L’Ultimo Volo

Questo articolo è stato scritto e pubblicato da Nerina Piras.

Ho occhi per guardare e per ammirare. Sono nato dalla fantasia di qualcuno che voleva spiare segreti o sono nato per vedere le bellezze nascoste? Io spero di essere nato per dare gioia a chi mi comanda, perché sì, io ho un padrone, è lui che mi guida e mi porta a scoprire luoghi altrimenti irraggiungibili. Lui si chiama Mario, sento quando la sua donna lo chiama e gli dice affettuosamente, “portami a vedere il lago” e così ogni domenica andiamo alla ricerca di luoghi sconosciuti. Ricordo che una volta siamo andati in montagna, e per poco non cadevo giù a precipizio, per colpa di una folata di vento non prevista, che paura che ho provato, fortuna che Mario è riuscito a riportarmi a terra, era preoccupato, mi guardava come se fossi un figlio, c’è mancato poco che mi baciasse.
Così siamo andati via e in montagna non mi ha più riportato, ma al lago è stato bello, lei ci teneva tanto, era una bella giornata quasi estiva, il lago era immoto, non c’era un filo di vento, per fortuna, lei era in costume da bagno, era bellissima, la più bella della spiaggia, così quando mi sono alzato in volo, non ho ammirato l’azzurro del lago, ma le forme aggraziate di Luisa che dalla spiaggia mi salutava.
Per la contentezza le volavo in testa per cogliere di lei ogni angolo, ogni sorriso che mi dedicava, ogni sassolino che raccoglieva e lo gettava in acqua cercando la mia approvazione. Ed io ero contento di mostrarle quello che avevo catturato di lei, una volta in casa, da soli, a riguardare ciò che io avevo impresso. Sapevo che erano contenti del mio lavoro. Ogni domenica un luogo nuovo, ero entusiasta, mi piaceva scoprire luoghi nuovi.
Un giorno decidono di recarsi al mare, loro erano di Roma, in primis volevano andare ad Ostia, distante solo una trentina di chilometri, ma Luisa guardando una rivista cinematografica gli chiede di andare a Santa Marinella, perché era rinomata come la città del cinema. Aveva letto sulla rivista che vi avevano girato tanti film e il luogo era stato frequentato da scrittori, attori, registi, insomma tutto il bel mondo del cinema.
Mario non le aveva mai detto di no, anche se non conosceva la cittadina decise di andare proprio quella domenica.
Prima di andare a visitarla fece un po’ di ricerche su internet, per scoprire cosa potesse nascondere di bello questa cittadina vicino Roma sul promontorio di Capo Linaro, questa cittadina chiamata Perla del Tirreno. E più leggeva e più si incuriosiva, c’era addirittura la villa di Rossellini! Ma la domenica non era un giorno felice per recarsi al mare, specialmente quando splende il sole e inizia la stagione primaverile, infatti una lunga coda di auto era avanti a noi a ricordarci che non eravamo i soli ad amare il mare, c’era mezza Roma e anche di più.
Mario allora decise che era meglio tornare a casa, ma Luisa mise il broncio, io ero dentro la scatola ben conservata sul sedile dietro, mi avevano legato con una cinta, forse pensavano che sarei scappato, ma io ero più curioso di loro di scoprire questa cittadina, non vedevo l’ora di uscire da questo box e di potermi librare in alto.
Li sentivo discutere e speravo vincesse lei, io volevo andare…
Certo che vinse lei, era una donna e sapeva come intenerirlo e portarlo a fare ciò che desiderava.
Mario aveva deciso che era meglio percorrere l’Aurelia, ma non era stata una buona scelta, infatti anche se passavano davanti ai tanti paesi vicino Roma, il percorso era più trafficato, vi erano tante strade laterali che li portavano ai paesi vicini, e iniziò a farle delle proposte:
«Che ne dici se ci fermiamo a Fregene?»
«Perché Fregene? Io voglio andare a Santa Marinella»
«Non vedi il traffico? Va bene va bene andiamo avanti arriveremo all’ora di pranzo»
Mario lo sentivo un po’ scocciato e infastidito ma io speravo non demordesse.
Il traffico lento ma scorrevole ci fece fare una fermata a Cerveteri, per un caffè, forse Mario sperava così di intenerire Luisa e andare in questo paese, tanto sempre il mare c’era.
Ma lei era irremovibile, aveva con sé la rivista cinematografica e sbandierandola gli fece capire che tanto lei non avrebbe cambiato idea. Così risalirono in auto, e si rimisero in carreggiata percorrendo gli ultimi chilometri di traffico che li separavano dal paese agognato con rassegnazione. Alla fine, la testardaggine di Luisa li portò in questo paese, c’era il sole, e iniziarono a rallentare la marcia dell’auto perché la vista di questa cittadina era bella da mozzare il fiato.
Si fermarono in carreggiata quando Luisa esultando gridò:
«È quella la casa di Rossellini»
«Ma sei sicura? Cosa ne sai?»
«Guarda la foto, è lei, pensi che lui, lo disse guardando dietro, cioè a me, riuscirà a sorvolare la villa e a riprenderla?»
«Tu sei matta io non lo mando a spiare le case degli altri, abbi pazienza andiamo sulla spiaggia e lo lasceremo vagare.»
«No hai ragione anche perché tanto la villa è stata venduta, guarda quanto è bella è proprio incastonata tra gli scogli, lo sai che li hanno girato il film “il Generale della Rovere”, e poi quella bianca casa ha avuto ospiti importanti, come Gregory Peck per esempio, ma anche scrittori, ha un grande impatto per questa cittadina.»
E finalmente siamo giunti sulla spiaggia di questa Perla del Tirreno, siamo qui sulla passeggiata, c’è tanta gente che prende il sole sulle panchine ma anche in riva al mare, io vengo tirato fuori dal mio box, Mario mi guarda con amore, mi accarezza, mi sussurra qualcosa che io non riesco a capire, ma il tono è da innamorato.
Poi vuole che mi alzi in volo, ma dove vuoi che io vada? Anche lui è ancora confuso, ma alla fine prende una decisione.
Ora sono in alto, vedo i miei padroncini che si sorridono, lui è alle prese con i miei comandi, chissà dove vorrà portarmi,
ho il sole negli occhi, spero di essere all’altezza del lavoro che mi chiedono i due lì sotto.
Mi guardo intorno e meraviglia ma quello è un Castello, ma un castello vero, sarà quello chiamato Odescalchi? io sono sopra lui, ma so che non è aperto al pubblico, che bello poter volare, io posso vedere tutto quello che agli altri è negato, ma purtroppo dentro le sale non posso nemmeno io, so che ora fanno cerimonie matrimoniali, ma il viale è spazioso.
Intorno al castello il mare orgoglioso con il suo movimento pigro, canta la sua canzone di sempre, resterei ore ad ascoltarlo, ma il mio padrone mi porta al “porticciolo”, sono sempre accanto al castello ma ora da un’altra prospettiva.
Quante barche, mi hanno sempre affascinato le barche ancorate ai porti, specialmente i “piccoli porti” dove vedi i pescatori che ogni mattina dopo che sono tornati dalla loro pesca si siedono a sistemare le loro reti e aspettano i clienti per vendere il pesce, quel pesce non destinato ai Ristoranti.
Il mio giro attorno al castello mi porta su una spianata, piena di scogli ma anche di persone sdraiate lì a prendere il primo sole della stagione. Beh, valeva proprio la pena arrivare fino a qui, aveva ragione Luisa questo paese è un vero capolavoro, ma cosa vedi laggiù in fondo? Un altro castello?
Ma certo dovrebbe essere il Castello di Santa Severa, perché non ci siamo fermati prima? Dovrebbe essere bellissimo, quante emozioni tutto in una giornata. Mario mi riporta indietro mi fa scendere e tante persone le sono vicine a fargli delle domande, so che stanno chiedendo di me, sono curiosi e vogliono vedere come mi muovo o come vengo comandato, io fuggirei via, ma non posso dipendo dal Mario che invece è orgoglioso di mostrarmi e si pavoneggia,
Così per dimostrare come mi muovo bene a comando mi rimanda su, ma io sono stanco e non voglio più fare da esperimento a tutte quelle persone, allora decido di testa mia. Non gli do retta e me ne vado a visitare quel bel castello che si vede da lontano, a Santa Severa, non rispondo più ai comandi e vado, libero di ammirare questo mare così trasparente dove i pesci giocano tra loro.
Finalmente libero mi lascio andare ad esplorare quella casa lì sul mare quella delle suore, che incanto, il posto più bello che ho visto finora, ma non mi stanco e vado avanti, il litorale si snoda sulla sabbia fina, vedo gente che cammina che alza anche lo sguardo su di me e mi saluta, io non posso rispondere e vado avanti, devo arrivare fino al Castello.
Poi potrò tornare da Mario, ma ora sono padrone di me stesso e mi godo la mia libertà.
Si alza il vento, ne ho paura, ora mi manca Mario, non so più cosa fare, tornare indietro è troppo, ormai posso solo andare avanti, la meta è vicina ma una folata di vento mi fa precipitare, e mentre vado giù vedo il mare che tanto amo, vedo i pesci che mi guardano stupiti, io ormai senza più freni cado giù nell’azzurro di questo mare Perla del Tirreno.
Mario disperato correrà per cercare di salvarmi ma quando mi ripescherà con l’aiuto dei sommozzatori da me avrà solo una foto di un blu sconvolgente.

Al Museo

Questo articolo è stato scritto e pubblicato da Nerina Piras.

Carlo (il custode) «Ciao Lisa, come stai? mamma mia quanta gente, anche oggi pensavo non andassero più via, che affollamento e sempre tutti davanti a te, a dire le stesse cose, oh che bella! Oh, ma guarda quant’è piccola. Ma non ti stanchi mai di sentirli? Scusa sai questo mio sfogo ma sono un po’ stanco, anche se mi fa piacere stare qui, mettermi davanti a te e parlarti. Anzi è la cosa più bella che mi possa capitare.»

Monna Lisa «Si Carlo anche a me fa piacere parlare con te, anche perché sono sempre qui appesa, sai a volte mi sento sola, specie di notte, di giorno non mi succede, c’è talmente tanta gente che non riesco nemmeno a scambiare due parole con te.

Però se ti devo dire la verità, a me piace vedere tutta questa gente che viene qui, mi piace sentire i loro commenti, mi piace vedere il loro stupore e sentirli ripetere sempre le stesse cose, “ma io credevo fosse più grande! ma io credevo che! ma io pensavo che, e poi rimanere delusa perché oltre che piccola dicono che con questa lastra di vetro non si riesca a vedere tutta la mia bellezza, hanno ragione, mi hanno messo 5 cm di vetro antiproiettile, e che pensavano mi sparassero!!! Meglio scherzarci sopra!

Infatti, io sorrido “sorniona” “enigmatica” e dai loro sguardi capisco che stanno pensando “chissà cosa vorrà dire quel sorriso”, ma non sanno che il mio è un “semplice sorriso”, non lo hanno ancora capito, ma tu piuttosto racconta, quante persone ci sono state tra uomini e donne, hai visto qualche cosa di strano? Qualche cosa di speciale?»

Carlo «Ma sai Lisa non è che io noto molto queste cose, sono sempre attento che non si bisticciano tra di loro e solo per fare una foto, non cerco di capire chi sono. Invece so che tu, con quel tuo sorriso, le studi le persone, dimmi dimmi, cosa ti ha colpito per esempio oggi?»

Monna Lisa «Oggi? Sì, oggi mi ha colpito una giovane coppia di ragazzi, non sembravano molto interessati alla mia figura o al mio sorriso, erano persi nei “loro” occhi, forse erano sposini, si tenevano per mano, si sussurravano delle frasi che non sono riuscita a sentire, ma sicuramente erano parole d’amore, questa è stata la cosa più carina che mi è capitata oggi. Tu invece raccontami.»

Carlo «Oh lascia perdere Lisa, proprio oggi ho dovuto separare due litiganti, uno aveva la pretesa di stare lì davanti a te e non si muoveva più, ma io dico ma non vedi quanta fila?

Un uomo lo ha ripreso e gli ha detto «sbrigati a fare questa foto, ci siamo anche noi» e lui

«Si è vero c’è tanta fila, ma io ho pagato un biglietto, sono venuto da Roma, per ammirare Lei e fare una fotografia a questa donna, a questo suo sorriso e tu mi vuoi mettere fretta? Io non me ne vado!»

Le altre persone hanno iniziato a mugugnare, a spintonare, insomma che ti devo dire li ho visti abbastanza nervosi, volevano che io intervenissi, non me la sono sentita di dire ad una persona che, aveva pagato un biglietto, era venuto espressamente da Roma, per vedere te e dirgli «te ne devi andare perché c’è una fila che non finisce più e anche gli altri hanno pagato il biglietto.

Alla fine, è intervenuto il Direttore ed ha sgridato me, ero io che dovevo stare attento a queste piccolezze, va beh questo è quello che mi è successo oggi. Però so che tu hai tante storie da raccontare, dai su non farti pregare, raccontamene una.»

Monna Lisa «Beh sai Carlo che ti devo dire, la storia più bella che mi è capitata, è quando si sono incontrate due persone che si erano conosciute da giovanissimi, mentre stavano ammirandomi si sono girati per un attimo attorno, i loro sguardi si sono incrociati e si sono detti «ma io ti conosco», erano un uomo e una donna naturalmente.

Lei era accompagnata dalla nipote di 10 anni che si era allontanata, lui era in compagnia di un nipote di 7 anni cui stava raccontando la mia storia, la mia bellezza, il mio mistero. Ma quando questi due “sconosciuti” hanno incrociato appunto i loro sguardi, c’è stata come una scintilla, si sono dimenticati completamente di me, e ho sentino una corrente che li ha percorsi da capo a piedi. Non erano giovanissimi, infatti erano in compagnia dei nipoti, ma il fremito che ho percepito era qualcosa di magico.

Lei «Io ti conosco non so dove ti ho incontrato ma ti conosco», anche lui stupito ripete «Si forse ci siamo già incontrati,»

«Non lo so, non so nemmeno se frequentiamo lo stesso ambiente, io abito a Monterotondo vicino Roma e tu?» 

«Anche io abito vicino Roma sono a Fregene»  

«E allora com’è possibile che ci siamo conosciamo?»

Lui «forse frequentiamo lo stesso circolo sportivo? Io gioco a tennis.»

«No non credo, io non sono una sportiva, però ti conosco, di questo sono sicura!»

«Magari ci siamo incontrati da giovani, ho questa sensazione, adesso sono nonna e sono con mia nipote Giulia che si è allontanata.»

«Si vedo, però anche io ho la sensazione di averti conosciuta da giovane, e anche io sono nonno, lui è Marco, mio nipote che ho portato con me per fargli conoscere questa grande opera di Leonardo.»

Hanno iniziato a mettersi seduti sulla panchina davanti a me per cercare di ricordare dove si erano incontrati, sono rimasti lì per ore ed ore scambiandosi le domande solite “ma dove ti ho incontrato” o “dove ti ho già vista”? quali luoghi hai frequentato.

Alla fine si sono detti «Ma tu dove sei nata?» e lì è scaturito il primo ricordo,

Lei «Sono nata a Roma a Cinecittà.»

«Anche io sono nato a Roma a Cinecittà.»

«Davvero? E in che via?»

«Via delle rose.»

«Via delle rose? ma anche io sono nato lì non è possibile, eppure non mi ricordo di te, anche se ho un vago sentore, come se ti avessi conosciuto bene, dove, dov’è stato il momento.»

E li seduti a ricordare la loro infanzia, erano passati più di 40 anni si sono detti.

Lui «Anche se ci siamo incontrati 40 anni fa siamo cambiati, non ci riconosciamo, forse siamo stati vicini di casa, ma dimmi come ti chiami?» 

«Mi chiamo Emanuela e tu?»

«Marco» 

«Marco? Ma non sarai il Marco Giovanardi?»

«Si sono proprio io e tu non sei Emanuela Rossi?  quella ragazzina con le trecce che abitava proprio dirimpetto al mio palazzo»?

«Credo proprio di sì» risponde lei, facendo una risatina nervosa.

«Ma è un miracolo, incontrarci qui per caso, dopo tanti anni, i così lontani da casa, da tutto, qui davanti alla Gioconda che sembra ammicchi felice con quel suo sorriso enigmatico.»

Lei sospirando «Tu sei stato il mio primo amore, avevo tredici anni quando mi sono innamorata perdutamente di te, mio Dio non riesco a crederci, ero così persa che non riuscivo più a dimenticarti, crescendo ho sempre cercato negli altri uomini un qualcosa che mi ricordasse te, inutilmente, ed ora sei qui in carne ed ossa, invecchiato ma sempre tu, chissà se tu ti sei mai accorto di quella ragazzina che sbirciava dalla finestra per spiare ogni tuo gesto, ogni tua uscita, gelosa delle altre ragazze che ti facevano il filo.»

Lui «Ma certo che mi ricordo di te, le tue lunghe trecce, i tuoi sguardi furtivi quando ti passavo vicino e tu arrossivi fino alle orecchie, certo che mi ricordo, mi piacevi tanto, avrei voluto fermarti parlarti chiederti di uscire, ma, io ero tanto più grande di te, e non potevo.

Qualcuno aveva notato questi nostri sguardi da innamorati e hanno pensato bene di separarci, forse proprio i nostri genitori, tu eri troppo giovane per iniziare una storia d’amore.»

Lei «Ma io non ti ho mai visto troppo grande, eri il mio idolo, il mio amore, avrei fatto qualsiasi pazzia per te, peccato non hai osato! Nella vita non ho mai più incontrato un sentimento così folle, così intenso come quello che provavo per te.

Poi mi sono sposata ho avuto due figli e una nipote, che ancora gironzola per questo museo, ora sono vedova e mi faccio accompagnare da lei in questa nuova avventura ho un’età che ancora mi trova troppo giovane mentalmente per rassegnarmi a fare solo la nonna, ma ora raccontami di te.»

Lui Sai Emanuela, non ci crederai ma anche io ho cercato nelle donne che ho avuto, sempre il tuo sorriso, il tuo incantevole viso che mi guardava con ammirazione, ho cercato gli stessi occhi in altre persone, ma non eri mai tu, anche quando mi sono sposato ho sperato di rivederti in lei, ma purtroppo non era così infatti, tutto è finito in un divorzio, però da questa unione è nato un figlio che adoro ed ora faccio il nonno cicerone che accompagna questo giovanotto a conoscere le bellezze Italiane anche fuori dall’Italia, voglio che sia orgoglioso di essere Italiano, con tutti i difetti che abbiamo ma anche con i mille pregi.

Sai stare qui a parlare con te mi sembra un miracolo, Emanuela non dobbiamo perderci, ti prego rivediamoci ancora quando torniamo in Italia.»

Lei No non credo riuscirò di nuovo a staccarmi da te, incontrarci è stato un miracolo e ai miracoli non bisogna girare le spalle, se la vita ci ha rimessi sullo stesso cammino in un modo così singolare, vorrà pur dire qualcosa, questo è un segno, guarda la Monna Lisa, vedi come ci guarda? Sembra che guardi noi, ammira il suo sorriso, sta sorridendo a noi, è bellissima, così lontana, così misteriosa, misteriosa come il tempo che ci ha fatto rincontrare.»

Monna Lisa «E si sorridevo soddisfatta, era un piacere vedere questi due anziani emozionati da questo loro incontro, speravo che non andassero via ma finissero di raccontare la loro storia, volevo sapere.»

Lui «Come ti dicevo prima sono divorziato ormai da tanto tempo ma tu da quanto tempo sei vedova»?

Lei «Sono vedova, oramai da 10 anni, ho amato molto mio marito, è stato un grande uomo per me, mi ha protetta, amata, vezzeggiata e corteggiata tutta la vita, ma purtroppo un male lo ha portato via molto presto e da allora non ho voluto più nessuno accanto a me, ma per quanto l’ho amato ho sempre cercato te, in lui, anche se sapevo che non era giusto e, purtroppo, prima di conoscere lui non riuscivo a rassegnarmi a non averti, sei stato come un tarlo, che mi ha segnato tutta la vita, ed ora averti qui…non ho parole per esprimere quello che provo.»

Lui «Sicuramente ci incontreremo ancora appena torniamo in Italia, viene andiamo al bar a prenderci un caffè e a recuperare i nostri nipoti.»

Monna Lisa «Così si sono alzati, si sono presi per mano e si sono allontanati, inviandomi un ultimo sguardo, non saprò mai come andrà a finire questa storia ma credo nel destino e in questo incontro “magico”, erano così belli, cosi fiduciosi che ho sperato che davvero si sarebbero incontrati ancora e magari iniziare questa storia che non era mai iniziata, ma neppure finita.»

Carlo «Questa sì che è una bella storia, non come quelle che accadono a me con gente che si spintona e litiga per una foto, però devo dirti che anche io ho una storia bella da raccontarti, una vicenda che è successa proprio qui al Museo; te la racconto: c’erano due adolescenti che, lontano dagli altri, si tenevano per mano cercando di non farsi scorgere né dalla professoressa, né dai loro compagni; erano in gita scolastica di fine anno.

Io ero seduto in un angolo, loro credevano di essere soli, non volevo origliare, ma era impossibile non ascoltare, lui le stava facendo delle promesse, le diceva

«Ti prometto davanti alla Gioconda che quando sarò grande ti sposerò e non guarderò nessuna ragazza eccetto te.»

A me veniva da ridere, erano giovanissimi, avranno avuto 13/14 anni, intorno a loro i compagni si agitavano irrequieti, le professoresse erano nervose e tese per cercare di tenerli a bada e spiegare loro cosa stavano ammirando, ma i due erano perduti nei loro sogni e non si rendevano conto di chi gli stava intorno.

Però era bello vedere l’ottimismo in loro, la speranza, erano teneri, mi sarebbe piaciuto sapere se poi i loro sogni un giorno si sarebbero realizzati.

Ora però tocca di nuovo a te raccontare una altra storia, che hai visto da dove sei»

Monna Lisa «Certo da qui dove sono appesa posso solo ascoltare i discorsi che fanno davanti a me, ma ce ne sarebbero di storie da raccontare!

Ti racconto questa, in questa storia non ci sono nonni con i nipoti, questa storia è di due persone adulte, parlavano spagnolo, li capivo poco, ma quel poco che sono riuscita a carpire, anche dai loro gesti avevo intuito che erano amanti; si erano dati appuntamento qui a Parigi, nel museo, ed ora erano davanti a me, che raccontavano sussurrando, come lei era riuscita a convincere il marito a lasciarla venire qui Parigi con la scusa di incontrare un amica, e lui con la scusa di un lavoro, parlavano spagnolo, per questo li capivo poco.

Devo dire che mi facevano un po’ di tenerezza e un po’ rabbia sentire che stavano ingannando delle persone innamorate di loro, ma non voglio giudicare, non si sa mai cosa veramente spinge le persone a questo comportamento, forse la forza dell’amore.

Io sono solo un dipinto e non essendo in grado di provare sentimenti umani, non voglio dare giudizi.

Lei era graziosa, aveva capelli lunghi castani con occhi color nocciola molto belli, lui invece era il classico macho latino, sapeva di piacere, lo si capiva quando si guardava intorno cogliendo sguardi ammirati sulla sua persona.

Ho immaginato che avesse una moglie in casa perché, anche se capivo poco lo spagnolo, ha parlato di figli, facendo intendere alla donna che aveva davanti, che non poteva lasciare la madre dei suoi bambini.

Lei al contrario pendeva dalle sue labbra e si capiva che avrebbe lasciato marito e figli pur di stare con lui…poverina mi faceva tenerezza, sembrava molto fragile.

Ma sai Carlo qui di storie simili capitano tutti i giorni dovrei essere abituata, ma questi due mi sono rimasti nel cuore.

Ora sono stanca si sta facendo notte tra un po’ le persone vanno via e mi lasciano sola, anche tu andrai nella tua casa da tua moglie e da tua figlia, non pensare a me quando sei con loro, dedicagli tutto il tuo tempo libero, se lo meritano, hai una bella famiglia, mi ricordo quando me le hai presentate, anzi grazie di avermi coinvolto, mi fa piacere sapere di appartenere con il cuore a qualcuno, da quando mi hanno appesa qui sento la nostalgia della mia amata terra Italia, io sono Italiana e anche se risiedo qui rimarrò per sempre italiana, tu questo lo sai mi capisci e lo approvi. Buona notte Carlo»

Carlo «Si ti do la buona notte anche io riposa tranquilla qui nessuno verrà a disturbarti, domattina sarò di nuovo accanto a te e potremmo di nuovo raccontarci tante altre storie. buona notte Lisa»

Sono Ricca

Questo articolo è stato scritto e pubblicato da Nerina Piras.

Questa mattina mi sono svegliata con una strana sensazione, c’era il sole ma era come soffocato da una nebbia leggera.
Mi devo alzare, devo andare a scuola, frequento il secondo liceo, non sono una secchiona, ma nemmeno l’ultima della classe; questo cielo è strano questa mattina, sono pensierosa oggi ho un’interrogazione, chissà come andrà.
Sul mio comodino c’è il biglietto della lotteria, ho chiesto a mia madre di comperarmelo, è il mio unico vizio e mi ha accontentata.
Prima di andare a scuola voglio controllare se sono usciti i miei numeri, lo so che è difficile, ma ogni anno non posso fare a meno di tentare la fortuna.
Ho grandi sogni per il mio futuro, mi piace disegnare abiti e vorrei tanto poter diventare una grande stilista, e diventare così tanto ricca da potermi permettere di avere un atelier tutto mio, con il mio nome scritto a caratteri cubitali, certo non con il mio di nome Clara Bianca, ma con un nome adatto alla moda.
Mi piacerebbe disegnare abiti per persone come me, io non sono magra ma piuttosto in carne, per non dire grassa, ma non per questo non amo vestirmi bene ed elegante.
Purtroppo per colpa della mia “ciccia”, mi sento un po’ discriminata, infatti anche se non lo dicono forte, quando passo a scuola, le mie compagne di classe, ridacchiano e mi chiamano la “cicciona”, anche se non lo sento chiaramente, so che lo dicono, specie quando ci sono in giro i maschietti della nostra classe, specialmente con Alessio, a cui ho donato il mio cuore, senza essere corrisposta.
Certo lui nemmeno si sogna di uscire con me, anzi quando si trova con le altre ragazze, sono sicura che mi prende in giro pure lui.
Io soffro, vorrei tanto poter far parte del loro gruppo, ma non mi vedono nemmeno se non per prendermi in giro.
A volte fantastico sulla ricchezza, su come potrei spendere tanti soldi, oltre che comperarmi tanti vestiti, li disegnerei.
Va beh mi vado a preparare, però prima controllo i numeri sulla TV.
Incredibile sono uscite le prime due lettere, sono le mie, comincio a sospirare, poi escono gli altri numeri, il 5, è il mio, che bello, e poi esce il 2, anche quello è il mio, sorrido scettica, esce il 7 oddio , il mio cuore manca un colpo! e poi ancora il 7 , comincio a tremare, non sarà!!! non illuderti, aspetta gli altri numeri, esce il 9, ora veramente il mio cuore ha smesso di battere!, manca un numero, comincio a pregare, fa che sia così, io non prego mai, ma questa volta Gesù ti prometto che verrò tutte le domeniche a messa.
Esce di nuovo il 2, oddio è il mio! Ho vinto davvero, non so se gridare o stare zitta, sento il cuore che batte all’impazzata.
Ho veramente vinto 500milioni di euro? lo devo dire a mia madre, no meglio di no, che faccio? a scuola oggi non vado, si ma dove vado e cosa dico a mia madre? anche se non vado la professoressa è capace che chiami in casa, no, non posso rischiare.
Mi faccio una doccia per cercare di calmarmi, ho la mente in subbuglio, non riesco a decidermi, e poi, penso, certo che vado a scuola e voglio guardare i miei compagni con altri occhi, con la consapevolezza che IO SONO RICCA e quando avrò finito la scuola, li potrò rincontrare e mostrare a loro tutto il mio splendore, anche con un po’ di ciccia.
Sì, ma loro non sanno della mia ricchezza e continueranno a prendermi in giro.
No, questa volta mi mostrerò a loro, non con gli occhi bassi, come ho sempre fatto, ma con una nuova coscienza e consapevolezza.
Io non sono meno di loro e poi che Alessio, Dio quanto è bello! lo sogno di notte e so che quando sarò ricca mi guarderà con nuovi occhi e si innamorerà di me, ma io allora lo snobberò, che soddisfazione!
E l’insegnante? non posso dire che è cattiva, però mi interroga sempre quando non sono preparata, ma che mi legge nel pensiero?
Ecco ora sono pronta, prendo lo zaino e penso freneticamente che faccio con il biglietto, non posso lasciarlo incustodito, ma nemmeno lo posso portare con me,
Dovrei portarlo in una banca? e affidarmi ad un avvocato che mantenga il mio anonimato? Ma forse dovrei dirlo a mia madre, e se poi lei me lo toglie per metterlo da parte per quando avrò 18 anni, e no, non posso permetterlo, io li voglio subito, devo realizzare tutti i miei sogni.
Ahhhhh vedo il mio Atelier, vedo già i vestiti appesi, le commesse che cercano di fermare le tante clienti che si affannano a comperare i miei vestiti; ed io li a guardare e a complimentarmi con me stessa per il successo.
Senza falsa modestia sono brava a disegnare abiti di moda mi sono sempre cimentata a cucire e a disegnare abiti per le mie bambole, è una mia dote naturale
Almeno quella non me la leva nessuno, non sono nemmeno molto alta, sono sovrappeso e ho un viso e un portamento banale, ma so che ho una grande mente e una grande fantasia.
Questo mi aiuterà a sopportare questo momento della mia crescita, così difficile e complicata.
Spalanco la finestra, che luce strana questa mattina, entra come una nebbia che mi avvolge, mi sento un po’ strana, sarà per la vincita o per il tempo?
Ora devo affrettarmi per andare a scuola, dovrò affrontare Stella, quella strega che fa gli occhi dolci ad Alessio, la picchierei, ma lei me lo fa apposta a sorridere a lui e a bisbigliare quando entro in classe.
Clara, Clara, ma non sei ancora pronta, ecco la voce di mia madre, mi arriva soffocata, come se venisse da molto lontano,
Boh!
Clara, Clara, ma sei ancora a letto? Lo sai che ora è, sbrigati ad alzarti, ti devi ancora preparare, muoviti che fai tardi a scuola.
Quella voce così ovattata che arriva da lontano, ma che dice, io sono pronta! perché vuole che mi svegli e mi prepari?
Clara, Clara, insomma, mi tira via le coperte…Le coperte!!, ma io sono già pronta.
Ora la stanza è piena di sole, mia madre ha aperto la finestra, non c’è più la nebbia che mi avvolge.
Mi sento strana, mi alzo dal letto me sembro uno zombi, che mi succede? Tutto mi sembra irreale, mia madre, la stanza, il mio letto, la finestra, il sole,
Un pensiero improvviso! corro dal mio biglietto vincente! o NO era tutto un sogno, non sono ricca e non lo sarei stata con la vincita del biglietto.
Mi metterei a piangere, tutti i miei sogni infranti in un momento.
Avevo fatto solo un sogno, che delusione, guardo mia madre e mi viene di nuovo da piangere, non sono ricca, non sono famosa, non sono bella e ben vestita.
Sono solo io, una ragazza che sta crescendo, che ha fatto un sogno ma da cui si deve svegliare.
Ebbene che questo sogno si realizzi.
Da oggi tutti i miei sforzi saranno concentrati sul mio obiettivo.
Voglio essere e sarò una stilista di moda, molto famosa, non so se con questa professione diventerò ricca, ma sicuramente sarò più sicura di me.
Accetterò il mio corpo per quello che è e lo amerò senza desiderare di essere diversa.
Credo che il mio sogno di vincita e di ricchezza si sia avverato, infatti anche se non di denaro posso dire che sono molto RICCA dentro di me e con una nuova consapevolezza del mio valore come persona e non come involucro,
Ecco i miei numeri vincenti
AB 527792

Giacomo e la Ninfa

Questo articolo è stato scritto e pubblicato da Nerina Piras.

Giacomo sbarcò per la prima volta al Porto di Civitavecchia una domenica primaverile, scese dalla nave di Crociera e si trovò davanti all’antico Forte Michelangelo, così imponente, così fiero di sé.
Aveva solo un giorno per visitare la città, si sa, le crociere sono belle solo quando sei a bordo, dove trovi tanti divertimenti, dove tutte le sere puoi intrattenerti a vedere il teatro o il cinema, per il resto in quanto ad escursioni si ha sempre poco tempo per visitare le città che incontri.
Giacomo aveva tanto sentito parlare di questa città, ed era curioso di poterla scoprire, era assieme ad un amico, scapolo come lui, chissà forse pensavano di incontrare la loro anima gemella, proprio lì sulla nave da crociera! Ma per ora su quella nave trovarono solo coppie di persone sposate.
Sbarcarono di mattina presto e un sole timido ma tiepido li accolse come un benvenuto.
Erano giovani, quando si hanno 30 anni ci si sente pieni di vita e di voglia di vivere, ma Giacomo era un amante dell’arte e non voleva limitarsi alle bellezze della piccola cittadina, mentre Mario, molto più prosaico ammirava le bellezze delle ragazze che incontrava, assieme formavano una strana coppia.

Giacomo era alto, moro, occhi castani, con un bel portamento, Mario biondo, piccolino, un po’ grassottello ma con un sorriso sempre stampato in viso che lo rendeva affascinante e intrigante.
Incontrare quei due sulla “passeggiata” alla ricerca delle bellezze della città erano un bel vedere loro stessi.
Giacomo aveva un po’ studiato il percorso da fare e la prima tappa per lui fu dirigersi verso il Ghetto, il quale come lui aveva studiato, inizialmente era destinato agli ebrei, poi con il tempo in esso si era andata a creare una piccola comunità di ristoranti, bar, luoghi d’incontro, un luogo comunque separato dal centro caotico della città e pieno di vita, di gioventù e di movida. Infatti, Mario adocchiò subito una bella cameriera e voleva fermarsi li, ma avevano poco tempo e quindi si limitarono a scoprire questa meraviglia per poi proseguire per il centro della cittadina.
Le sue antiche mura, la sua storia affascinarono Giacomo, ma era pur sempre pensando di trovare la sua “anima gemella”.
Mario, così scanzonato portava avanti la sua persona ammiccando a tutte le belle ragazze che incontrava e loro, civette e divertite, ricambiavano il sorriso. E si Mario era proprio affascinante! Giacomo era diverso, era sempre un po’ silenzioso, pensieroso, sempre con la voglia di scoprire questi luoghi…ma il tempo era tiranno, era già pomeriggio e il sole iniziava a scendere tingendo di rosa le case …e allora come non fare una passeggiata sulla spiaggia? Che poi spiaggia proprio non è, con tutti quei sassi e scogli…ma la bellezza del luogo era proprio quello.
Mario decise che per lui era meglio tornare al Ghetto dove aveva già adocchiato una bella ragazza. Così si divisero.
“Ci vediamo direttamente sulla nave, a dopo” si salutarono. Giacomo iniziò a camminare inebriato dall’odore del mare, dalla musica che il mare gli trasmetteva con il suo sciabordio, fu così che incontrò Marina, una ragazza dagli stupendi occhi azzurri come azzurri erano i suoi lunghi capelli sciolti al vento. La fissò incuriosito e incantato, anche lei lo guardò.
Amore a prima vista? Iniziarono a parlare come se si conoscessero da sempre, le profumava di mare, lui incantato la guardava e quasi non riusciva a respirare per l’emozione che provava.
Intanto il sole piano piano volgeva al termine del suo percorso giornaliero, colorando di rosso le acque del mare creando un’atmosfera irreale. Lei, però guardando il mare gli disse ” è ora per me di tornare a casa”!
“Dove abiti, ti accompagno”; non voleva lasciarla andare.
“Non mi puoi accompagnare, abito in un luogo a te proibito”.
“Niente mi potrà impedire di venire con te!” Lei si schernì
“Sei sicuro che verresti con me?
“Certo” Giacomo era ormai così innamorato, così perso nei suoi occhi azzurri che per niente al mondo l’avrebbe lasciata andare.
Allora lei, iniziò a incamminarsi verso le onde del mare, lentamente, volgendosi indietro per essere sicura che lui la stava seguendo. Giacomo, un po’ sorpreso, si fermò sulla riva del lido del Pirgo, non capiva perché lei continuasse ad entrare nell’acqua. Marina ancora una volta si girò e gli fece cenno, vieni, voleva dire, lui tentennava e quando ormai la testa di Marina sfiorava le onde e i suoi capelli azzurri si confondevano con i flutti, capii!!
Doveva seguirla, lei non era di questo mondo ma una Ninfa del mare, e al mare apparteneva, lui sapeva che per averla avrebbe dovuto seguirla e diventare come lei, allora entrò in acqua, lei era li ad accoglierlo.
Ancora oggi si racconta che Mario ormai anziano e con i capelli bianchi, ogni anno, dello stesso mese, stesso giorno torna alle spiagge del Pirgo di Civitavecchia ad aspettare il suo amico Giacomo, che su quella nave mai più fece ritorno.

La Principessa e la Gattara

Questo articolo è stato scritto e pubblicato da Nerina Piras e Simona Gaudenzi.

“Buongiorno come sta oggi la mia Principessa?”
“Bene, papà bene, c’è il sole, hai visto? vai anche oggi a lavorare? non rimani a giocare con me?”
“No tesoro, devo andare, il lavoro mi chiama, tanto resterai con la Tata, lei ti porterà a scuola e poi al parco, non ti preoccupare starai bene, io torno questa sera aspettami sveglia così ceneremo insieme”
“Certo papà, ma la tata è cattiva, vuole sempre che mi allacci le scarpe da sola, e non mi aiuta mai a vestirmi”
“Principessa, è giusto, devi imparare ad essere indipendente, quando io non ci sarò più dovrai continuare a vivere e a saperti gestire da sola, nel possibile”.
“Lo so però lei è cattiva lo stesso, io voglio che le scarpe me le allacci tu”
“Va bene per oggi lo farò io, ma tu obbedisci alla tata”.
“Va bene te lo prometto, però oggi voglio andare al parco, c’è una signora che porta sempre da mangiare ai gatti, sono così belli! mi piacerebbe averne uno”.
“Non se ne parla nemmeno, Tesoro, la tata non può occuparsi anche di un gatto”.
“Ora io vado, mi raccomando quando sei a scuola, cerca di ascoltare l’insegnante e impara tante cose, vedrai quanto è bello il sapere.
“Certo te lo prometto, ho già imparato a leggere il mio nome e tutto l’alfabeto, ed ho imparato anche a contare fino a dieci, dieci come i miei anni, sei contento papà”?
“Certo Principessa, non avevo dubbi, stasera mi racconterai come hai trascorso la giornata, ciao”.
“Ciao”.
Ecco ora quella strega della Tata, vorrà persino che mi faccia la doccia da sola, che pizza, quello che più difficile per me è infilare i pantaloni, sono così lunghi.
Vorrei sapere perché io non ho la mamma, ma una tata.
Papà dice che è un angelo, e che anche se non la vedo è sempre con noi, sarà… ma io mi sento sola, la vorrei vedere…almeno se avessi un gatto!
Ci sono le foto di lei in casa, è così bella, bionda con gli occhi azzurri come i miei, papà dice sempre che le somiglio, ma io la vorrei vedere e chiederle perché è andata in cielo con gli angeli invece di restare con me?
Quando lo chiedo a papà, piange sempre, allora ho imparato a stare zitta.
Va beh ma tanto oggi c’è il sole e la tata mi porterà al parco, dove ci sono tutti quei gatti, che belli che sono!

MARIA
Maria sedette stancamente sulla panchina ai margini del parco, anche per oggi i suoi pelosetti avevano mangiato.
Li guardava affettuosamente mentre finivano quello che era rimasto nelle ciotole e poi andavano a strusciarsi con le code dritte sulle sue gambe.
Li conosceva tutti Maria, i suoi pelosetti, a tutti aveva dato un nome. I gatti sapevano quando chiamava uno di loro.
“Per quanto ancora riuscirò a venire qui?” pensò Maria mentre rimetteva nella grossa borsa le ciotole. Il guardiano del parco si era raccomandato di non lasciare niente dopo che i gatti avevano finito di mangiare.
Le aveva concesso di utilizzare quel posto in fondo al parco e lei si atteneva scrupolosamente alle indicazioni che le aveva dato, era prezioso per lei quell’angoletto tranquillo, quella panchina dove poter rimanere un po’ a godersi la compagnia dei suoi amici.
Gli anni cominciavano sempre di più a far sentire il loro peso su quel corpo di ottantacinquenne ormai piegato dall’artrosi.
“Chi potrà venire qui al posto mio quando non ci sarò più?” rimuginava tra sé, preoccupata per il destino dei suoi amici. La vita non era stata generosa con lei.
Era rimasta sola con sua madre quando aveva solo quattordici anni, suo padre era partito all’estero in cerca di fortuna e dopo un po’ non aveva più dato notizie di sé. Maria aveva sempre cercato di non far sentire a sua madre il peso dell’abbandono, come se poi non fosse stata abbandonata anche lei.
Aveva cominciato subito a lavorare a servizio presso una famiglia. Sua madre cuciva, ma il suo lavoro di sarta non bastava a mantenerle. La sua adolescenza e poi gli anni della giovinezza erano trascorsi tra il lavoro e le domeniche a messa e poi in compagnia di sua madre.
Non si era mai sposata, non aveva conosciuto l’amore di un uomo.
Ad un certo punto della sua vita, quel senso negato di maternità si era trasformato in un istinto d’amore verso quei piccoli esseri che vedeva bisognosi e affamati girare nei pressi della sua casa. Era così che era nato quel suo rapporto speciale con i gatti. Aveva cominciato ad amarli, a sentirli come dei figli e ad occuparsene con amorevole cura.
Quando perse sua madre il rapporto con loro divenne ancora più intenso. Erano la sua famiglia. Tanti ne aveva aiutati e tanti ne aveva persi nel corso degli anni. Tutti nel quartiere la conoscevano come “Maria la gattara”.
Una donna un po’ stramba, dicevano. Passare la vita a occuparsi dei gatti! Ma poco sapevano del suo animo buono e gentile.

L’INCONTRO
Principessa era raggiante. La tata quasi non riusciva a starle dietro, i suoi passetti incerti e insicuri sembravano aver acquistato una scioltezza che non si era mai vista prima.
Il viale del parco, che portava all’ultima panchina sotto il grande faggio, d’improvviso non era più difficile e stancante da percorrere, non voleva perdere l’arrivo della vecchia signora che portava da mangiare ai gatti.
Principessa si avvicinò titubante alla signora che era già seduta sulla panchina e la salutò timidamente.
La tata correndole dietro la sgridò, “Principessa tuo padre non vuole che tu corra così”, ma Principessa non l’ascoltava
Maria salutandola con circospezione, guardò la bimba con occhi diffidenti, vedendola un po’ stramba, portava gli occhiali, ma aveva due occhi azzurri bellissimi, limpidi.
Maria amava la sua solitudine e quella bambina che si avvicinava le incuteva fastidio, non era abituata a parlare con le persone, figuriamoci con i bambini, lei amava solo i gatti, che non la tradivano mai.
“Signora, Signora ma sono suoi i gatti?” Maria stancamente le rispose “No sono del parco, io mi curo soltanto di loro”.
“allora posso toccarli! e accarezzarli il parco non dirà niente!”
La vecchia sorrise, l’ingenuità della bimba la spinse a prestarle maggiore attenzione. Era una bimba speciale, come diversa e speciale si era sempre sentita anche lei”
“Certo che puoi accarezzarli, il parco è nostro amico”
“Ma come si chiama questo?”
“Si chiama Andrea”
“Andrea? che bello” batté le mani contenta.
Maria sentì un moto di dolcezza per la bambina, le sembrò di vedere sé stessa tanti anni prima, la sua timidezza, la sua solitudine, la sua diversità, in un mondo in cui non si era mai sentita a suo agio.
Guardò il gatto Andrea che stranamente si faceva accarezzare, in genere era sempre un po’ selvatico, accettava solo le carezze da Maria e il suo cibo.
“Vieni cara, siediti accanto a me, ti piacciono così tanto i gatti”?
“Si, mio padre non li vuole in casa, così quando vengo qui, li guardo e vorrei accarezzarli tutti”
“Ma tu sei sola qui al parco?”
“No, vengo con la tata, mio padre deve lavorare”
“E tua madre?”
“Non lo so dov’è, papà dice che è un angelo”
Maria si sciolse, e tutte le sue angosce e pene, si trasformarono in commozione, abbracciò la bimba.
“Sai io vengo qui tutti i giorni a dare loro da mangiare”
“Lo so, lo so, annuì Principessa”
“Se ti fa piacere puoi venire ad aiutarmi, Io sono vecchia e avrei tanto bisogno di aiuto”
“Sarei felice di farlo, lo chiederò a papà questa sera, sono sicura che non mi dirà di no e poi un giorno chiamerò qualche compagna per farle vedere come sono brava a dar da mangiare ai gatti del parco.”
Rimasero per un po’ a parlare del loro progetto, un alone di sintonia e dolcezza sembrava circondarle.
La Tata era rimasta in silenzio, in disparte ad osservare. Stava facendo buio, Principessa e la Gattara si salutarono calorosamente.
“Ci vediamo domani Maria! porterò una busta di croccantini” disse Principessa mentre si allontanava.
Maria si voltò e il suo cuore sorrise.

Io Indio

Questo articolo è stato scritto e pubblicato da Nerina Piras.

Sono uscito ora da un bel bagno ristoratore, ho corso tutto il giorno con i miei compagni di gioco. Sono il primogenito di una famiglia molto importante della mia tribù. I miei nonni mi predicono sempre una grande fortuna, chissà forse un giorno potrò diventare stregone o addirittura capo tribù, per ora mi accontento di dominare i miei compagni di gioco. Non sono molto alto, ho 13 anni e penso che comunque non crescerò più di così, mio padre non è molto alto nemmeno lui, ma in compenso sono molto forte, e quando ci cimentiamo nella lotta, vinco quasi sempre io. Oggi i miei sono tutti al tempio a pregare i nostri antenati, il totem che ho vicino alla mia capanna, rappresenta il Sole e la sua forza, che illumina il nostro grande popolo, a cui noi dedichiamo sacrifici per poter avere sempre la loro benevolenza. La mia vita trascorre tranquilla, con i miei amici e con la mia famiglia, ho un fratello più piccolo e una sorella , lui ha 11 anni e lei solo 9, Lei vorrebbe sempre giocare con noi, ma noi non la vogliamo, siamo maschi e rudi e lei è così fragile, insomma è una femmina e deve stare con le femmine. Abbiamo tanti Dei a cui dedicare le nostre offerte, ma io ricordo sempre quando mio nonno mi raccontava, davanti al fuoco la sera, delle belle esperienza e gli insegnamenti dei nostri Avi, venuti da lontano “dalle Stelle”, e mi affascinava quando mi diceva che il nostro grande Re/Dio un giorno prese il mare e se ne andò, ma promise di ritornare più splendente di prima sempre dal mare. Ed ecco che un giorno, dal mare spuntarono delle navi con degli uomini con uno strano cappello dorato, con animali alti, eravamo affascinati , specialmente noi ragazzi, pensai il nostro Re/Dio è tornato, dovevamo dargli la giusta importanza.
Arrivarono in tanti con quei strani animali, poi chiamati cavalli. Ricordo quel giorno, tutta la tribù si riversò sulla spiaggia per ammirare questi uomini che sembravano tanto alti come i loro cavalli. Eravamo allibiti e pronti a metterci in ginocchio davanti a loro per adorarli, c’era un silenzio irreale quel giorno sulla spiaggia, li guardavamo increduli e forse un po’ spaventati. Noi eravamo un popolo tranquillo, non avevamo nemici, vivevamo di quel poco che avevamo ed eravamo sereni, quel giorno qualcosa cambiò anche il noi.
Vennero con un portamento da Re e noi li guardavamo ammirati o forse spaventati, da quel giorno la nostra vita cambiò.
La mia adolescenza finì quel giorno, dovetti crescere per forza. In principio non fu così terribile, ma presto uscì la loro vera natura, la loro avidità, la loro cattiveria. Con loro vi erano dei “missionari” così li chiamavano, e alcuni giorni dopo la loro venuta ci fecero un discorso strano che noi non capivamo. Con il senno del poi seppi che ci chiedevano, e leggevano, una lunga intimidazione a convertirci alla fede cattolica, pressappoco diceva così: Se non vi convertite, vi dico, che con l’aiuto di Dio io entrerò con forza entro di voi e vi assoggetterò al giogo e all’obbedienza della chiesa di Sua Maestà e prenderò le vostre moglie e i vostri figli e li farò schiavi, e li venderò come sua maestà comanderà e prenderà i vostri beni e vi farò tutto il male possibile. Io ero un ragazzo, non capivo cosa volessero da noi, credo che volessero i nostri ori, le nostre ricchezze, ma cosa centravano i nostri Dei, le nostre credenza? Perché volevano che adorassimo il loro Dio, che nemmeno conoscevamo? era una scusa? Iniziò un incubo, ci venivano a prendere nelle nostre case per portarci lungo i fiumi a cercare l’oro, presero anche noi ragazzi, molti di noi morirono così di stanchezza e di stenti, anche perché questi uomini ci avevano portato le loro malattie, a cui noi non eravamo abituati e non avevamo anticorpi per proteggerci. Io ero ancora giovane, anche mio fratello fu fatto schiavo e morì di stenti e di sfinimento nei loro campi. Io cercavo di resistere perché volevo proteggere la mia sorellina fortunatamente ancora giovane, perché questi bruti, oltre che renderci schiavi, stupravano le donne, anche mia madre ebbe la stessa sorte. Ma noi come popolo avevamo un cuore indomito, non si poteva accettare così questa schiavitù, molti del nostro popolo, piuttosto che essere schiavi , loro e i propri figli, si suicidarono in massa. Fu un duro colpo per noi, altri invece si abbandonarono ai loro vizi, iniziarono a bere e ad ubriacarsi, così da indebolire ancora di più il loro fisico ormai danneggiato. Il ricordo più atroce che ho. da quando riuscivo a capire la loro lingua è il sapere , che ci ritenevano senza anima, per questo ci mandavano in miniera per curare la normale cattiveria che avevamo, secondo loro, e perché ci ritenevano pigri, e, ancora più grave non credevamo nei miracoli del loro Gesù Cristo, per questo eravamo da condannare senza pietà. Adoravo i miei Dei, sempre in casa lo avevamo fatto ed ora ci dicevano che i nostri Dei erano pagani e ci mostravano un uomo in Croce, dicendo che lui era la vera Religione. Per me non era così, come non lo era per molti di noi. So che qualcuno della mia tribù accettò per disperazione la conversione e si fece battezzare da questi Missionari conquistadores, ma credo fortemente, che di nascosto continuavano ad adorare i loro dei. Crescere in questo contesto fece di me un uomo pieno di rancore e di odio, verso questo popolo venuto a distruggere la nostra vita. Mi sentivo in trappola, crescevo schiavo io uomo nato libero, questo mi procurava tanta voglia di ribellarmi, ma ormai eravamo quasi decimati come popolazione. Una piccola luce si accese quando da noi venne un “missionario!” Las Casas, che per 20 anni era vissuto nell’agio come “encomendero” ed ora finalmente si rese conto del genocidio perpetrato ai nostri danni. Si rese conto quando imbarcato nel 1513, con la spedizione di Diego De Quellar, fu testimone dello sterminio del popolo Taino per la civilizzazione della colonia. Rimase talmente scioccato, che lo visse come un incubo, tanto che si recò dal re di SPagna per parlare in favore di noi indios. Riuscì nel suo intento per soli tre anni, formando una colonia di soli indigeni non schiavi. Alla fine riuscì a far abolire l’Encomienda, rendendo di fatto illegale la nostra schiavitù.
Dopo tanti anni di questo tormento io e gli amici che erano rimasti in vita abbiamo capitolato e ci siamo convertiti al cattolicesimo, abbiamo abbracciato la loro religione…ma ancora oggi che parlo con i miei nipoti, racconto loro la nostra storia, per non dimenticare e l’invito ad adorare ancora i nostri Dei, il Sole, la Luna, il nostro Totem, ma questo in gran segreto.
Sono sopravvissuto, grazie alla mia forza di volontà e la voglia di proteggere i miei cari, anche se non sono riuscito a tanto, ma posso dire che almeno ci ho provato, non ho accettato passivamente gli eventi, ma ho cercato di combatterli.

Vent’anni Dopo

Questo articolo è stato scritto e pubblicato da Nerina Piras.

Oggi rovistando tra le vecchie scartoffie, ho notato una lettera ingiallita, mi sono incuriosita, è tanto che non mi metto davanti al Pc, forse è colpa dell’età, e gli acciacchi si fanno sentire tutti. Cammino infatti con il bastone e gli occhi sono sempre più deboli, solo la mia mente è sempre vigile e attenta. Ho due nipoti una vive a Milano, ha 28 anni, non perché è mia nipote ma è di una bellezza eterea, ed uno a Roma, lui ha vent’anni, li adoro, sono la mia gioia, il maschio che abita vicino a me, non mi lascia mai da sola, ogni giorno se anche non può venire a trovarmi, mi chiama al telefono per sapere se sto bene, se ho bisogno di aiuto. Che caro! Ricordo la loro nascita, allora ero piena di forza e di voglia di vivere, avevo 20 anni in meno e anche se non ero proprio una giovincella, ero piena di vitalità, mi dedicavo a tante attività, ero volontaria ad una ASL, mi occupavo di pratiche amministrative, aiutavo le persone che non potevano recarsi a Civitavecchia, così io ed altre colleghe svolgevamo il lavoro per loro. Andavo a scuola di recitazione…mamma mia quanto mi sono divertita, era bello interpretare ogni volta un personaggio diverso.
Non so se fossi all’altezza, non me lo sono mai chiesto, ma il divertimento era garantito e questo mi bastava. Mi piaceva viaggiare, avevo visto tanti luoghi lontani e vicini, amavo l’Italia e ancor più amavo l’incontro con gli altri popoli, altre razze, altre culture, era come crescere ogni giorno. Così zoppicando e un po’ a tastoni mi sono avvicinata alla scrivania, quanta polvere! non mi ci siedo più, che peccato. Sbircio per mettere un po’ d’ordine tra tutte quelle cartacce e cosa vedo? Una lettera! Mi sembra un po’ ingiallita, ma di chi sarà? chi l’avrà scritta?
Inforco gli occhiali, ormai senza di loro per me è buio pesto, faccio fatica a leggere, guardo la data mio Dio è del 2022, è di 20 anni fa!! Ma a chi è indirizzata? a Nerina Piras, a me, e perché mi sono scritta venti anni fa?
Faticosamente leggo e mi rendo conto che questa lettera l’ho scritta effettivamente io… a me stessa! Ma come è possibile! Ora ricordo, ad una lezione di Teatro il nostro registra Enrico, ci aveva fatto scrivere una lettera che ci rappresentava 20 anni dopo, mai avrei pensato che si sarebbe avverata quell’idea. Avevo davanti a me una lettera scritta per me da me stessa! Che emozione! Ero io con i sogni di allora, con i desideri di allora che immaginavo come sarei stata ora, magari senza bastone e senza occhiali. Ma ero io!! Io che sognavo di vedere crescere i nipoti; io che sognavo che loro realizzassero tutti i loro sogni, Asia, che diventava una bella donna affascinante, Manuel che studiava con amore e leggeva con la stessa passione che aveva infuocato la mia vita. Che altro desideravo a quei tempi dalla vita?
Ah si, la Libertà, quella libertà che vedevo sbriciolarsi tra le dita giorno per giorno, mi sembrava che un cappio mi avvolgeva e non mi dava respiro, volevo il mondo libero da questa pandemia. Volevo un mondo pulito, ecologico e libero per i miei nipoti e perché no anche per me che ero agli sgoccioli della vita.
Ero nata libera e libera volevo morire, ed ora questa lettera, ma cosa avevo scritto allora?
Piango, mentre la leggo, mi commuovo, mi rivedo guerriera, a lottare per la libertà, mi rivedo piena di forza e di voglia di vivere, ed ora che la rileggo, provo una grande pace, una contentezza, una gioia, so che i miei sogni si sono avverati tutti.
In questo mio cammino verso la fine della vita, vedo che ho realizzato la maggior parte dei miei sogni e dei miei obiettivi. Vedo davanti a me, no, due bambini ma una donna e un giovane uomo, che crescono con la consapevolezza della libertà che per un periodo ha barcollato. Vedo che i ragazzi hanno realizzato tutti i loro sogni e mentre leggo vedo passarmi davanti tutti gli anni trascorsi, tutte le lotte. Quanto amore in questa lettera scritta per me da me, quanta gioia ritrovarla ora e scoprire com’ero e come sono, quante emozioni, piango si, ma sono lacrime di gioia, di soddisfazione e di gratitudine verso la vita, la mia vita.

Rivoluzione Umana

Questo articolo è stato scritto e pubblicato da Nerina Piras.

Bella parola, Rivoluzione Umana

quando si parla di rivoluzione si pensa sempre ad una rivoluzione armata, morti, sangue, feriti, ma qui si tratta di una rivoluzione Umana, cosa significa nel profondo?

Quando ho abbracciato la fede buddista ero una persona completamente diversa, timida, timorosa ad affrontare la vita e i suoi disinganni.

La vita rappresentava un’incognita spaventosa dove ogni pericolo era dietro l’angolo.

La vita come a tutti dà dei momenti di gioia e dei momenti di lotta, i miei sembravano solo di lotta.

Un lavoro faticoso, povertà in famiglia, poi un marito, classico esito di una famiglia italiana.

Poi però il divorzio, già non più scontato, perciò tanta sofferenza, chi è passato attraverso questa esperienza, sa quale sfacelo può portare alla psiche umana, tutte le certezze, tutte le sicurezze in un attimo vengono spazzate via, non hai più amici, ti isoli dalla famiglia, non vuoi mostrare le debolezze del tuo cuore e il fallimento della tua vita.

Non so cosa può scattare nella vita di un essere umano, tanta disperazione porta anche a tanti problemi economici, una casa da mantenere, un figlio da crescere, un marito ormai nemico da combattere; e così con queste problematiche ti trovi sulla tua strada persone sorridenti che cercano di aiutarti a superare questo momento, con che? non con il vile denaro ma con una preghiera.

Si una preghiera ” Nam myoho renge kyo” è un mantra buddista, accolto da me con molta reticenza, pensi sia una “setta”, in principio e non ti fidi, ci vai con i piedi di piombo, ma poi ti convinci a recitare questo mantra, tanto non costa nulla, non si paga e non ti impegna più di tanto, crederci o non crederci è un’altra faccenda, non mi riguardava.

Poi quando la disperazione piano piano sta diradando e vedi alcuni risultati da parte delle tue preghiere, pensi “ma, sarà un caso”, figurati se è merito di questo mantra.

Intanto ottieni un grande beneficio, puoi acquistare la casa e piano piano, ti accorgi di come la tua vita sta cambiando, piccoli cambiamenti, un sorriso che sboccia più facilmente sul tuo volto, un pensiero che non sia catastrofico, come lo è sempre stato, vedere la vita in modo differente, alzarsi la mattina e ringraziare di essere vivi, di provare gioia per le piccole soddisfazioni della vita, essere sereni in ogni circostanza, anche la più brutte che ti possono capitare, e allora cerchi dentro di te le risposte, come mai questo cambiamento?

È bello sentirsi così, arriva un giornale con questo titolo “la rivoluzione umana”, ma cos’è questa rivoluzione umana, nei libri di scuola le rivoluzioni sono caratterizzate da lutti, sangue, miseria, disfacimento della società, questa rivista di cosa parla?

Ecco ora lo so, forse non lo capirò fino in fondo, ma un piccolo lumino si accende

La rivoluzione Umana è il cambiamento interiore, il modo di porsi nella vita, il sapere che in ogni momento di questo percorso, c’è una fede che ci guida e ci indica il cammino anche quando sembra che non ci siano vie d’uscita.

È una scoperta meravigliosa, divento consapevole delle mie parole, dei miei gesti, del mio modo di essere, e mi sento fortunata, perché nonostante tutte le difficoltà che ho incontrato nella vita, e che incontrerò, il mio stato vitale è alto, così da permettermi di affrontare ogni prova con coraggio e con la sicurezza che VINCERÒ.

Si credo sia questo il significato della Rivoluzione Umana, e questo cambiamento graduale, giorno per giorno della mia visione di vita, grazie alle mie compagne di fede che mi hanno sostenuto fino qui.

E ancora oggi dopo tanti anni continuano a sostenermi e danno una mano in caso di necessità.

La vita è bella.

Nonna

Questo articolo è stato scritto e pubblicato da Nerina Piras. 

Essere nonna, una parola che racchiude in sé mille emozioni.

Basta un momento per sentire il tuo cuore battere all’unisono con il suo.

Vedere tuo nipote dormire accanto a te, sentire/vedere il suo piccolo cuore che batte, le sue manine, così perfette, così piccole e sentire quel miscuglio di meraviglia e di emozioni che ti da solo a guardarlo dormire o a sfiorarlo per non svegliarlo, per bearsi ancora del suo respiro del suo odore del suo piccolo essere, ma così grande per le tue emozioni, per le sensazioni che ti da solo a sentirlo respirare.

Sapere che quando ti guarda, e quando ti sorride ti trasmette in un attimo tutte le emozioni del mondo, una carica che nemmeno potevi immaginare. Il figlio di tuo figlio, ti riporta ai momenti vissuti in altri tempi, quando questo padre, ora così orgoglioso, era lui un bimbo stesso, tanto tempo fa 41 anni per la precisione.

Ti chiedi: anche allora hai provato le stesse emozioni? sicuramente sì ma erano emozioni divise con la preoccupazione; di crescerlo; di educarlo; di non fargli mancare nulla.

Ora invece è diverso, via la preoccupazione, è rimasta solo la gioia di sentirlo ridere, di vederlo mangiare, di vedere come scopre il mondo, di vedere i suoi primi passi, come gioca con te.
Certo le forze sono diverse, ora la schiena non si piega più come una volta, ma tu lo fai lo stesso, con fatica ma lo fai.

Lo prendi in braccio quando allunga le sue di braccia per farsi prendere e senti di avere nelle tue mani il mondo intero racchiuso in questo essere così piccolo, così indifeso, così immenso, e lo stringi nel tuo cuore, perché non ci sono parole per descrivere tutto questo, bisogna solo provarlo.

E perché non ricordare il momento in cui hai scoperto di diventare nonna?

Ti hanno regalato un “ciuccio” della Chicco e lo hai guardato senza capire… poi un lampo!! diventerò “nonna” lo avevo tanto desiderato!! E poi ancora vedere quella pancia che cresce e sapere che lì è racchiuso quel piccolo essere, che già vive, e ascolta tutto ciò che poi scoprirà con la nascita.

E poi l’attesa in ospedale con i parenti di lei e i nostri, le camminate per i corridoi, in attesa della tua venuta, le restrizioni a cui ci dovevamo abituare per colpa del “Coronavirus” e già sei nato nel 2020 anno che si ricorderà nella storia.

Poi ecco che finalmente nasce questo “miracolo” e ti portano dentro una incubatrice, per via del “famoso virus” e non possiamo toccarti, ma solo ammirare attraverso la teca, come un tesoro prezioso, ed aver voglia di stringerti così bello così distante ma così vicino.

Grazie di esistere mio piccolo grande tesoro.

Sibilla Aleramo

Questo articolo è stato scritto e pubblicato da Nerina Piras.

Ho scritto un libro “una donna” nel 1906, è un romanzo, almeno io lo definisco un romanzo, potrei dire che è la mia vita romanzata, anche se parlare di me è difficile.

Mentre scrivo faccio un percorso di autoanalisi, un processo continuo di ricerca della mia anima.

Faccio l’analisi del motivo che mi ha spinto a lasciare questo marito che non stimavo né amavo, e, alla vita che conducevo con lui nel suo gretto provincialismo.

Speravo che con la nascita di mio figlio Walter, le cose potevano cambiare, ma ero un’illusa,

 per questo tentai il suicidio, proprio come fece mia madre, la quale soffriva di depressione, si salvò la vita in quel tentativo, ma non si salvò la sua mente, che da allora ci lasciò per sempre.

La mia rinascita la trovai nell’impegno delle battaglie di emancipazione femminile, che mi diedero la forza di allontanarmi da questo uomo, che mi maltrattava e mi tradiva.

Il rimorso di aver dovuto lasciare anche mio figlio non mi dà tregua, infatti il padre di Walter non mi ha permesso di portarlo con me.

Ma i miei guai iniziarono già da bambina, il tentato suicidio di mia madre mi segnò profondamente, in compenso adoravo mio padre, il quale mi ha trasmesso gli ideali di forza e di indipendenza.

Quando però scoprii che aveva una relazione extraconiugale il mio mito crollò e i nostri rapporti si ruppero definitivamente.

Questa brutta esperienza, mi portò ad averne un’altra peggiore, quando mi innamorai di un ragazzo impiegato nella stessa fabbrica dove lavoravo, fui vittima di una violenza sessuale e anche se questo uomo poi divenne mio marito, il rapporto con lui non fu mai felice.

L’unica cosa bella è stata la nascita di mio figlio, che poi ho dovuto abbandonare per non impazzire come mia madre.

Il mio nome d’arte è Sibilla Aleramo sono nata ad Alessandria il 14 agosto del 1976. ma il mio vero nome è Faccio Marta Felicina detta Rina., ma questo non è importante, quello che conta è il mio impegno sociale, non mi sono limitata a scrivere, ma ho cercato di costruire una Lega che unisse le donne per il loro movimento di crescita.

Questo mi fu possibile quando collaborai con la rivista “Unione Femminile”, di cui poi divenni socia, per lasciarlo dopo un po’.

La mia vita sentimentale è costellata da una relazione dopo l’altra vissute tutte con tormento, tanto da avere anche rapporti omosessuali.

Non mi capacito come ho potuto rinnegare il mio passato di comunista per il bisogno di mangiare, piano piano mi sono avvicinata a Mussolini, così da essere ammessa all’Accademia d’Italia, per poter sbarcare il lunario.

Però non poteva la mia mente accettare questo compromesso per troppo tempo, per questo rifiutai di trasferirmi a Salò come mi ordinò il Ministero della Cultura, vergognandomi di queste mie ultime scelte.

È solo al termine della Seconda Guerra Mondiale che mi iscrissi al PC dove poi mi sono impegnata in campo sia politico sia sociale.

Il mio tormento più grande è stato il rifiuto di mio figlio Walter ad incontrarci, dopo trenta anni, lo vedrò solo sul mio letto di morte dopo aver conosciuto i miei nipoti.