Io Sono Santippe 3

Questo articolo è stato scritto e pubblicato da Nerina Piras.

Sono Santippe, sono Ateniese, mi sono sposata con Socrate quando lui aveva già 50 abbiamo avuto tre figli.

Sono nata in un periodo storico a me non congeniale, qui le donne sono tutte sottomesse ai mariti, devono ubbidienza assoluta, il mondo è maschile.

Io sento di essere diversa, sento di avere una mente, un carattere, un’indole non incline all’ubbidienza

Vivere con un uomo come Socrate è difficile, lui ama molto discutere e ragionare della vita, il più delle volte lo trovo in piazza con i giovani, che lo seguono molto.

Per me è difficile stargli dietro quando lui parla, sinceramente non riesco a capirlo, mi sento lontana da lui ed ho paura che anche lui si senta lontano da me.

Non riesco a tenere un discorso con lui perché non mi sento all’altezza.

Però sono orgogliosa di lui e ne sono innamorata, quando lui parla anche io a volte ne resto affascinata ma anche intimorita ed è per non soccombere a questa insicurezza che a volte reagisco in maniera irrazionale. per questo forse mi faccio prendere dalla rabbia e sfogo su di lui i miei malumori e la mia inferiorità anche se ci sono altre persone con noi.

Quando ho questi scatti di rabbia vedo negli occhi della gente perplessità e sento che loro mi vedono come una strega bisbetica, ma io non lo sono, mi sento solo come una donna fuori dal tempo che vive, e, che vorrebbe un uomo più presente nella vita familiare.

Fortuna vuole che Socrate sia buono, infatti, anche se viviamo in un mondo maschile lui non mi ha mai picchiata anzi quando sono furiosa mi fa sfogare senza mai interrompermi, ma per quanto sia buono non sopporto il suo modo di vivere

Sono una donna e come tale mi piacerebbe indossare bei vestiti, ricevere ospiti con decoro, lui è esattamente il contrario. Invita ospiti anche importanti ma non si preoccupa mai di sapere se ho abbastanza cibo da mettere in tavola.

Sfido qualsiasi donna a mantenere la pazienza.

Gli voglio bene, e quando lo hanno messo in prigione ho pianto tanto, mi sono disperata, mi sono strappata i capelli, mi sono percossa per il dolore di perderlo.

Il giorno prima della sua morte, ero nella sua cella, lui teneva in braccio nostro figlio più piccolo, uno strazio per me, ma più doloroso è stato quando sono arrivati i suoi discepoli, mi mandò a casa, così da passare gli ultimi attimi della sua vita con loro e non con me che ero sua moglie. Quello che mi fa rabbia, e mi fa male, è sapere che avrebbe potuto avere salva la vita se si fosse proclamato colpevole, ma coerente con le sue idee rifiutò, così fu condannato a bere la cicuta dal tribunale popolare dandosi una morte onorevole, ma…lasciando la sua famiglia nell’indigenza

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