Sorrisi di Infanzia a Gaza

Questo articolo è stato scritto e pubblicato da Maria Angelica Maoddi.

E mentre le granate sgretolano il grano, le ossa e i nidi,
sull’inaridita spiaggia di Gaza, sbocci tu
recisa Infanzia, oh Infanzia rigogliosa
e sorridi ancora al buio dell’alba abbrustolita!
Tra strepitii di razzi e stridii di mitragliatrici,
sorridi, sorridi tu Infanzia alla marina brezza che culla i sogni dei nostri fanciullini!
E lì sulla sabbia scolorita i nostri bambini
colorano di aquiloni le affumicate nuvole,
saltellano, danzano, corrono e si rincorrono per vivere tra le fiamme di morte.
Come è dolce il loro improvviso girotondo sulle macerie delle scuole!
Ruotano, ruotano insieme condensando orfani sorrisi resilienti
in un unico vortice immateriale di infinita tenerezza,
che si materializza nella finitezza
dei pargoletti occhi, quelle perle fragili!
Occhietti che tremano, tribolano, trivellati da un missile.
Come coriandoli carbonizzati quei sorrisi frantumati
si miscelano con le ossa e la terra
sul mare di sangue puro che ci bagna di impotenza, ci sotterra.
Ma, impregnano l’aria arroventata di Gaza quei sorrisi
galleggiano ancora compatti e integri tra le fessure della memoria mitragliata,
aderiscono sul cuore gravido di asprezza e morso dalla nostalgia.

Aisha Kais, 24anni, è nata a Roma, il papà è palestinese e la mamma calabrese. Si è diplomata al liceo delle Sc. Umane, presso il quale ha scoperto la sua passione per la scrittura. Si è laureata con lode in Farmacia, facoltà magistrale di 5 anni abbastanza ostica, scelta per le opportunità lavorative. È stata premiata a circa una quindicina di Concorsi letterari, spesso nazionali. Oggi per assecondare la sua passione per la scrittura, si è iscritta alla facoltà di Comunicazione Scientifica biomedica.

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Articolo scritto da M.Angelica Maoddi

Amava ripetere:
”La mia indipendenza ,che è la mia forza, implica la mia solitudine, che è la mia
debolezza”
– Il profilo psicologico di PPP tocca vari punti chiave descrivendolo nella sua tormentata
esistenza e nella sua tragica fine. Egli appariva nel corpo magrissimo con un viso che
portava i segni della sofferenza dell’ulcera, malattia psicosomatica le cui pliche ai lati della
bocca rappresentavano le sue stimmate del dolore e lo facevano apparire una maschera
tragica.
Ho conosciuto da adolescente Pasolini nella cittadella universitaria di Urbino, dove vivevo, mi era
apparso schivo che non entrava subito in empatia. Tutti gli amici lo circondavano di attenzioni, lo
coinvolgevano nei dibattiti in cui poi si scioglieva con una straordinaria abilità dialettica di grande
cultura.
Lo scrittore Alberto Moravia, suo amico, dichiarava che Pasolini era una persona
tormentata, un poeta, infantile nei sentimenti, avido di vita ma ingenuo, innocente
nell’approccio al mondo. Lo stesso Moravia sosteneva che fosse profondamente cattolico e
marxista senza pregiudizi.
L’origine e la formazione ci aiutano a comprendere la sua complessa personalità:
Pasolini era nato a Bologna da padre militare bolognese originario del Piemonte e da
madre maestra friulana, alla cui cultura dichiarò di appartenere. Aveva un fratello
maggiore Guido che in adolescenza fu partigiano antifascista e venne coinvolto in una
torbida storia di spie e di tradimenti e fu poi ucciso da una formazione antifascista rivale.
Certamente fu una vicenda tragica che segnò la vita della sua famiglia.
La vicenda storica dell’eccidio in cui rimase vittima anche Guido Pasolini, fratello maggiore di
PierPaolo si svolse nell’Italia del Nord-est. Nel Friuli a Porzûs dove aveva sede il comando del
Gruppo delle Brigate Est della Divisione Osoppo, comandato dal capitano degli alpini Francesco
De Gregori, detto “Bolla”. ( zio del cantautore Francesco).La formazione autonoma di “Bolla”, che
teneva inalberata presso il proprio comando – e ben visibile a distanza – la bandiera italiana con lo
scudo sabaudo, operava all’interno di una regione dominata dalle formazioni garibaldine che su
ordine del PCI dalla fine del 1944 erano state inserite nell’esercito di liberazione della Jugoslavia,
alle dipendenze del IX Korpus sloveno. Gli osovani, con le loro continue proteste contro le mire
nazionalistiche jugoslave e contro la politica di collaborazione garibaldina, presentate anche
direttamente da “Bolla” presso il CLN di Udine, suscitarono la reazione delle componenti
comuniste del Comitato, che attivarono i gappisti operanti nella zona, incaricandoli di attaccare la
sede del comando osovano. Sul posto vennero quindi inviati un centinaio di gappisti, guidati da
Mario Toffanin “Giacca”, elemento fortemente ideologizzato ed estremista, che catturò con un
trucco “Bolla” ed altri comandanti della Osoppo, tra cui il giellista Gastone Valente “Enea”, e li
fucilò subito, sottraendo carteggio, armi e provviste. Gli altri partigiani osovani presenti, tra i
quali Guido Pasolini (fratello maggiore di Pier Paolo), vennero tutti quanti fucilati
successivamente ad esclusione di due, che accettarono di entrare nei GAP.
L’eccidio ebbe rilevanti seguiti giudiziari con un lungo processo, che si concluse con pesanti pene,
peraltro in grandissima parte non scontate a causa della fuga di un sostanzioso numero di imputati
in Jugoslavia o in Cecoslovacchia, nonché per i vari provvedimenti di amnistia e indulto che si
susseguirono dopo la guerra.

Articolo scritto da M.Angelica Maoddi

Il contesto dell’Italia di allora era caratterizzato dalle differenze regionali che nel periodo
erano molto variegate e con identità particolari e distinte.
Lo psicoanalista Cesare Musatti, primo ad aver tradotto Freud in Italia, ebbe in cura
psicoterapica PPP nel chiuso di uno studio per 7 sedute e oltre poiché divenne suo amico
ed insieme maturarono la convinzione che i tormenti derivavano dall’ impossibilità intima
a separarsi dalla madre che viveva al suo fianco. Lo stesso Pasolini lo scriverà nella
raccolta: “Poesia in forma di rosa”, una supplica struggente alla madre : l’amore che lo
rende dipendente, condannandolo alla solitudine ma sempre alla ricerca di un’infinita
fame d’amore, dell’amore di corpi senz’anima, da adulto confuso una vita fuori da ogni
ragione”, una vitalità fine a se stessa.
L’omosessualità scandalosa di Pasolini non è omologata ad una categoria sessista ma è una
tragedia dell’esistenza che lo ha esposto a rischio della vita.
– Amava gli umili, i poveri delle borgate romane, descritti nei “Ragazzi di vita”e in
“Una vita violenta” nel Cinema :Accattone , Mamma Roma, Ricotta, i ragazzi delle
periferie di Roma negli anni Cinquanta-Sessanta di cui conosceva l’anima. E poi,
con lungimiranza vide come i meccanismi dell’omologazione, dei massmedia, in
particolare della TV, travolgeva la cultura popolare dell’innocenza annullandogli
l’identità.
– L’interpretazione di Pasolini sembra ispirarsi al mito della bontà originaria
dell’uomo di J.J.Rousseau, che il progresso corrompe. Non è solo una tesi filosofica,
per Pasolini l’innocenza originaria era una realtà fantasmatica che racchiudeva e
pervadeva tutta la natura: i corpi, lo spirito nella bontà, il mondo contadino, le
tradizioni radicate, gli ideali del Cristianesimo delle origini e la solidarietà del
popolo, era Bellezza , poesia ed autenticità.
– Denunciò con rabbia l’impoverimento culturale e linguistico italiano che ha perso le
sue radici storiche e culturali dell’Umanesimo e del Rinascimento.
– Dopo le borgate, ha tentato nel sud d’Italia e nel Nord-Africa,in Palestina e nello
Yemen di ritrovare i segni della perduta autenticità attraverso il cinema.
LO SCORRERE DELLA VITA E’ COME L’ACQUA DI UN FIUME.
La sua vita, ma anche il suo poetare e la sua scrittura ritornano ossessivamente allo stato di purezza
iniziale di un fiume che scorre dalla fonte di Casarsa al fiume Aniene ed infine al Tevere e al mare
di Ostia. E poi non si può non pensare all’acqua della fontana del suo paese, Casarsa, la più fresca e
la più pura, che diventerà alla fine del ciclo della sua vita “fontana di amore per nessuno”».
Quando pensiamo al Pasolini friulano, il primo fiume è il Tagliamento: «I Quaderni Rossi sono
pieni del Tagliamento sotto il coperchio bianco del cielo. È il luogo dove Pasolini scopre la propria
diversità e il confine dove inventa una nuova lingua poetica di ca dall’aga, al di qua dell’acqua, mai
scritta prima». Ma anche l’acqua del Livenza di quando era un fanciullino, il mare di Caorle e i
luoghi già messi in prosa da Ippolito Nievo: è tutto un paesaggio acquatico, «zuppa d’acqua», come
dice in una poesia su Pasolini Giuliano Scabia, che l’autrice ricorda.
Quando Pasolini arriva a Roma, nel 1950, ha invece un trauma. Roma lo incanta: i Lungoteveri e i
suoi abitanti notturni sostituiscono il Tagliamento. Li frequenta assiduamente con la guida del poeta

più amato, Sandro Penna, che abitava proprio vicino al Tevere. «Ma – aggiunge Michielin – la vita si
riverbera immediatamente nella sua produzione letteraria e artistica. I romanzi romani sono anche
dei romanzi acquatici, perché la vita dei protagonisti si svolge lungo il Tevere, l’Aniene e le marane.
In “Ragazzi di vita”, Genesio annega nel Tevere sotto gli occhi terrorizzati dei fratellini; Tommaso,
protagonista di “Una vita violenta”, morirà per le conseguenze di un gesto eroico (salvare una
donna da una piena improvvisa e devastante dell’Aniene); Accattone sfida con il suo tuffo da Ponte
Sant’Angelo la Roma papalina e del centro che non vuole saperne dei ragazzi di borgata. E poi la
vita di Pasolini finisce sul lungomare di Ostia, come tutti sappiamo».
(Commento tratto dal libro: “Pasolini e l’acqua”, di Elisabetta Michielin (Kellermann
Editore, pp. 80.
)
Come pedagogista PPP ha avuto esperienza come docente sia di scuola pubblica che
privata, a Casarsa, a Valvassore e a Ciampino, un docente non comune libero e creativo
che applicava i principi della scuola attiva di J.Dewey, di cui era un fervente estimatore.
Critica inoltre la scuola media unica per aver cancellato il valore etico nella formazione del
pensiero critico e ritiene oggi la scuola , al pari dei mass-media responsabile
dell’omologazione e del conformismo.
In questo egli stesso richiama Don Lorenzo Milani, il prete scomodo fondatore della scuola
privata e libera di Barbiana. Pasolini apprezza il libro: Lettera ad una Professoressa, lo
ritenne uno dei libri più belli prodotti nel nostro mondo contemporaneo, per il vento di
vitalità che emana cercando di migliorare la qualità della vita della nostra società.
Entrambi, da diversi punti di vista credono nella forza rivoluzionaria dell’educazione.
Pasolini critica aspramente la modernità del nostro regime democratico fautore
dell’acculturazione consumistica e dell’omologazione. Afferma che i criminali al potere del
regime fascista non hanno potuto scalfire la società contadina, rozza e provinciale ma
umana. Oggi il vero fascismo si realizza con la democrazia annullando le differenze
culturali e tramite lo strumento di potere del medium di massa realizza la “gabbia servile”
che annulla l’identità della persona.
Pasolini parla di mutazione antropologica in atto nel Consumismo che ha portato il
degrado delle classi sociali povere ma ha fagocitato i ribelli al sistema, traducendo i
simboli del cambiamento in mode che inducono al consumo. Il potere non si esercita
con un atto repressivo, non è autoritario ma orizzontale , plastico e proteiforme,
trasforma il suddito in consumatore ed annulla i punti critici. Vale ancora oggi l’analisi
sia in Sociologia che in Antropologia.

Roma gli rende omaggio nelle periferie est della città ed un intero quartiere, ” Il Pigneto” è
a lui dedicato dove PPP amava trascorrere le sue giornate e dove si sentiva accolto senza
essere giudicato, il quartiere dei balordi, degli artigiani e dei ladruncoli, della famiglia dei
Citti e di Ninetto Davoli che proveniva dal quartiere vicino di Villa Gordiani. Tutti i punti
d’aggregazione sociale giovanile: biblioteca comunale , ritrovi, locali, bar, ristoranti, muri,
al Pigneto ricordano Pasolini.

SUPPLICA A MIA MADRE
E’ difficile dire con parole di figlio
ciò a cui nel cuore ben poco assomiglio.
Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore,
ciò che è stato sempre, prima d’ogni altro amore.
Per questo devo dirti ciò ch’è orrendo conoscere:
è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia.
Sei insostituibile. Per questo è dannata
alla solitudine la vita che mi hai data.
E non voglio esser solo. Ho un’infinita fame
d’amore, dell’amore di corpi senza anima.
Perché l’anima è in te, sei tu, ma tu
sei mia madre e il tuo amore è la mia schiavitù:
ho passato l’infanzia schiavo di questo senso
alto, irrimediabile, di un impegno immenso.
Era l’unico modo per sentire la vita,
l’unica tinta, l’unica forma: ora è finita.
Sopravviviamo: ed è la confusione
di una vita rinata fuori dalla ragione.
Ti supplico, ah, ti supplico: non voler morire.
Sono qui, solo, con te, in un futuro aprile…

(Dapprima la simbiosi identitaria, poi la sopravvivenza, la condanna alla solitudine e la ricerca di
corpi da amare senz’anima.)

Franco Basaglia E Il Disagio Mentale. Riflessioni Su Cosa Resta Della Legge 180.

Questo articolo è stato scritto e pubblicato da Maria Angelica Maoddi.

Recentemente, il 29 agosto, in occasione dell’anniversario della morte   di Franco Basaglia medico -psichiatra, neurologo, docente e direttore dell’Ospedale per le malattie mentali di Gorizia. sono state sollevate critiche assieme a dei riconoscimenti di valore. La critica di numerosi uomini di scienza è che la società, in questa situazione è priva di contenitori, nel senso che mancano luoghi e spazi per la convivenza con il portatore di disagio psichiatrico che a volte le strutture dedicate si limitano alla diagnosi e cura di tipo ambulatoriale.

Sono passati 43 anni dalla promulgazione della legge 180, ideata da Basaglia, L’ indicazione della legge avrebbe dovuto abolire i manicomi come istituzione totale e restituire dignità ai malati che vi erano rinchiusi in condizioni disumane. Seguirono i decreti di legge applicativi che impedirono di rinchiudere una persona nelle strutture manicomiali sia pubbliche che private, senza comprovata necessità clinica, regole racchiuse nel sistema TSO (trattamento sanitario obbligatorio). La legge progressivamente avviò lo smantellamento del manicomio come istituzione unica in favore di una capillare e frammentata organizzazione dei servizi psichiatrici sul territorio nazionale regolamentati da norme molto diversificate da regione a regione. La legge ispirata da grandi ideali libertari cambiò l’approccio della psichiatria mettendo al centro il malato nella dignità e diritti come persona e non la malattia, con un’attenzione alla sua storia della sua vita, alla sua interiorità, favorendo le relazioni e la partecipazione sociale. Una cura “umana” sono principi cardine dell’approccio di Basaglia e si misero in moto anche rivolgimenti culturali che si estendevano a tutti i campi della nostra società

Il paziente psichiatrico nei servizi del territorio fu coinvolto in un percorso unico, tutelato da una presa in carico capillare e trasversale alle singole regioni. Le indicazioni dovevano superare la gestione “verticale” della cura caratteristica delle istituzioni manicomiali.

Dopo tanti rivolgimenti sociali e culturali cosa resta della legge 180? L’attuale rete dei servizi del territorio con delega delle regioni è costituita dalla frammentarietà dei servizi di salute mentale che prima della legge 180 erano rigidamente organizzati e isolati. L’ isolamento era rispondente all’ “igiene” sociale in funzione difensiva, supponendo di proteggere la popolazione sana dai rischi del contatto con chi invece è affetto da turbe mentali. Attualmente i servizi sono rappresentati da reti di strutture tra di loro collegate, attraverso i dipartimenti di salute mentale che decidono il piano di cura da impostare con il singolo utente. Nello specifico, se la persona versa in uno stato in fase acuta, viene proposto un ricovero presso un reparto ospedaliero (che a volte avviene per accesso diretto da pronto soccorso); se invece la persona cronicizzata necessita di effettuare un percorso di cura, si affida alle strutture residenziali che possono ospitare la persona per periodi più lunghi, e con la possibilità di diversificare i trattamenti che sono richiesti. Inoltre, esistono anche centri diurni o anche ambulatoriali che consentono ad alcuni di poter ricorrere a consulenze mediche o psicoterapiche mantenendo i rapporti sociali nel contesto.

Nella società civile storicamente e ciclicamente si affacciano le tendenze conservatrici e segregazioniste che coinvolgono tutta la società e non solo la psichiatria.  Lo stesso Basaglia per poter elaborare le sue proposte analizzava il contesto storico -culturale e la promulgazione della legge 180 del 1978 avviò buone prassi nel campo della psichiatria, superando alcune barriere concettuali nelle teorie sulla malattia mentale. Le riviste scientifiche prestigiose, quali Lancet avevano annoverato allora fino agli anni Novanta la sanità italiana come eccellenza mondiale collocata al dodicesimo posto in termini di efficienza, costi e servizi erogati. Durante i 40 anni, il quadro politico e sociale viene sottoposto a nuovi cambiamenti che hanno investito lo Welfare (stato sociale) e lo sgretolamento del S.S.N.  e di conseguenza, la rete dei servizi psichiatrici, aggravando le forme della malattia mentale dando luogo a nuove cronicità e si è perso tutto l’entusiasmo delle idealità della legge 180. Per quanto riguarda la psichiatria ancora oggi permane in parte in forma residuale l’impostazione democratica e inclusiva.

Nella situazione odierna, l’insufficienza delle risorse dettate dai tagli ai finanziamenti delle strutture e la diminuzione del personale sanitario hanno influito sulla gestione della malattia mentale, ed anche le impostazioni scientifiche sono critiche sia per su come si origini ed anche su come si possa gestire un problema di tipo psichiatrico rigettando l’approccio troppo idealistico. Questa considerazione si estende anche a tutte le diversità che spesso producono atteggiamenti di diffidenza, paura e soprattutto è assente una “reale” riabilitazione e ricollocazione comunitaria. I pazienti psichiatrici oggi vivono per lo più in famiglia e quando questa manca o non può farsi carico per situazioni gravose sono inseriti nel circuito della psichiatria residenziale territoriale dove i trattamenti non sono lineari ma alternano una collocazione in casa-famiglia e/o a struttura residenziale- Il percorso che segue è lungo e frammentato da rinnovati ricoveri in strutture ospedaliere quando si presentano crisi acute. I trattamenti non sono risolutivi e le famiglie vengono investite di un ruolo genitoriale protratto in quanto la persona con disagio non sopravvive in autonomia. La Legge 180 viene elusa innanzitutto quando le famiglie richiedono la scorciatoia della “reclusione” e del controllo, rigettando la cura territoriale, delegano mettendo la tecnica medica sopra il vivere delle persone siano essi malati, famiglie o comunità, cercando di ricreare in piccolo dei manicomi in strutture residenziali isolate molto diffuse in realtà.

dr. M. Angelica Maoddi, psicoterapeuta