricordo tutto come se fosse oggi, da allora non ti ho più rivista, tu sei partita quel giorno stesso, avrei voluto fermarti, gridarti di aiutarmi, di portarmi con te, ma rimasi zitta e strinsi il mio fagottello che piangeva.

Sai non sono triste mentre ti sto raccontando questa mia storia, anzi riesco a riviverla con molta tranquillità, forse perché ora, ne sono uscita fuori.

Solo una cosa ancora mi stupisce, come in questi anni vissuti assieme a Giulio, ai suoi scatti improvvisi d’ira, ai suoi cambiamenti d’umore così repentini io non mi sia resa conto del suo stato. Davo la colpa ai suoi amici, davo la colpa ai suoi genitori così ottusi, davo la colpa alle sorelle così snob e sgarbate, senza rendermi conto di quanto lui fosse malato, e di come lo nascondeva così bene.

Io non riuscivo a capire come mai lui che diceva di amarmi tanto circondandomi di tenerezze, improvvisamente divenisse così violento con me, oppure mi cacciava via rifiutandomi completamente, cacciandomi via da quella che era casa sua e questo perché a suo dire Giulio non era mai stato felice, non lo avevo né amato né capito, questo suo vagheggiare divenne sempre più incisivo ogni giorno che passava.

Cara Marisa, se anche avessi avuto il coraggio di chiederti aiuto, tu cosa avresti potuto fare? Io lo amavo anche quando mi scacciava e mi lasciava a dormire sulle scale tra l’indifferenza dei suoi ciechi e sordi ai suoi scoppi d’ira.

Quello che più mi faceva soffrire era mio figlio, che cresceva adorato da loro forse perché somigliava sempre di più a Giulio ed ogni giorno, sempre di più me lo portavano via, mangiava da loro per la mia poca disponibilità finanziaria, lo viziavano come io non potevo fare, lo allontanavano da me con mille scuse, non avevo più voce in capitolo per la sua educazione, lui non mi ubbidiva più, anzi nei miei confronti era villano, saccente e maleducato.

Ed io giorno per giorno perdevo forza di volontà, perdevo la voglia di vivere, non mangiavo più, ma nemmeno piangevo, ormai mi sentivo solo un automa, l’unica cosa che mi teneva lì era che non avevo un posto dove andare, non avevo denaro, non avevo una persona a cui rivolgermi.

Si lo so cosa stai pensando, avevo te, è vero, so che tu mi avresti aiutato, ma eri così lontana ed io così disperata ed apatica che non mi sei nemmeno venuta in mente, trascinavo così ormai senza forze la mia inutile vita.

Ogni tanto il Giulio che avevo amato riaffiorava in lui, ed io vivevo ormai solo per quello, finché non scoprii la sua “malattia” Marisa, che dolore! Che angoscia, quale impotenza! Può un animo umano immaginare una così grande sofferenza? Avrei voluto che fosse una donna il mio nemico, avrei potuto combatterla, avrei affiliato le unghie, avrei riscoperto me stessa e forse lo avrei di nuovo conquistato…ma cosa potevo io contro un nemico così grande come la “droga”? come potevo io combatterla? Io che quasi non ne conoscevo l’esistenza? Io che non ne conoscevo le conseguenze e il mondo particolare di chi lo viveva?

Ora si che capivo i suoi sguardi perduti, chissà dov’era, ora capisco la sua debolezza fisica, ora si che riuscivo a vedere più lontano e accorgermi dei suoi improvvisi sbalzi di umore, le sue fughe da me e finalmente riuscivo ad analizzare la mia mancanza di denaro, ora sapevo che fine faceva tutto il guadagno del mio piccolo negozio di ferramenta chiuso per debiti!

Cara Marisa, sono colpevole di questo, sono colpevole perché non me ne sono accorta prima, sono colpevole perché invece di leccarmi le ferite avrei dovuto essere più sveglia e vedere ciò che mi stava succedendo.

Rivedo tutto come se fosse ieri, la mia accusa davanti a quella polvere bianca, ben nascosta in bagno insieme alle siringhe, il suo ridicolo diniego, le sue lacrime di pentimento su quel bel viso d’angelo, il suo giurarmi che ormai ne era fuori ed io stupida a credergli.

Dopo la mia scoperta le cose tra noi precipitarono ancora di più, io non ero in grado di affrontare questa nuova realtà, non ero capace di aiutarlo, anche se per un po’ ritrovammo l’antica fiamma che ci aveva uniti, questo perché in quel periodo parlammo molto, ragionavamo assieme di come affrontare il problema, di come risollevarsi economicamente di come uscirne fuori assieme.

Ma invece di uscirne fuori assieme, fu io ad entrarvi, per provare che cosa mai aveva potuto trovarci lui di così interessante, per un po’ precipitai anch’io in quel tunnel nero che si chiama “droga”, io però non facevo parte di quel mondo, riuscii a rimanerne fuori abbastanza da rendermi conto che così non avrei aiutato lui né me, né tantomeno nostro figlio.

Così divenni dura, decisa a farlo smettere, decisa a ricominciare, ma più io diventavo dura, più i suoi mi circondavano di solitudine e di incomprensione.

È per questo, sai Marisa che mi decisi a parlare con mia suocera, volevo finalmente infrangere quel muro di ghiaccio che c’èra tra noi, volevo farla partecipe di ciò che stava succedendo al suo prezioso figlio, non volevo essere più sola in questa battaglia che stavo combattendo, pensavo che il nostro amore e le nostre forze unite avrebbero sconfitto quel nemico subdolo… la droga.

Così invitai mia suocera a casa mia e senza mezzi termini né indorature di pillole, la misi al corrente della situazione. Oh Marisa dovevi vederla, finalmente in quegli occhi di ghiaccio qualche cosa si era sciolto, iniziò a piangere e per la prima volta si rivolse a me come ad un essere umano, mi guardò con occhi diversi, mi strinse a sé, finalmente non più nemiche “povera piccola” mi disse “quanto devi aver sofferto”.

Ecco ora tu penserai che tutto da allora si sia risolto, ebbene posso dirti con gran rammarico che quello fu l’inizio della fine per me. Che paradosso è mai questo!

Come lui seppe la cosa, non mi volle più vedere, fui scacciata di casa, come era già successo altre volte, ma questa volta mi dicevo, avevo un’alleata, lei mi accoglierà e mi aiuterà! Che illusa, le persone non cambiano! Come l’ho imparato bene! Se prima ero una nemica, ora addirittura mi odiava, sicuramente perché conoscevo il segreto del suo bambino, o Marisa, mi scacciò anche lei come se fossi stato un cane randagio con le pulci, prima accettato e poi abbandonato di nuovo.

Io non so quale molla psicologica si mosse in lei ma il suo rifiuto fu ancora più duro di prima.

Si allearono tutti per potermi scacciare, si rivolsero ad un avvocato per chiedere la separazione; io ero come inebetita, firmavo carte senza rendermi conto di nulla, mi portarono via mio figlio, mi mandarono via di casa, dopo 10 anni di matrimonio, mi ritrovavo a chiedere ospitalità a mia sorella, anche lei separata e a dividere una piccolissima stanza con mia nipote.

La mia bella casa, così grande con quei bei mobili, quelle belle tende, comprate con tanto amore, niente, tutti i miei sacrifici fatti per avere un’attività che ci permettesse di vivere decentemente, niente, non avevo più niente, come tu sai, nell’imbarcarmi in questa avventura del mio matrimonio avevo venduto anche il piccolo appartamento dove vivevo da nubile, ed ora cosa mi ritrovavo?

Esistono le persone cattive Marisa? Ora io credo proprio di sì, l’ho scoperto sulla mia pelle.

Ti starai chiedendo come feci poi a sopravvivere, si sopravvivere è la parola giusta quello che meglio interpreta come ho vissuto dopo di allora.

Sono vissuta con la carità e con l’ospitalità di mia sorella, costantemente rinfacciata, sono vissuta curando gli anziani nelle cliniche, sono vissuta nella speranza mai morta di riavere mio figlio e in fondo in fondo di riavere anche Giulio che continuavo ad amare nonostante tutto.

A volte mi viene da pensare che alcune donne, almeno quelle come me, che sono state tanto tartassate dai loro mariti, abbiano in fondo bisogno di trovare sempre la stessa situazione, di incontrare sempre uomini del genere, come se noi donne decidessimo di essere solo vittime, quasi come un senso di masochismo, ti dico questo non perché lo penso ma perché i fatti poi mi hanno dato ragione.

Infatti, poi la storia non è finita qui! Dopo qualche tempo, Giulio mi ricerca, non per un ritorno di fiamma, come mi confermò poi, ma perché insieme potevamo ancora continuare l’attività svolta finalmente si era reso conto che senza lavoro non si poteva vivere.

I nostri rapporti nei primi tempi di collaborazione lavorativa erano molto freddi, parlavamo solo di lavoro, ma poi man mano che il tempo passava l’antica confidenza fece capolino.

Avevo dimenticato che gran filosofo e parlatore che era! Ancora riusciva ad incantarmi. Ancora riuscii a legarmi a sé. Non mi vedeva più come ad una donna da amare, ma come una collega d’affari a cui poteva anche confidare le sue conquiste femminili, ed io lo stavo ad ascoltare per paura di perdere anche quel sottilissimo filo che si era di nuovo instaurato tra noi.

Ma poi volli provare a scacciarlo dalla mia mente e dal mio cuore, iniziai a guardare altri uomini in fondo ero ancora una bella donna, questo mio nuovo civettare ingelosì Giulio in maniera spaventosa.

Non so quale molla fosse scattata in lui, se era colpa della droga, che io sapevo ancora prendeva, oppure se fosse ancora un barlume di antico sentimento nei miei confronti, ma da allora iniziò a tormentarmi con scene violente di gelosie, con insulti immotivati, con successive lacrime di pentimento.

Quando finalmente io credevo che tutto non fosse poi perduto e tentavo di tornare con lui, nella nostra casa, mi trovai davanti ad un muro altissimo, tanto alto da non riuscire mai a vedere quanto.

Come provavo a riavvicinarmi, lui mi allontanava, quando non speravo più, lui si avvicinava ed io tornavo a sperare per poi ricadere nella disperazione, gioco crudele.

Cara Marisa, ora sai in che stato confusionale mi ritrovai in breve tempo, forse se fossi riuscita a piangere…ma c’era il vuoto nel mio animo!

Cara Marisa, il resto me lo hanno raccontato, io non ricordo quasi nulla, è come se un velo nero mi fosse caduto sugli occhi, non so perché, né per come feci il gesto disperato di suicidarmi, mi sembra quasi impossibile ora, quasi impossibile aver pensato di non combattere più, di non impormi più alla vita, ma sembra che davvero io abbia ingerito una massiccia dose di pillole per dormire, sembra davvero che io che sono astemia abbia potuto bere quasi una bottiglia di “martini”; ma così deve essere stato, perché la prima cosa che ricordo, dopo il buio dove ero sprofondata, fu la stanza bianca di un ospedale e il viso di una suora accanto a me che sorrideva.

Tu lo sai in non sono una grande credente, ma in quel momento mi sembrò un buon segno.

Cara Marisa, si era un buon segno, in quella stanza ho ritrovato il sorriso e l’amore per la vita.

Ecco ora sono giunta al finale della mia storia, sono seduta in giardino attorniata da freschi alberi e da colorate aiuole, ti scrivo mentre sorrido perché verso di me sta venendo Francesco, ma chi è questo Francesco, ti starai chiedendo…ma si è l’uomo che mi ha salvato la vita, è il medico che dopo il mio gesto inconsulto si è preso cura di me, non solo fisicamente ma anche moralmente, ha curato le mie ferite interne e mi ha insegnato ad amare di nuovo la vita, mi ha insegnato ad amare lui.

È più grande di me di 15 anni, ma che importa, non è bello come Giulio, il suo animo è giovane e mi circonda di tutto quell’amore di cui avevo un disperato bisogno.

La mia storia finisce qui e qui ricomincia la mia vita. Dio esiste! Ho tagliato i ponti con il passato, anche con mio figlio per ora, forse un giorno…

Cara Marisa in questa bella casa circondata di verde sto riacquistando la fiducia in me che avevo perso, ed ora ti chiedo di venirmi a trovare, ho voglia di vederti, di stringerti le mani, di rivedere il tuo sorriso, che ora mi accorgo mi è tanto mancato.

Vieni ti prego, vieni a dividere con me la mia fede rinnovata

La tua cara amica Anna.

Per Amore

Questo articolo è stato scritto e pubblicato da Nerina Piras.

Questa mattina l’aria è fresca, è passato il caldo torrido, mi affaccio alla finestra e il paesaggio che mi si presenta è spettacolare, il sole si sta alzando all’orizzonte dipingendo di arancio il cielo ammantando di fuoco il paesaggio intorno.

Gli isolotti sul mare che si intravedono in lontananza sembrano irreali, il mare è immoto, sta passando una nave per giunger al porto lì vicino, le finestre delle case giù in paese dormono ancora, d’impulso prendo la macchina fotografica per immortalare questo stupendo spettacolo.

Sono venticinque anni che mi affaccio sullo stesso paesaggio, eppure, è come se lo scoprissi sempre per la prima volta.

Nel letto Angela si muove, non vorrei averla svegliata! Mi giro a guardarla, no si sta solo stirando come una gatta pigra sul nostro grande letto.

E già sono venticinque anni che siamo sposati! E sono sempre innamorato di lei come la prima volta, devo dire che della mia vita matrimoniale sono soddisfatto.

Ormai sono alla soglia di 50 anni, quanta strada da allora.

La nostra casa è in collina, circondata da pini e da palme orientali, l’ho progettata io pezzo per pezzo, ed ho voluto alberi in ogni angolo del giardino, alberi per respirare ossigeno ed energia.

È una villetta su due piani con una stanza per ogni membro della famiglia, ho tre figlie, un ragazzo, mio suocero, e, naturalmente la camera da letto che divido con Angela.

Ho un giardino molto grande contornato di alberi, un gazebo poggiato su un verde prato che curo io stesso, e scesi due gradini c’è una piccola piscina, ancora sotto c’è un piccolissimo orto con alberi da frutto da cui ci riforniamo ogni mattina.

Se sono soddisfatto di me? Si lo sono ampiamente, per poter raggiungere questo ho dovuto lottare con le unghie e con i denti…vedo così scorrere tutta la mia vita come un film:

Sono un primogenito di una famiglia che subito dopo la guerra, si sono trasferiti nella grande città. Sono sempre stato un ragazzo se non proprio ribelle, comunque non convenzionale come forse pretendevano da me.

Mio padre lavorava al comune di Roma, raccomandato forse da qualche ministro, ancora non c’era “tangentopoli”, pertanto, il clientelismo era una procedura normale, come anche “pagare” qualcuno per avere un “posto fisso”.

Per questo motivo la nostra famiglia non era poi così povera, anche se eravamo cinque figli.

Io Luigi, nato in questo paese del sud dimenticato da Dio di sole 500 anime, il secondogenito Eugenio, molto schivo e timido, veramente molto diverso da me anche lui nato in paese, il terzo Piero, nato nelle grande metropoli, rappresenta la vita stessa, l’esuberanza, la gioia di viveri, la simpatia innata, poi c’è l’unica femmina Marina, minuta e delicata, un può coccolata, un può viziata, un può tiranneggiata da noi “duri maschiacci”, infine l’ultimo Marco il più delicato, ne timido, ne arrogante, solamente silenzioso e u può appartato, il giocattolo di Marina, il suo “bambolotto”.

Essendo io il maggiore dovevo imparare un “mestiere” come si diceva allora, perchè naturalmente di studiare nemmeno se ne parlava, ma ero e sono un tipo troppo indipendente per sottomettermi ad un lavoro di dieci/dodici ora al giorno, impegno che non ti permette di vedere la luce del sole o che ti fa sentire poco libero, inoltre ero troppo attratto dalla vita del bar, insieme agli amici, a giocare a biliardo, a sparlare delle gente che passava, poi mi piacevano le ragazze avendo sempre molto successo con loro.

Non ero però ben visto dai “parenti” specie quelli del paese, quello di 500 anime …dicevano di me che ero uno “scansafatiche” e forse, vedendolo dal loro punto di vista era anche vero, ma io volevo di più, volevo un lavoro che mi desse soddisfazione e non soltanto uno stipendi, cos’ provai vari mestieri, dal falegname, al macellaio, al rappresentante, che forse era quello più vicino alle mie esigenze.

Mio padre, anche se era un lavoratore aveva anche il vizio di bere, questo lo portò ben presto ad ammalarsi di “cirrosi” non avendo un fisico molto robusto, cedette alla malattia con una rapidità sorprendente.

Alla sua morte mi ritrovai sulle spalle una famiglia, con tutti i doveri e gli oneri inerenti. Ero solo un ragazzo e non me la sentivo di avere una così grande responsabilità.

Mia madre, rimasta vedova a 46 anni, con cinque ragazzi da crescere, da sfamare e da educare, senza marito e senza più stipendio…non sapeva più come fare. Lei si rimboccò le maniche e con una forza che non pensavo avessi si trovò un lavoro presso una famiglia e sbarcò così il lunario, appena sufficiente per sfamarci.

Per questo motivo tutti gli occhi erano puntati su di me, ero io che dovevo darmi da fare! Anche se riconoscevo che effettivamente era così non riuscivo ad entrare a far parte di questa società, nessun lavoro mi soddisfaceva

Eugenio per fortuna trovò lavoro come elettricista, ed imparò il mestiere, ma guadagnava troppo poco. Di nuovo tutti gli occhi erano puntati su di me! Ero il capofamiglia ed io non riuscivo a prendere le redini della situazione!

Comunque le cose andavano avanti, poi anche Piero imparò il mestiere, anche se ancora troppo giovane. Naturalmente anche io, ma sempre con lavoretti saltuari, facevo il rappresentante ed avevo manie di grandezza, dove tutto intorno a me parlava d povertà!

In tutto questo, ebbi anch’io un momento di fortuna, un giorno con un orgoglio che solo io potevo sentire mi comperai un’automobile, la “seicento”, tenendo conto che in quel periodo nel nostro ambiente quasi nessuno possedeva un’auto. Ma invece di aumentare la benevolenza nei miei confronti accrebbe la rabbia… “con una famiglia da mantenere si permette di sprecare il denaro con un auto”.

Mia madre, quella donna straordinaria che stravedeva per me, continuava a sbarcare il lunario, ma oltre ciò cercava gli agganci per chiedere aiuti e sostentamenti anche perchè chiedere aiuto ai nostri parenti del paese era impensabile, visto che la mia famiglia, per vivere e lavorare era stata costretta ad emigrare in questa città, che io comunque adoravo.

E fu così che mia madre a furia di cercare era riuscita a trovare il giusto aggancio per me, mi aveva trovato un lavoro”fisso, Come conducente nelle autolinee della città, naturalmente pagando una forte somma di denaro che non avevamo.

Per questa grande occasione aveva riunito tutta la famiglia, fratelli, zii e con grande soddisfazione diede la notizia…mi sentii preso in trappola!… non volevo fare il conducente di autobus per tutta la vita! Avevo altri progetti per me! Anche se erano ancora così confusi, mi ribellai e piansi come un bambino…La mia voglia di libertà fu così forte che la spuntai, anche se dovetti pagare il presso del disprezzo di tutti, infatti se prima ero malvisto ora ero additato come un “mandrone”.

E si che avevo veramente deluso le aspettative di tutti, specialmente di mia madre… Le chiacchiere su di me aumentarono.

Poi conobbi Stefania e tutto il resto non ebbe più importanza! Mi ero innamorato di lei come solo a 22 anni si può amare, mi prese tutto, il cuore, i sensi, il cervello, non vedevo che lei, non esisteva che lei. Passavo le mie giornate lavorando quel poco che mi bastava e per il resto vivevo con lei e per lei.

Stefania non era una bambina, era già una donna adulta, aveva 15 anni più di me e rappresentava quella donna perfetta che avevo sempre ricercato nelle “stupide” ragazze che frequentavo. Lei era una Donna arrivata, finanziariamente indipendente, mi faceva sempre dei regali colto costosi, era una donna esperta anche sessualmente e riusciva a trasportarmi in un mondo che io mai avrei potuto immaginare potesse esistere.

Manovrava anche la mia vita, anche se allora non me ne rendevo ben conto. Aveva grandi progetti per me, voleva aprire una piccola industria, lei come “manager” ed io come suo braccio destro, ero molto attratto da ciò, finalmente un lavoro dove si guadagna molto denaro.

In casa quando mia madre si accorse di questo amore, successe il finimondo, io forte di questo sentimento continuai per la mia strada e continuai questa storia con tutta la forza di cui ero capace, più loro mi criticavano e si opponevano, più io mi incaponivo e mi innamoravo sempre di più.

Stefania non era bella, ma era molto dolce, sapeva sempre come consolarmi, ed aveva il dono naturale di farsi amare da(quasi) tutte le persone che contattava, così le feci conoscere mia sorella, appena adolescente, la conquistò subito con qualche carezza, qualche regalo e passeggiate per la città. Bisognava solo farla conoscere al resto della famiglia, mia madre per esempio, la quale era proprio un osso duro, molto più smaliziata di mia sorella.

Come c’era da immaginare, mia madre si oppose con tutte le sue forze sottolineando la divergenza d’età, la scaltrezza (secondo lei), mi diceva: non vedi come stai diventando una burattina nelle sue mani? No, rispondevo, “non vedi come mi ama? Mi ama come solo una donna vera sa amare, con dolcezza e sopratutto con una passione che nessuna mai ha saputo darmi, perciò ti prego di lasciarmi vivere “no, non le permetterò di rovinarti la vita” questa la sua risposta immancabile.

Nel frattempo, avevo conosciuto Federico, il ragazzo che sarebbe diventato il mio più caro amico, e iniziammo insieme un lavoro di rappresentanza di prodotti nuovi, Questo lavoro per la prima volta nella mia vita mi entusiasmava veramente e mi un impegno ed una passione quale mai era accaduto prima.

La mia storia con Stefania proseguiva su binari tranquilli, se così si può dire, fino a quando mi arrivò una lettera anonima, il primo pensiero fu di stracciarla, poi la curiosità ebbe il sopravvento, diceva: sei cieco e sordo? Stai attento la tua donna ha sempre fatto la “vita”, firmato un amico.

Leggero e non mi rendevo conto di ciò che c’era scritto, la vista mi si annebbiava, ma chi poteva essere così vigliacco da scrivere certe idiozie? La lettera la cestinai con rabbia, ma non dormi più, un angoscia che non avevo mai provato prima si impadronii della mia mente e del mio corso, una febbre senza alterazione corporea mi stava distruggendo, alla fine ne parli con Stefania per “riderci su” come dissi a lei, ma lei non rise e mi rispose ” è una storia vecchia, di quando ero giovanissima, una vita che ho totalmente cancellato dalla mia mente, sono cambiato come vedi ed io ti amo, non può una storia vecchia di anni rovinare il nostro rapporto”.

Vero dissi, ma perchè non me ne hai mai parlato? Comunque, è una storia del passato dimentichiamola.

Ma non fu così, la febbre mi divorava, ogni giorno ripensavo al passato, al suo passato senza trovare requie, mi sentivo che non ero poi così “signore ” da dimenticare il suo passato, ero distrutto, non riuscii più a far l’amore con lei, perché ogni volta vedevo il suo corpo accarezzato da altre mani, mani che accarezzavano non per amore ma per denaro.

Per non impazzire fuggi, da lei e da tutta la mia famiglia che mi soffocava, così mi rifugia nel mio paese natio, di Stefani non ne volli più sentir parlare, ne volli più vederla, né sentirla per telefono, con la paura che la passione mi riprendesse e non potessi più fare a meno di lei.

Ma anche nel mio paese natale, la vita non era facile, i miei parenti mi rimproveravano sempre la mia poca voglia di lavorare, in mio aiuto venne Federico, mi aiuto a dimenticare la mia sfortunata storia d’amore e iniziammo un nuovo lavoro proprio qui in questo paese dimentica da Dio.

Incredibile come in poco tempo questo tipo di prodotto prese piede. Federico però preferì tornare nella capitale, qui rimasi solo a continuare questo lavoro che in breve tempo mi portò una discreta sommetta che mi permise di ingrandirmi…finalmente vedevo realizzati i sogni di tutta la mia vita, era questo il lavoro che volevo da sempre.

Il mio successo con le donne, lì nel mio paese era anche più strabiliante, e proprio qui che ho conosciuto Angela, e per non smentirmi la corteggia, anche per stordirmi della perdita di Stefania.

Angela era l’opposto di Stefania, aveva un bel corpo, era piccolina ed esile, bionda con occhi a mandorla che le davano un aspetto orientale.

La corteggiai benché fosse già fidanzata e quasi prossima alle nozze, naturalmente questo fece nascere il finimondo tra i miei zii, scandalizzati, (eravamo nel dopo guerra) e il futuro fidanzato mi prese anche a pugni.

Ma con la mia testardaggine continuavi a corteggiarla, anche perché Angela si era perdutamente innamorata di me, facendosi quasi cacciare di casa per questo, tenendo conto che viveva in un paese di 500 anime ed avevano ancora una mentalità molto chiusa, molto contadina, finche decisi di sposarla, e di nuovo …il finimondo!

I miei impazzirono, anche se mia madre in fondo era contenta, sapeva da dove proveniva Angela e questo la rendeva piacevole alla sua vista, ma in paese quasi mi cacciarono: “ecco questo romano è venuto ad insidiare una brava ragazza, strappandola ad un serio ragazzo lavoratore, per poterla sposare lui e farle fare sicuramente la “fame”.

Questa ultima frase mi colpì come una frustata, ed il mio orgoglio incredibilmente mi fece tirare fuori tutta quella grinta che avevo soffocato dentro, e mi ripromisi che ad Angela le avrei donato la luna, e i suoi parenti dovevano ricredersi molto nei miei confronti.

Tornai a vivere nella capitale nella città che non mi aveva visto nascere ma visto crescere da sempre e come un pazzo mi diedi da fare per racimolare denaro, quasi come per incanto era il lavoro che veniva da me, in breve tempo non ce la feci più da solo e fui costretto ad assumere degli operai per avere un aiuto.

Gli affari andavano a gonfie vele e più il tempo passava e più incameravo denaro…ecco ora era giungo il momento: Tornai al paesello di 500 anime e chiesi la mano di Angela, lei mi buttò le braccia al collo e finalmente i suoi acconsentirono.

Ma ecco che Angela si è svegliato e mi chiama “buongiorno amore” le dico “ma cosa ci fai già alzato! mi risponde, ” pensavo cara, pensavo ormai alla nostra vita passa e poi sto anche pensando alla festa da preparare per il fidanzamento di nostra figlia Claudia, questa festa deve essere bellissima la daremo ai bordi della piscina”.

Lei mi guarda dubbiosa, Angela ha il potere di leggermi dentro, la vedo sorridere ma non dice nulla, mi prende la mano e mi dice “stiamo diventando vecchi! ma diventarlo assieme a te è quello che più desidero nella vita!”

Ecco qui finisce la mia storia, sono come si dice un uomo arrivato, ormai in paese sono rispettato e amato, ho molti amici, ma specialmente ho una famigli di cui sono molto orgoglioso.

Ogni tanto torno a Roma, perché ho ancora qualche nostalgia dei miei vecchi amici, ma subito dopo non vedo l’ora di tornare qui, in questa oasi di pare, dove ho finalmente raggiunto la mia serenità.

fine

Roma 11 settembre 1993