A Caccia Di Tramonti

Questo articolo è stato scritto e pubblicato da Maria Carmen Brandi.

Vago sulla scogliera e poi tra i monti
Cerco l’ultimo raggio di sole
Quello che lascia nell’anima
La sfumatura
Dell’emozione! L’orizzonte…in fondo.
E il sole come il respiro
Scende sulla speranza dell’alba. Chiudo gli occhi è già domani!
Andrò a caccia di tramonti
Per tenere sempre tesa
La tela della vita.

Mille Piroette – “Schegge D’Autore” XX Edizione – Teatro Tordinona

Questo articolo è stato scritto e pubblicato da Maria Carmen Brandi.

“Schegge d’autore” un’esperienza culturale, formativa e di amicizia..
Ieri sera si è chiusa la rassegna in un’atmosfera di gioia e attesa….

Resta tanta emozione.
Ho incontrato persone speciali di quelle che “Vivono la realtà e poi la interpretano per renderla più bella, la realtà dell’arte che arriva all’anima” per citare una frase del grande attore Renato Capitani che ho avuto l’onore di conoscere. L’attore con una semplicità disarmante e l’espressione ingenua di un bambino ha descritto come si può fare arte, proprio alla maniera pascoliana. L’arte dell’emozione che arriva direttamente al pubblico, alchimia realizzabile solo in pochi contesti come a teatro.

Ringrazio per la bellissima occasione perché ho incontrato l’attrice e artista poliedrica Giovanna Ciccarone che con grande passione ha interpretato il mio testo “Autoritratto dell’anima”.

Un grazie speciale al musicista Matteo Cattani, alla scenografa Hortensia Hortensi perché hanno dato al mio testo la melodia e profondità ambientale e all’artista Mary Pucci per il suo quadro al centro della locandina.

Nel mio cuore restano due persone che hanno creduto in me: il direttore artistico del TEATRO TORDINONA Renato Giordano e la dottoressa Giulia Mininni che hanno permesso che fossi sul palco con grandi autori del teatro italiano come Salvatore Scirè, Liliana Paganini, Giancarlo Gori, Anna HurKmans solo per citarne alcuni.

Un orgoglio e soddisfazione per me!!

Scorrono Le Acque Tranquille…

Questo articolo è stato scritto e pubblicato da Maria Carmen Brandi.

Roma, olio su tela della pittrice Laura Corsi

Scorrono le acque tranquille….
È lo scorrere tranquillo e perpetuo delle acque,
che trascina le mie emozioni.
I riflessi delle luci dei lampioni
somigliano alle mie emozioni impigliate
nel movimento delle onde leggere.

Umide sono le tue carezze lente!

Le mani mi avvolgono….
Appena la mia pelle si contrae
al tocco.
Le acque scorrono perpetue.
Sorde!
alle mie emozioni!
Il crepuscolo mi avviluppa nel ciclo infinito della vita!

Rewind

Questo articolo è stato scritto e pubblicato da Maria Carmen Brandi.

“Amanti”
Per gentile concessione della pittrice Anna Cristino (clicca qui)

“Non riesco a non ammirare la profondità del suo sguardo! E gli occhi poi! Cerco di definirne il colore, forse nocciola, ma non è proprio così, perché l’iride ha sfumature verdi!”
Un sussurro sfiora l’orecchio di Emma.
È la voce di un uomo belloccio, non tanto alto, che si è alzato in piedi.
Nota subito la sua altezza, a lei non piacciono gli uomini troppo alti. La sua voce dal tono elegante, delicata e nello stesso tempo virile, ha suscitato la curiosità di Emma.
Dovrebbe essere stizzita da tanta intraprendenza, invece prova uno strano piacere nell’ascoltare le sue parole, ne è insolitamente attratta.
Lui continua a parlare, chino sulle spalle di Emma che concentrata sul tono della sua voce immagina singolari scene erotiche. Quasi ne prova vergogna. Proprio lei abituata ad un’educazione rigida e severa. Certi pensieri! Sono stati da sempre considerati tabù da sua madre. Discutere di sesso? Assolutamente no!
Emma è seduta in platea, in seconda fila, pian piano la grande sala in cui si sta tenendo la conferenza si riempie dei discorsi del pubblico. Il relatore sta facendo una pausa.
Lo sconosciuto dietro di lei continua a sussurrare parole.
La voce di lui si confonde con il vocio generale. Emma si volta cerca di interpretarne il labiale. L’uomo continua a chiacchierare, alza la voce, emettendo degli acuti:
“E’ anche molto elegante e il suo profumo così……!”
Mi chiamo Eugène! No! non sono francese e che i miei genitori amano la lingua francese, così mi ritrovo questo nome, un loro capriccio!
Emma è sempre più affascinata dalla sua sicurezza e ha l’impressione che la voce di Eugène si stia animando. Le lettere si levano dalle sue labbra e sembra assumano la forma di mani e braccia che la avvolgono, la accarezzano, fanno vibrare le sue membra. Teme che lui possa vedere i suoi pensieri, che possa cogliere le espressioni del suo viso e ciò che sta provando.
Si ricompone. Emette un suono strano simile ad un colpetto di tosse, come per ripulire i suoi pensieri.
“Mi chiamo Emma!”.
Lui incalza: “Possiamo fare due chiacchiere, ti posso trascinare via da qui, sei interessata alla conferenza?”
Emma viene completamente travolta da un turbinio di emozioni, come ipnotizzata, istintivamente dice che comprerà il libro del relatore e accetta.
L’atmosfera primaverile e il crepuscolo avvolgono Emma ed Eugène. Camminano tra le vie del quartiere Coppedé, uno dei più suggestivi di Roma, cercano le loro mani come se fosse tutto così naturale. Gli alberi in fiore, che costeggiano le vie, sembra li stessero aspettando con il loro profumo assordante. Rompono il silenzio parlano del tema della conferenza: la spiritualità nell’uomo e i temi new age. Accennano ai loro interessi, alle loro vite professionali, alle considerazioni sull’amore e agli altri lui e alle altre lei.
Emma si sente in sintonia con Eugène e lo segue, il vento caldo della sera è complice. Si accorge che si è fatto tardi e cerca di congedarsi, realizza che fa molta fatica ad andare via, lui è veramente attraente!
“Emma! Forse posso apparire troppo invadente! Devo chiederti se ti farebbe piacere rivederci.”
“Si! Va bene!”
“Domani?”
Lei non riesce a trattenersi: “Si!”
Emma all’indomani decide di riempire la mattinata di impegni e commissioni, non vuole pensare all’appuntamento con Eugène, non ha intenzione di nutrire chissà quali aspettative o pensare ai discorsi della sera prima.
Vuole ricominciare tutto da capo. Sente di rivivere il loro primo incontro, vuole ripensare a quella sera e capire se avesse provato le stesse emozioni, le stesse trepidazioni e quei pensieri animati da carezze e da piacere.
“Caro Eugène come ti stai vestendo? Quei pantaloni per il nostro il primo appuntamento. Cosa potrei pensare di te! Con quei pantaloni? Se vogliamo capire cosa ci ha fatto innamorare, forse anche l’abbigliamento ha avuto il suo ruolo!”
Emma sorride divertita.
Emma ed Eugène si guardano allo specchio, lei si trucca gli occhi accuratamente e lui sceglie dall’armadio un altro pantalone, si rasa bene il viso, si sente pronto, guarda lei e i suoi occhi.
Sono trascorsi dieci anni da quell’incontro, ne erano seguiti altri, alternati a vacanze insieme, alla carriera, a serate trascorse a progettare.
Emma e Eugène si erano ritrovati in chiesa a dirsi “Si!”. Un “Si” eternizzante che quando lo pronunci ti avvolge nel tepore della sicurezza del “per sempre”.
Erano stati felici e convinti del loro “Si!” Dopo dieci anni, però il “Si” manifestava delle crepe.
Il loro rapporto era stato costruito sulla fiducia e sulla lealtà. “La stima” era stata da sempre la maestra delle loro giornate, i suoi insegnamenti avevano suggerito decisioni e comportamenti dei due, che avevano rappresentato le maglie della loro storia. I figli: Giorgia e Marco erano il loro orgoglio.
Emma e Eugène stanno preparando il loro primo incontro, lei ha tra le mani il libro del relatore della conferenza “L’uomo può osservare la sua anima?”, titolo affascinante. Ne accarezza la copertina e comprende che sta accarezzando con avidità le pagine di quel loro primo incontro, prova all’improvviso un brivido e un’emozione.
Eugène aveva conservato negli anni la sua gentilezza ed eleganza, segue i gesti di Emma dallo specchio, riconosce la freschezza e l’ingenuità dei suoi pensieri gli stessi del loro primo incontro.
Emma si volta, trova gli occhi di Eugène, afferra quei dieci anni li stringe al petto, li coccola così come ha consolato dal pianto il suo primo figlio appena nato. Lui prova una grande tenerezza nel vedere l’espressione di lei, si avvicina e le sussurra: “Non riesco a non ammirare la profondità del suo sguardo! E gli occhi poi! Cerco di definirne il colore, forse nocciola, ma non è proprio così, perché l’iride ha sfumature verdi!”

I Passeggini Della Garbatella

Questo articolo è stato scritto e pubblicato da Maria Carmen Brandi.

Questa sera per le vie e le tra le ville della Garbatella si respira un’aria bella!
Non so perchè
Ma… me viene voglia de parlà romano
Come se qui ce fossi sempre stata
Invece ce so solo passata quarche vorta

Qui se sente la romanità quella d’arti tempi!
No! non capì male!
Non l’antichità de Cesare o d’Augusto
L’antichità dell’anima, quella del core

Qua sembra tutto vero
No come al centro
Che ce so tutti i negozi moderni
I i ristoranti per li turisti
E tanta confusione

A  la Garbattella ce so le mamme coi passeggini
E sta cosa  me riempie d’amore
Quanno me va de scene qua un po’ tra voi
Torno a la Garbatella e me vengo a ripià
La romanità!

Il Mio Oblio

Questo articolo è stato scritto e pubblicato da Maria Carmen Brandi.

In questo mare ti aspetto

nel mio oblio un tutt’uno con le onde

scaglie, lame lucenti

infilzano i pensieri

portati via dalla brezza.

In questo mare ti aspetto!

Pezzi Di Vita

Questo articolo è stato scritto e pubblicato da Maria Carmen Brandi.

Rosella Marcovaldi (sez. Pittura)

Pezzi di vita prendono la forma del mio cuore
Ogni angolo, ogni lembo
È colorato con toni chiari
con toni scuri,
sfumature muovono l’anima!

Se guardi proprio lì nel profondo ci sono occhi
Guardano con amore,
Gli altri là giù li vedi? Sono speranzosi
Vogliono l’amore, sognano l’amore!

Pezzi di vita lacrime di dolore, di nostalgia
Pezzi di vita cerco altrove
Pezzi vuoti da riempire di sole.
Tu cosa vedi lì lontano per il mio cuore?

Lo Specchio

Questo articolo è stato scritto e pubblicato da Maria Carmen Brandi.

Claudio si toglie la giacca, la ripone nell’armadio all’entrata. La casa è silenziosa, dà un’occhiata veloce nel salotto, è tutto in penombra.

Nel corridoio sente chiudersi una porta. È Luca, che con fare fiero e sicuro passa veloce davanti a lui, afferra la giacca di pelle, lo sguardo perso nei pensieri, fisso in avanti, sembra quasi non accorgersi del padre.

“Luca, esci?” “Luca!”

“Si, papà.”

“Hai letto il mio messaggio? Ti ho mandato un messaggio! Domani devi venire in ufficio, ti vorrei parlare di un lavoro, che penso, potrai seguire solo tu. Io dovrò partire e non sarò in città nei prossimi giorni. Ti aspetto!”

La voce di Claudio sembra amplificarsi nel corridoio. Luca si ferma sul portone, risponde dopo qualche minuto:

“Domani? Si verrò!”

Claudio va verso la cucina, continua a guardarsi intorno, getta lo sguardo sul Rolex al polso, è ancora presto, non c’è nessuno in casa, può riposare, la giornata è stata faticosa.

Si lascia cadere sul divano, allarga le braccia come per accogliere una chissà quale energia vitale che possa ridestarlo.

Respira profondamente, cerca nell’aria il profumo dei fiori nel vaso sul tavolo al centro del salone. Sono così belli che fanno pensare a essenze esotiche.

Vive in una villa fuori città. Anna, sua moglie aveva espresso il desiderio di abitare lontano dalla confusione.

“Troppa gente in centro!” Diceva.

In campagna avrebbero potuto godere della bellezza e delle comodità di una casa con un giardino, una fontana e magari di una piscina.

Lui aveva assecondato i suoi capricci, condividevano lo stesso amore per la natura e la vita appartata.

Claudio ripensa a Luca al suo carattere ribelle, quante volte lo aveva chiamato il preside, minacciando la sua espulsione da scuola, un istituto al centro della città frequentato dai rampolli dell’alta società.

Anna aveva riposto tante speranze in Luca e manifestato un’attenzione esagerata per quel figlio, il minore, l’altro, Federico aveva mostrato sin da piccolo di essere responsabile e sapere sempre cosa fare. Molte volte lui ed Anna si erano meravigliati di come riuscisse ad ordinare il suo zaino con i libri e i quaderni o come sedesse a tavola e non facesse storie per mangiare.

“Due ragazzi così diversi!”

Claudio, avvolto dal silenzio, chiude gli occhi, ha come l’impressione che ora i suoi pensieri prendano la forma di tele dipinte da un artista impressionista.

Proprio come quelli esposti nella pinacoteca del Musée d’Orsay, che aveva visitato una volta durante un viaggio a Parigi. La guida faceva notare la pittura singolare delle tele e i colori usati dagli artisti per suscitare in chi ammirasse le opere impressioni senza soffermarsi sui particolari.

In questa galleria di pensieri e ricordi, si ferma davanti ad un “pensiero-tela” ad un’impressione appunto.

Si rivede un anno prima, è con Anna per le vie del centro di Milano, sembrava un giorno come un altro, una passeggiata nelle vie addobbate per Natale, lei si ferma all’improvviso, è un po’ smarrita ed emozionata, lo guarda, fissandolo: “Luca e Giulia aspettano un bambino”.

Lui non appare sorpreso per la notizia, Anna distende il viso e lo abbraccia forte.

 Nella sua mente mille pensieri, ma uno domina sugli altri: “Sarò nonno!”.

Ricorda un brivido che gli attraversò la schiena e una strana emozione come un dejà vu.

 Continua la sua visita in questa galleria di “impressioni”: un altro “pensiero-tela” ritrae una macchina, un tramonto estivo. La strada è dritta, gli piace fare delle corse in auto, non c’è traffico e sfreccia veloce.

Da poco ha conosciuto Anna, una ragazza dai lineamenti latini e un corpo esile, ma perfetto.

Un bacio di sfuggita sulla spiaggia intorno ad un falò e da quel momento avevano deciso di frequentarsi.

Quella sera sta andando a prenderla, sono stati invitati ad una festa a casa di amici in comune.

 Nello stesso periodo aveva conosciuto anche un’altra ragazza, l’esatto contrario di Anna.

Lisa, bionda, chiara di carnagione e prosperosa, anche se molto giovane faceva pensare ad una femme fatale e ne era molto attratto.

Anna aveva un carattere dolce, sempre disponibile e non gli diceva mai di no, e quando lo chiamava e lo coinvolgeva nei tanti impegni mondani di quell’estate, non riusciva a rifiutare i suoi inviti e si ritrovava sempre accanto a lei a condividere ogni momento di quelle giornate calde e afose.

Ogni tanto vedeva anche Lisa, che invece era più aggressiva. Decideva sempre lei dove e quando si dovevano incontrare, questo comportamento lo indisponeva, ma non poteva fare a meno degli incontri furtivi, passionali e trasgressivi.

Proprio quella sera, la sera della festa, Anna salì in macchina, non riuscì a guardarlo negli occhi. Sembrò confusa, come indifesa. Questi atteggiamenti, a ripensarci dopo tanto tempo, avevano catturato Claudio e pensava che facessero di Anna una donna particolare, perché poi non era proprio così docile come appariva.

La vede lì, immobile, sul sedile. Lei gli prende la mano, abbassa lo sguardo, stringendo forte le sue dita, gli confessa di aspettare un bambino.

Claudio ritorna al “ricordo-tela” precedente. La notizia dell’arrivo di un nipotino aveva fatto riaffiorare emozioni contrastanti di gioia, paura e curiosità.

Come in uno specchio, rivede sé stesso venticinque anni prima, riaffiorano le stesse emozioni provate in quella macchina sportiva, la sua Giulietta rosso Ferrari, strappata al padre dopo tante insistenze, il simbolo della libertà, dei suoi viaggi e di quelle fughe, trasgressive con Lisa.

Si era accorto solo ora che il tempo trascorso assieme ad Anna aveva solo coperto, e non cancellato, la sensazione di stordimento e il brivido provati alla notizia della gravidanza. Proprio come l’onda, che riporta sulla battigia la sabbia che toglie e accumula continuamente, quelle impressioni di un tempo non erano state rimosse dalle onde degli anni, ma si erano accumulate ed ora erano lì, pronte a ritornare …

 Lui non si tirò indietro, si assunse tutte le responsabilità, rassicurò Anna, che sollevò il viso con gli occhi svuotati da quell’imbarazzo che li aveva oscurati pochi istanti prima, lo strinse forte, proprio come era accaduto all’annuncio dell’arrivo di un nipotino. Claudio ora provava lo stesso brivido di quando non sapeva cosa significasse diventare padre e cosa avrebbe dovuto insegnare a quel bambino.

 Si era rifugiato nel lavoro e poi nell’azienda di famiglia. Aveva viaggiato tanto, sentiva forte la responsabilità verso Anna, ma nel suo intino aveva lasciato uno spazio per qualcosa di sospeso, ma che non sapeva esattamente cosa fosse e come avrebbe dovuto colmarlo. Anna, lei invece, si era scoperta mamma.

 Gli anni erano passati, era arrivato l’altro figlio, ma solo adesso comprende cosa significhi essere padre, proprio quando si trova a dover sostenere Luca ad affrontare la nuova situazione. Luca con il suo carattere ribelle non vuole accettare la responsabilità di diventare padre. Giulia, come Anna allora, si ritrova a fare la mamma. In Giulia, Claudio, aveva notato gli stessi atteggiamenti e le stesse accortezze, che la moglie un tempo aveva mostrato nei suoi confronti.

Donne apparentemente indifese e loro pronti a dimostrare la forza dei maschi.

Claudio ha la sensazione che tutti questi pensieri lo portino a fluttuare in una dimensione di non tempo. Si sente smarrito e continua a dondolare e ad essere trasportato.

Un eco una voce: “Papà! Papà”

Anche Le Donne Del Sud Portano I Pantaloni

Questo articolo è stato scritto e pubblicato da Maria Carmen Brandi.

«Quasi tutti i giorni mi capita di percorrere questa strada. Mi devo distrarre e pensare ad altro, far finta che qui non ci sia stato mai niente, che da sempre i rovi abbiano padroneggiato in questo luogo! E’, però più forte di me! Non posso ignorare che proprio qui tutto ha avuto inizio!

La mente poi non posso controllarla! Ora che sono passati tanti anni e che sono avanti con l’età, i ricordi prendono il sopravvento!»

Come in un album di fotografie vedo mio marito, che mi aspetta davanti ai cancelli dello stabilimento, lui con una certa riverenza e come se dovesse rispettare una chissà quale sacralità, si mette in disparte in penombra, aspetta che finisca il lavoro di una lunga giornata estenuante.

Mi viene a prendere, non vuole che vada da sola di notte, al paese parlano, mi dice.

In realtà a quei tempi, questo che ora è un ammasso di macerie, dove la natura ha preso, per fortuna, il sopravvento come se volesse nascondere la vergogna con la sua selvaggia bellezza, era considerato un tempio, non uno qualsiasi, ma quello della fortuna.

La fortuna di un piccolo paesino del Sud.

Ritornano i ricordi: è una sera come tante altre, l’estate è finita, le giornate sono più corte, io e mio marito siamo a cena.

La televisione è accesa:

“Buonasera signori e signore, tra le prime notizie che vi proponiamo questa sera, vi è quella della manifestazione a Milano, in piazza Duomo, del movimento femminista. Numerose donne hanno sfilato per le vie di Milano con striscioni e cartelloni le cui scritte gridano ai loro diritti, alla parità di opportunità con gli uomini nel lavoro, nella famiglia e nella società.”

La tavola è ben apparecchiata, sempre in ordine: i piatti, i bicchieri, il vino, l’acqua e la minestra. C’è del formaggio e del salame fatti in casa da mia madre.

Aspetto un bambino, finalmente dopo mesi di attesa sono rimasta incinta, tutti in famiglia ne hanno esultato con entusiasmo, soprattutto mia suocera, che non ci sperava più.

Mi chiamo Filomena, ho 23 anni, sono la terza di tredici figli e la prima delle femmine. Sin da adolescente ho aiutato mamma a tirare su i miei fratelli, a volte non so se considerarli tali o dei figli miei.

Sono crescita in una grande casa, si trova proprio all’inizio del paese, da lì si vede tutto il golfo.

Mio padre è impiegato alle poste, è un “guarda fili”, tutti in paese poi, lo hanno soprannominato così. Svolge il suo lavoro, però in città, trascorre tutta la settimana fuori, torna il sabato e riparte la domenica.

Chissà perché, dopo questi rientri, trascorrono delle settimane e mia madre poi, è di nuovo con il pancione.

Mi piaceva studiare da bambina, ma il lavoro a casa mi costringeva a continue assenze e purtroppo non ho potuto dedicare molto tempo allo studio. Avrei voluto fare l’insegnante.

Mamma ci teneva che imparassi un mestiere, mi diceva:

«Impara l’arte e mettila da parte!»

Così mi ha mandata a scuola di cucito e rammendo. Ho imparato bene il lavoro di sarta, a me però, piace di più far rivivere vecchi vestiti, riparando buchi e sfilacciature delle trame delle stoffe.

La casa in cui abito con mio marito, non è molto grande, è un regalo di mio suocero, ne ho molta cura e la sento mia da sempre.

Alle pareti della piccola sala da pranzo ho appeso delle fotografie della mia famiglia, in una sono con mamma, papà e alcuni dei miei fratelli, lì siamo ancora in sei.

Non ricordo chi l’abbia scattata, questa foto ci ritrae al mare. Papà teneva a conservare questi momenti, non accadeva spesso che fossimo tutti insieme.

Trascorrevamo le vacanze nel nostro stesso paese, che ha anche delle località sulla costa. I miei genitori affittavano una casa vicino ad una spiaggia, comoda per noi, era raccolta e mamma poteva controllarci tutti.

Il proprietario è un bel signore corpulento, occhi azzurri, capelli biondi e dei baffi dello stesso colore, non sapevo dargli un’età precisa, mi era molto simpatico, la cosa sembrava reciproca.

Al ritorno dal mare papà si fermava spesso a parlare con lui, raccontava che aveva vissuto in Venezuela, che ancora viaggiava e aveva degli interessi lì e poi c’erano ancora i suoi figli che gestivano un ristorante con le loro famiglie a Caracas, uno di loro, ancora scapolo, sarebbe dovuto tornare da lì a poco.

Mi piaceva ascoltare questi racconti, immaginavo la nave attraversare l’oceano, l’arrivo nel nuovo continente, dove i paesani americani aspettavano le notizie dei parenti rimasti in Italia.

Sapevo che quando qualcuno di loro ritornava nel luogo di origine era sempre una grande festa! Tutti si mobilitavano e si riunivano ora a casa di uno ora a casa di un altro.

Quando papà si fermava a parlare con questo signore, notavo ogni tanto che si affacciava, all’uscio della sua casa, una donna, portava sempre un foulard, che le copriva la testa. Lei non usciva mai, questa cosa mi incuriosiva.

Non sapevo ancora che questi sarebbero diventati i miei suoceri, infatti sposerò qualche tempo dopo l’ultimo figlio di questo signore, lo scapolo.

Concluse le vacanze si tornava in paese e si ricominciava con le solite attività.

Gli anni sono passati, di fratelli nel frattempo ne sono nati altri, ora tutti cresciuti, buona parte sposati.

Pensare a questa foto, oggi mi ha riportato per un attimo nel passato, continuo a sfogliare i ricorsi.

 Il conduttore del telegiornale continua con le notizie sulla politica nazionale e le reazioni al movimento femminista che in questi ultimi anni 60’ è molto attivo.

Mio marito è intento a concludere la cena, non sembra troppo interessato alle notizie, sta pensando alla sveglia dell’indomani mattina, suonerà alle quattro, dovrà andare a ritirare le reti e poi, concluso con il mare inizierà nella tarda mattinata un breve lavoro come imbianchino e sarà impegnato tutto il giorno successivo.

Mi rivedo accarezzarmi il pancione, manca poco al parto, sorrido, penso che ora tocca a me. Ho vito tante volte mia madre con la stessa mia espressione e non sono troppo preoccupata, perché mi sono familiari questi momenti.

Trascorre del tempo, nasce una bambina, mi rimetto presto in piedi, mio marito nel frattempo ha continuato a svolgere l’attività della pesca e quella saltuaria da imbianchino, ma i soldi sono sempre pochi, affrontare tutte le spese sta diventando un grande problema e mi sento impotente.

 Decido di confidarmi con mia madre.

«Mamma, mio marito è molto buono attento con me, mi aiuta tanto in casa con la bambina, ma voglio aiutarlo, mi devo dare da fare e contribuire con uno stipendio. La bambina ha quasi un anno e tra un po’ non allatterò più, voglio andare all’ufficio di collocamento, ho sentito che qui in fabbrica, quella che avevano chiuso! Ti ricordi? Ora ha riaperto, cercano personale».

«Sono contenta della tua decisione, mi sono accorta che da un po’ di tempo sei preoccupata e ti vedo in affanno, ti accompagno volentieri dal “collocatore”, ci darà sicuramente qualche consiglio su come preparare la lettera di presentazione. Avremo però, un problema da risolvere: tuo padre, lo sai che non è d’accordo che voi ragazze andiate a lavorare e che se avete deciso di sposarvi, deve badare a voi vostro marito, proprio come ha fatto lui da sempre con me. Dice! Altrimenti, pensa che sarebbe stato meglio che foste rimaste a casa!»

«Papà ora non ha diritti su di me! Sono sposata! Magari potrebbe dire qualcosa mio marito, ma sono determinata, voglio lavorare e rendermi anche indipendente! Avevo in mente queste idee da diverso tempo, poi ne ho avuto conferma in questi giorni. Al telegiornale non fanno altro che parlare delle femministe e dei diritti delle donne. Ma riflettevo! Queste donne del Nord, non sanno che noi qui al Sud ci comportiamo come gli uomini da sempre! Tu ne sei l’esempio, hai condotto la nostra famiglia proprio come un uomo, perché papà non era mai in casa. Ti sei data da fare! È vero non hai un lavoro che ti dia uno stipendio, ma vendi i prodotti che fai in casa. Ti sei improvvisata ristoratrice, quando gli operai che stavano costruendo la strada, che passa sotto casa, ti hanno chiesto di preparare un piatto caldo per loro, in cambio di pochi spiccioli. Io voglio seguire il tuo esempio!»

Dopo qualche giorno, nonostante mio padre si fosse opposto seriamente alla mia decisione, io e mia madre andiamo all’ufficio di collocamento.

Il “Collocatore” ci accoglie nel suo ufficio e mi incoraggia a scrivere la lettera di presentazione, mi dà le indicazioni per consegnarla alla portineria della novella fabbrica.

Sono soddisfatta della mia decisione, perché sento che la lettera verrà accolta, e ne sono ancora più convinta, dopo aver ascoltato la storia dello stabilimento, raccontata dall’uomo.

Un industriale laniero del Nord Italia, il Conte, lo chiamano così in paese, perché è un vero nobile, seguendo la tradizione della sua famiglia,  che sin dagli anni ’50 si era dedicata al settore tessile, ha deciso di trasferire i propri interessi nel nostro sperduto paesino del Sud, spinto dai contributi statali, offerti dalla famosa Cassa del Mezzogiorno.

Avevo già sentito parlare di questa “Cassa” in famiglia, papà aveva la tessera della DC e così ogni tanto discuteva di politica con mamma.

Questo Conte, continua a raccontare l’impiegato dell’Ufficio di Collocamento, è un vero benefattore, perché quando il settore laniero è entrato in crisi, per continuare a dare un’opportunità all’economia del nostro piccolo centro, ha ceduto lo stabilimento ad un altro industriale, che fabbrica vestiti da uomo e ha sentito dire che sono arrivate molte commesse, c’è tanto lavoro e ce ne sarà nel futuro.

Si vocifera, poi in paese che dei signori eleganti e distinti, impiegati della fabbrica, in questi giorni passino per le case, per cercare giovani donne che sappiano cucire, stirare, scrivere e fare di conto, promettendo uno stipendio fisso al mese: il salario!

Mio marito non si oppone alla mia decisione, anzi mi sostiene, dicendo che se fosse stato necessario, avrebbe badato alla bambina insieme alla mamma. Mia suocera!

Mi tranquillizza, perché non voglio lasciare la mia piccola, ma del resto sono abituata anche a questo, quante volte mia madre lasciava i miei fratelli neonati a me o alla balia di turno, per lavorare.

Lei fa tutto in casa dal pane ai dolci, la pasta, cura gli animali da cortile, ne abbiamo tanti, questi servono al nostro sostentamento. Mamma non compra niente, solo il mangime per le bestie e la farina.

La bambina sta crescendo bene, quando sono in fabbrica sta con il padre e i nonni. È serena.

Ho iniziato a lavorare, anche se è faticoso. Sto molte ore in piedi, ma sopporto il sacrificio. Con il primo stipendio ho comprato dei vestitini per la mia piccola e mio marito ha dei progetti per la casa, vorrebbe ricavare due stanze in più. Ha detto, per un altro figlio eventualmente.

Ora è più sereno perché si dedica soltanto alla pesca e alla figlia, se poi arriva qualche ingaggio per biancheggiare un appartamento lo accetta, ma senza troppo affanno, ora io porto (lo stipendio) i pantaloni a casa e ne sono felice.

Adoro il mio lavoro, sono addetta alla fase finale di lavorazione e confezionamento dei capi di abbigliamento, spesso mi prolungo oltre l’orario per gli straordinari, sono pagati bene e ci servono dei soldi in più. La bambina ha ormai tre anni e sto aspettando un altro figlio. Ho tante amiche con le quali ho un buon rapporto, spesso qualcuna di loro si ferma a mangiare con me a pausa pranzo, non abito molto lontano dalla fabbrica.

Accarezzo questi ricordi, perché è stato un periodo molto felice per me e per la mia famiglia e anche per tutto il territorio circostante al mio paese.

La fabbrica ha rappresentato una speranza anche per i paesi vicini per molti anni.

Purtroppo, proprio come una sorta di eutanasia, così si dice quando sai che è giunta la fine, ma non vuoi soffrire e chiedi che ti somministrino un medicinale che ti addormenti dolcemente, così alla fabbrica è accaduta la stessa cosa.

I fondi della Cassa del mezzogiorno sono finiti, le commesse si sono sempre più esaurite, e tutti i sogni degli operai si sono infranti, ma senza che ne fossero pienamente coscienti.

Dopo alcuni anni di cassaintegrazione, molti colleghi di lavoro si sono licenziati e hanno avuto una buona liquidazione. Ci hanno provato anche con me, mi hanno offerto cifre esorbitanti pur di ottenere il mio licenziamento.

Ma gli ho gridato in faccia:

«Come posso vendere i miei sogni, le mie speranze, la mia felicità e i miei ricordi di giovane donna, che si è emancipata, grazie al coraggio e all’ottimismo di uomini che hanno creduto in noi donne del Sud. Ci hanno dato un sogno e voi oggi volete comprarlo con gli interessi. No! Resto aggrappata gelosamente alla mia vita passata!»

Ora sono in pensione e ancora passo e ripasso davanti a questo posto, osservo i cespugli e le sterpi che avvolgono gelosamente le mura decadenti della fabbrica che rappresentano miei sogni passati, i rovi invece sono le mie braccia che li coprono con avidità.

Le Foglie D’Autunno

Questo articolo è stato scritto e pubblicato da Maria Carmen Brandi.

Amica mia…Amica mia….
Clara continua a guardare la carta da lettere, immagina che il foglio bianco con decorazioni floreali, possa comporsi delle parole giuste quelle adatte per rivolgersi a Beatrice. Pensa che scrivere una lettera su un foglio di carta possa sembrare, oggi un po’ fuori moda, perché è più comodo scrivere una e-mail che usare della carta. Lei però vuole fare un piccolo omaggio a Beatrice.
La cura della scrittura, l’inchiostro e la carta sono il simbolo di qualcosa di antico e di vero come la loro amicizia.
Clara guarda fuori dalla finestra, le foglie degli alberi hanno coperto le strade di Roma, l’autunno con insistenza si impone alle temperature troppo elevate per il periodo. Scherzi del clima …
Gli occhi tornano sul foglio, resta bianco.
Clara ricorda che all’inizio dell’autunno lei e Beatrice facevano progetti per l’inverno, cercavano la palestra giusta, il corso di ballo, controllavano i programmi dei teatri della città. …..

Da quando si conoscevano avevano scoperto di avere gli stessi interessi.
Si erano conosciute proprio in un autunno di qualche anno prima.
Un giorno arriva in ufficio lascia la borsa sulla scrivania, accende il computer, uno sguardo all’agenda, ma con la coda dell’occhio nota nella stanza difronte una macchia rossa sfuocata che va avanti e indietro dalla scrivania alla sedia di cortesia. Clara ne resta incuriosita guarda meglio e la macchia rossa prende le forme di un tailleur rosso, sotto delle scarpe eleganti col tacco alto, una silhouette sottile, è una donna che tiene in mano delle carte che sfoglia velocemente, poi si sventola impaziente.
“Chi sarà”. Si chiede tra sé.
Il tailleur rosso si incammina verso la sua stanza:
“Buongiorno sono Beatrice”, si gira e con un gesto indica l’altra stanza:
“Sono stata assegnata in questo ufficio, è il primo giorno”.
Clara prova subito una grande simpatia per questa donna così fiera e ne è felice, perché anche lei è nuova dell’ambiente.
Non riesce a capire perché, ma sente che con Beatrice può nascere una bella amicizia.
Clara ricorda che quella mattina è trascorsa velocemente.
Beatrice viene inghiottita dai convenevoli di ben venuto e dalle mille indicazioni del responsabile dell’ufficio.
Riesce ad incontrarla solo nel tardo pomeriggio la vede col suo sorriso e con un’energia che contagiava chiunque la incontrasse, questo la colpiva, perché la sua sensibilità le faceva capire che si trovava difronte ad una persona generosa e speciale.
Speciale…! Speciale…!
Clara pensa che avrebbe potuto iniziare la sua lettera proprio così:
Amica mia, Amica speciale…

Ma ancora una volta la penna si ferma…. Gli occhi si posano sulle sfumature del rosa dei petali dei fiori che decorano la carta.
Le viene in mente quando incontrava Beatrice dopo il lavoro e passeggiavano al tramonto per le strade del centro di Roma, l’azzurro del celo era sfumato di un colore rosa che diventava arancione in prossimità dei raggi del sole al tramonto.

La loro amicizia era iniziata così tanti racconti della loro vita e degli amori.
Quando Beatrice le raccontava come fosse riuscita dal niente ad arrivare a lavorare per una grande compagnia aerea, Clara ne restava affascinata.
Beatrice era stata sposata e aveva avuto tre figlie.
Quando parlava di loro si inorgogliva, diceva che erano molto diverse tra loro, ma riconosceva in ognuna un lato del suo carattere: determinata e testarda, timida e amorevole, sfrontata e frontale.
“Le mie ragazze”, le chiamava così:
“Sono proprio come me.
Le diceva.

Si fermavano a guardare qualche vetrina. Discutere delle nuove tendenze della moda, era un argomento che le distraeva dagli aneddoti di vita personale.
Questo argomento in realtà era solo il pretesto per parlare di cibi salutari e di come impostare un piano alimentare sano ed equilibrato.
Potevano stare delle ore così, sembrava che fossero le allenatrici di squadre di broccoli, di avocado e di spezie orientali dalle proprietà magiche che si contendevano il primato della salvezza dell’umanità.

E allora! Clara pensa, cosa non abbia funzionato? Tante discussioni sui cibi sani, sulla palestra, il corso di ballo, il movimento, i muscoli definiti.
Cosa non ha funzionato?
Una stretta al cuore, sente il suono di una sirena dalla strada che si confonde nella sua memoria con quello dello squillo del telefonino, è Beatrice.

Pronto Clara. “Ciaooo come stai? Come mai mi chiami a quest’ora”?
Ti volevo dire sai quella ragazza che abbiamo conosciuto alla scuola di ballo aspetta un bambino.
Clara ascolta in silenzio è perplessa,
“Poi, sai ho fatto quelle analisi e …”
Le sue parole risuonano nella mente di Clara …un tutt’uno con il suono della sirena.

Riguarda fuori, le foglie continuano a cadere, per strada una signora ben vestita, la borsetta stretta al fianco destro, il traffico di Roma, il via vai della gente.

Clara stringe le braccia intorno ai fianchi, un leggero brivido che non sa attribuire al caldo o al fresco dell’imbrunire.
Il foglio lì sulla scrivania, la penna e solo quattro parole:

Amica mia…Amica speciale…