Pamela

Questo articolo è stato scritto e pubblicato da Maria Teresa Fiumanò.

Mamma mi ha sempre raccontato, fin da quando ero piccolissima, di come sono nata e perché, secondo lei, sono quella che sono.

Lei che era una bella ragazza, dice che io le assomiglio un poco, si è sposata a soli diciotto anni con mio padre che aveva vent’anni e che lavorava nella sua stessa fabbrica di calzature  e nel suo stesso reparto di rifilatura delle suole dove si sono conosciuti.

Mamma è bionda, ha gli occhi grigi, la bocca sottile  e il mento un po’ pronunciato, identico al mio, e papà è grande e robusto, con i capelli neri, gli occhi grandi e castani con ciglia folte che io ho ripreso da lui, e un’ombra di barba scura e pungente su una  faccia  che sembra sempre arrabbiata, però quando sorrideva o rideva con la sua bocca grande  e i denti bianchissimi a me sembrava che mi si illuminasse  il mondo e i suoi rari sorrisi, devo ammetterlo, erano quasi sempre dedicati a me.

Luciana e Renato si innamorarono quasi subito e decisero di unirsi in matrimonio presto perché potevano andare a vivere con i genitori di lei che  misero a loro disposizione un intero piano del loro enorme casolare di campagna.

Appena sposati  posero molta attenzione a non fare figli, però dopo un anno, una sera di fine giugno con la luna piena e il cielo rilucente di stelle che ci si vedeva come di giorno, si lasciarono andare alla passione e non presero le dovute precauzioni.  Avevano l’abitudine di amoreggiare all’aria aperta,  perché, abitando nella stessa casa dei nonni, non potevano godere di molta intimità.

Quella volta  sdraiati sull’erba profumata, sotto un ulivo centenario  fecero l’amore in una maniera meravigliosa.

Mamma mi ha detto che è stato bellissimo e che non è stato mai più così per lei. “Tu sei stata generata durante  un atto di amore e per questo hai il diritto di ricevere quanto più amore ci sarà possibile darti.’’

Mentre lei provava un grandissimo piacere spalancò all’improvviso  gli occhi che teneva chiusi e sopra la sua testa vide i rami nodosi e contorti dell’albero e quell’immagine, dice lei,  le rimase talmente impressa da influenzare l’aspetto del suo futuro figlio, cioè me.

Io sono stata una figlia desiderata e aspettata con gioia, mi avevano preparato un corredino da favola, ma arrivai troppo presto.

Mia madre perse le acque all’improvviso mentre stava ancora lavorando e fu accompagnata immediatamente a casa. Io quando nacqui, con l’aiuto di una  levatrice di paese e di un vecchio  medico condotto, ero di soli sei mesi e mezzo e feci la mia comparsa nel mondo cianotica e con il cordone ombelicale stretto intorno al collo.  Ero talmente piccina  e in cattive condizioni che mio padre,  dopo avermi avvolta in una copertina, mi  ha dovuta portare in auto di corsa in ospedale.

Lì mi hanno tenuta in incubatrice attaccata a una gran quantità di tubi, tubicini   e fili per tre mesi e i miei genitori, che mi hanno voluto dare il nome di Veronica, mi venivano a trovare  in continuazione, sperando sempre che stessi meglio.

Alla mia mamma ogni giorno che passava sembrava che il mio corpo rattrappito assomigliasse sempre di più ai rami sbilenchi e ritorti dell’olivo che aveva contemplato mentre mi concepiva.

Quindi fin  dalla nascita ho rappresentato una delusione e una fonte di continua preoccupazione per i miei familiari.

 I dottori quasi subito dissero ai miei genitori che se fossi sopravvissuta non  sarei stata una bambina normale, perché avevo subito dei gravi danni al cervello. La mia diagnosi alla dimissione dall’ospedale fu di tetraparesi spastica, che dopo due anni venne completata con l’aggiunta di gravissimo  ritardo psicomotorio .

 “Va bene, – diceva mamma – ho capito che la mia bambolina non potrà mai camminare o muovere le braccia e parlare come gli altri bambini, però perché mi dite che è scema? Io che ci sto insieme ogni ora del giorno e della notte, lo vedo che mi capisce e io capisco lei. Non solo, ma vi posso assicurare che è molto intelligente, anche se a voi non sembra, e io farò in modo che questa intelligenza non vada trascurata e sprecata.’’

Per amor mio e per garantirmi uno spazio e un futuro nel mondo la Luciana timida, dolce e remissiva si trasformò una donna battagliera, piena di coraggio e intraprendenza.

Papà, invece,  mi guardava sempre meravigliato come se fossi venuta da un altro mondo e gli sembrava impossibile aver dato vita a una bimba stortignaccola  che si contorceva piangendo, che emetteva solo suoni gutturali e che ogni tanto cadeva in convulsioni. 

Gli facevo una gran pena, mi considerava un esserino infelice, mi cambiava, mi  cullava, mi accarezzava sulla testa come avrebbe fatto con una qualsiasi bestiolina o peggio ancora con un giocattolo inanimato,  ma non mi parlava mai e, lo capivo, non mi teneva in nessun conto.

A parte le cure essenziali gli sembrava inutile sprecare tempo con me e non vedeva l’ora di avere un altro figlio normale.

Avrebbe desiderato un  maschio che diventasse un fanatico dello sport del calcio, come lui, e che lo potesse accompagnare nelle sue escursioni di  caccia  e di  pesca, i suoi passatempi preferiti. 

Mamma, però,  non ne volle sapere e quando lui accennava a questo suo più che legittimo desiderio diventava  aggressiva. “Levatelo dalla testa, un altro bambino mi distrarrebbe da Veronica e lei ha bisogno di me ventiquattro ore su ventiquattro. Pure  tu credi che sia deficiente, ma io ti dimostrerò che, anche in queste condizioni, nostra figlia potrà darci infinite soddisfazioni.’’ 

 Luciana, che aveva lasciata la fabbrica per dedicarsi interamente a me, imparò  a farmi mangiare senza che mi soffocassi prima con il latte e poi con le pappine, a controllare che respirassi  e dormissi bene, a muovermi senza procurarmi dolore, a girarmi continuamente nel letto e nel carrozzino per evitare arrossamenti e    piaghe, a   massaggiarmi e a pulirmi con   grande cura.

Non era particolarmente colta, ma si diede da fare per apprendere tutto il possibile  sulle paralisi  cerebrali infantili, sulla loro gestione quotidiana e  sui vari metodi di riabilitazione di movimento e di linguaggio più in auge negli anni seguenti la mia nascita. Un po’ seguiva i consigli e le prescrizioni degli specialisti di neuropsichiatria infantile e dei terapisti , un po’ seguiva la sua testa.

Mi fece costruire una carrozzina a rotelle e un sedile da automobile con l’imbottitura modellata sul mio corpo che doveva  stare per forza semisdraiato e mi conduceva con sé dovunque lei andasse. 

Io fui portata sempre dappertutto: i negozianti del nostro quartiere mi conoscevano e mi volevano bene, quando entravo nei loro negozi rimediavo sempre qualcosa, un pazzettino di pane fresco, un angolino di pizza, un  giocattolo, un giornaletto… Mamma non volle mai  tenermi chiusa e nascosta in casa come facevano alcune madri di altri bambini handicappati.

Mi parlava,  mi parlava in continuazione, mi raccontava delle bellissime favole, mi leggeva libri, riviste, giornali, mi insegnava le canzoncine, mi faceva ascoltare la musica,  vedere la televisione.

Mi diceva: “Veronica  mia, tu ti devi sforzare, anche se non parli e non riuscirai mai a parlare noi due dobbiamo imparare a capirci, con i battiti degli palpebre, con dei cenni delle mani, con dei versi, con degli strilli, con la mente,  non importa con che mezzo o sistema,  l’importante è poter arrivare a comunicare tra noi. E vedrai che ci riusciremo! Quando saremo in grado di farlo io diventerò la tua interprete e tradurrò i tuoi pensieri e desideri  in parole.’’

Così fu. Io, nonostante le mie lesioni cerebrali e le continue infezioni respiratorie che mi costringevano a soggiornare a lungo in ospedale, continuavo a crescere. 

Diventai alta e magra, con la faccia lunga dal mento grande di mamma, gli occhi neri enormi e i capelli scuri e lisci di papà e la bocca inclinata da un lato, un braccino corto e immobile e uno più lungo tutto teso verso l’alto, una gamba sempre piegata e attaccata al bacino e un’altra semistesa che qualche volta  riuscivo a muovere secondo la mia volontà.

Ero vanitosa e mia madre mi assecondava volentieri nelle mie  pretese.

Mi piaceva essere lavata e profumata e mi facevo pettinare i capelli con  le trecce legate con grandi fiocchi di raso colorato o con la coda di cavallo tenuta da fermagli luccicanti di brillantini.

Avevo un piccolo corredo di vestiti che sceglievo e cambiavo a seconda delle occasioni,e   prima di uscire da casa, non c’era volta che non mi    specchiassi per controllare di essere  in ordine.

Con   mia madre all’inizio mi intendevo con la chiusura e apertura degli occhi e con qualche suono inarticolato.

Poi  utilizzando un cartellone con  disegni e simboli legati ai bisogni quotidiani dove io indicavo ciò di cui avevo necessità con l’unica mano che non mi si era rattrappita sostenuta dalla mano di mamma. 

Lei mi comprendeva  a meraviglia e sapeva sempre quando avevo fame, sete, volevo essere cambiata o portata al gabinetto, quando ero felice, infelice o provavo piacere o dolore.

Combatté delle estenuanti lotte burocratiche e sociali per inserirmi prima all’asilo e poi a scuola che  mi ha fatto frequentare  fino alla terza media. A cinque anni sapevo già leggere con il metodo del dottor Doman che ti insegna  a riconoscere le parole    nel loro    insieme    e non    le singole lettere.

Non ancora soddisfatta mamma si inventò un sistema  di comunicazione rapido tra noi, riuscì a farmi esprimere intere frasi con un solo ammiccamento, un gesto o un verso. Inoltre eravamo entrate talmente in sintonia   da riuscire a capirci tra noi anche senza ricorrere a cenni di nessun genere,  semplicemente con la forza e la comunione delle nostre menti.

 I medici  non nascondevano la loro meraviglia e assistendo alle mie e alle sue bravure commentavano : “Cara signora lei è veramente eccezionale! Adesso stanno sperimentando dei nuovi sistemi di comunicazione, come la comunicazione facilitata, la psicofonia e la risonanza profonda da far utilizzare a bambini e ragazzi che non sono in grado di esprimersi verbalmente.

Ma lei con grande intuizione, non solo ha anticipati questi metodi, ma li ha anche migliorati semplificandoli.

Ha dimostrato che effettivamente è possibile entrare in comunicazione profonda e empatica tramite l’instaurarsi di una sorta di telepatia,  con una persona priva di linguaggio rendendola capace di comunicare ed esprimersi. Continui in questo modo! A noi piacerebbe che lei potesse venire ad un nostro congresso per dimostrare pubblicamente come le cure attente e intelligenti di una madre, anche in casi molti gravi,  hanno un valore maggiore di quanto può essere suggerito dalla Medicina.’’

Mamma, anche se molto lusingata dalla proposta, non accettò mai di farmi esibire in pubblico, invece diede il consenso di farmi riprendere in un filmato che da quanto ne so è stato presentato in diversi convegni scientifici. Insomma, come mi diceva lei, siamo state conosciute un po’ in tutto il mondo e questa soddisfazione ci avrebbe dovuto dare un grande stimolo per i miei futuri miglioramenti che, secondo la sua irriducibile convinzione, avrei dovuto assolutamente ottenere.

Io, che ero diventata l’unica fonte di soddisfazione della sua vita,  cercavo di accontentarla e mi sforzavo al massimo  perché capivo che  in questo   modo la     rendevo felice.

Mi aveva letto un intero libro scritto da una signora americana su sua figlia Karen, nata anche lei di sei mesi e  spastica dalla nascita, e sui progressi che era riuscita a farle raggiungere con un’ ostinata  perseveranza .

Lei si era immedesimata in quella madre che tanti anni fa, subito dopo il 1940,  aveva intrapreso  una vera e propria crociata per la riabilitazione e l’inserimento sociale della figlia che quasi tutti i medici le avevano consigliato di mettere in un istituto e dimenticarsene. 

Mamma  mi avrebbe voluto vedere camminare, parlare, scrivere  e nuotare e proprio come era riuscita a fare quella bambina. Questa lettura però è ingannevole perché  ti fa esaltare e finisci col credere che la ragazza spastica diventa normale, invece cercando su Internet mamma aveva scoperto che, dopo la morte della madre, la famosa Karen era stata presa a lavorare in un convento di suore, dove ancora vive ritirata e dove non vuole ricevere e vedere nessuno dei suoi tanti ammiratori perché, pur avendo raggiunto un buon recupero, sempre un’handicappata è rimasta. Comunque sia i suoi risultati non avrei mai potuto raggiungerli perché io, come hanno sostenuto sempre  i tanti neurologi ai  quali lei si è rivolta,   ero un caso   molto grave,  classificato  tra gli   impossibili    da recuperare.

Dopo l’inizio delle mestruazioni, che mamma mi faceva chiamare le cose mie,  gli attacchi epilettici e le assenze, malgrado l’aumento delle dosi delle medicine,  si fecero sempre più frequenti e passarono da una o due al mese a una o due a settimana e io ogni volta, quando riprendevo i sensi, mi sentivo fiacca e debolissima e volevo solamente dormire.

Mi dava angoscia non riuscire a dar retta alle richieste di mamma, che si era fissata di farsi conoscere in tutta Italia,  diventare famosa  e fondare un’ associazione per bambini spastici seguendo le orme della madre di quella bambina americana, sulla quale si era ampiamente documentata.

Io, però, non ce la facevo a tener dietro alle sue grandi aspettative, strepitavo e   piangevo disperata per farle capire che avrei    preferito    starmene  un po’ più tranquilla.

Papà stesso, che con il passare degli anni si era estraniato dalla famiglia e stava molto  spesso fuori casa soprattutto per evitare scontri con la moglie, si accorgeva della mia  sofferenza e la rimproverava aspramente: “ Lasciala stare in pace, non l’affliggere e cerca di riposare anche tu. Hai dimostrato ciò che volevi dimostrare, anche se ancora non capisco a che cosa serva.

 Adesso che Vivi, lui mi chiamava così, sta male e si vede non devi tormentarla. Le crisi aumentano quando si sforza!’’

Ed era vero!  Io, però, che non volevo causare dei dispiaceri grandi a  mia madre, a volte tentavo  di fare ciò mi chiedeva, anche se mi costava  tantissima fatica.

Lei non voleva rassegnarsi  e tutti i giorni mi caricava in macchina e mi portava presso un Centro dove  mi facevano fare una gran quantità di esercizi.

Era stancante, tuttavia ci andavo volentieri perché in quel posto avevo conosciuto il fratello di un’altra ragazza come me che era diventata mia amica. Come si fa a essere amiche quando non si parla e non ci si muove come noi? Ci si sorride, ci si sfiora la mano, ci si agita nella carrozzina.

Giovanni un bel ragazzo di diciannove  anni, castano, con gli occhi che variavano dal nocciola al verde, accompagnava lui la sorella al Centro. Era bravissimo a occuparsi di lei e quando mi vedeva mi faceva un grande sorriso, mi accarezzava sul viso e mi parlava come a una ragazza normale.

E io, come una ragazza normale, mi innamorai di lui e per attirare la sua attenzione, se non mi guardava, gli tiravo qualche calcetto.  

Quando t’ innamori è la mente, l’anima , il cuore che ti fanno provare ciò che provi e l’amore non fa differenze tra esseri umani sani, ammalati, handicappati…

 Io, che fino ad allora non  mi ero mai interessata all’aspetto mio e di quello dei miei coetanei, incominciai a guardare le ragazze carine della mia stessa età che potevano camminare, parlare, ballare e per la prima volta in vita mia le invidiai e le odiai. Perché a me era stato negato il privilegio della normalità?

Non accettavo, rifiutavo la spiegazione che la madre di Karen aveva dato alla figlia e che mia madre copiandola  mi ripeteva come uno stanco e stupido ritornello: “ Se tu  sei così vuol dire che sei un essere privilegiato da Dio che ha voluto dimostrarti il suo grande amore. Perché quelli che soffrono sono più vicini a Lui.’’

Io, che di quell’amore divino ne avrei fatto volentieri a meno, incominciai a rifiutarmi di andare in chiesa, anche se a suo tempo avevo fatto la mia santa comunione con un bell’abito bianco.

Non volli  più sentire parlare di un Dio misericordioso e benevolo, solo un divinità malvagia poteva dimostrare amore donando tanta sofferenza. 

La notte sognavo e di giorno immaginavo  di liberarmi dal brutto  corpo infermo di cui ero prigioniera e volavo… il mio lui  mi baciava e mi teneva stretta tra le braccia, ma erano solamente sogni e sapevo bene che nessun miracolo avrebbe potuto farmi uscire dalla mia cruda realtà …

Una volta avevo sentito una madre di un ragazzo handicappato fare un triste commento sulla condizione del figlio adolescente “Da bambino era differente, riusciva a gioire di qualsiasi cosa. Anche all’asilo e alle elementari  si era adattato, la maestra, l’insegnante di sostegno  e i suoi compagnucci gli volevano bene e lui pareva contento, sorrideva sempre, mangiava come un lupo, andava alle feste degli amichetti.

Ora da quando ha compiuto i tredici anni e ha cominciato a frequentare le medie è cambiato. Sarebbe stato meglio che non fosse intelligente com’è, sta realizzando che non sarà mai in grado di fare quello che fanno i suoi coetanei, non andrà mai in moto, non  guiderà mai un’auto, non potrà fidanzarsi, fare l’amore,  sposarsi.

Vede che  le ragazze che   gli   piacciono   lo   guardano con compassione  o scherno e diventa sempre più malinconico.’’

Anch’ io avevo capito di essere una  diversa, ma speravo di poter assaporare almeno una fettina di felicità. Ero perdutamente innamorata e quando l’amore ti prende non c’è niente da fare. Pervasa  da questo sentimento che mi bruciava dentro come un fuoco non intendevo rinunciarci. 

Tutte le volte che andavo al Centro incominciai a pretendere che mia madre mi truccasse e che mi cambiasse facendomi indossare i miei abiti migliori. Lei aveva capito la mia infatuazione e le dispiaceva di non potermi aiutare. 

I miei ricordi più belli sono legati a una festicciola  di Carnevale che i terapisti avevano organizzato per noi ragazzi frequentatori del Centro.

C’era una piccola orchestra, le decorazioni di carta crespa appese al soffitto, le luci intermittenti colorate, come in discoteca,   e tutti  noi ci siamo mossi  e agitati per ballare, ognuno secondo le proprie possibilità.

Io avevo un costume di velo azzurro e una bacchetta magica da principessa delle fate,  e ridevo come una pazza insieme ai miei amici che scatenandosi sembravano essersi dimenticati dei bastoni, dei corsetti, dei caschi, degli apparecchi ortopedici e delle carrozzine. 

Verso la fine della serata quando la musica si era fatta  più tranquilla Giovanni, che non avevo mai perso di vista,   dopo avermi invitata con un inchino, mi ha presa in braccio e tenendomi stretta al suo petto mi fatto volteggiare al suono di un valzer romantico in lungo e in largo per il salone.

Ho chiuso gli occhi e  ho ballato, ho volato con lui che mi teneva fra le sue braccia forti  come nei miei sogni, ma è durato poco, troppo poco…

Non so cosa sia successo con esattezza, credo di essere svenuta per la felicità e poi di aver ripreso i sensi nel mio letto.

Ero stata colpita da un’altra crisi, una grave crisi,  probabilmente causatami dalla forte emozione derivatami dall’abbraccio di Giovanni  e dal ballo.  

Per farla breve, non solo sto peggiorando …ma proprio quando mi sembrava di incominciare a provare un po’ di gioia, alla quale pensavo di aver diritto anch’io, era arrivato qualcosa di orribile e inevitabile che me l’ aveva distrutta.

Le mie crisi diventate sempre più frequenti mi hanno impedito di continuare  frequentare il Centro.

Ho parlato con mamma del mio infelice amore, le ho fatto capire che mi sarebbe piaciuto che Giovanni diventasse il mio ragazzo  e lei, invece di confortarmi,  si è messa a piangere.

Non mi aveva mai mostrato di essere debole e in quel momento ho sentito di amarla più che mai. Chissà quante volte aveva dato sfogo alle lacrime non facendosi vedere da me perché voleva trasmettermi la sua forza, che adesso mi pare stia cedendo.

Luciana è una donna ammirevole e io,  nella mia sfortuna, sono  stata fortunata ad averla come mamma.  Non si è mai vergognata di me, anzi mi ha sempre esibita quasi con orgoglio, e guai se qualcuno si permetteva un commento poco piacevole, era peggio di una gatta feroce che sfodera gli ununghielli per difendere i suoi piccoli! 

E’ riuscita a inserirmi nel mondo, come diceva lei,  per quanto le è stato possibile, mi portava al cinema, al teatro, al luna park, a mangiare la pizza che mi piaceva tanto e che lei doveva frullare prima di farmela ingoiare (girava sempre  con un frullatore a pile, bavaglini e cucchiaini speciali nella borsa).

Mentre mangiavo il cibo spesso mi andava per traverso e allora tossivo in maniera spasmodica  perché rischiavo di soffocare. Quando succedeva lei era bravissima a sollevarmi e a farmi sputare quello che avevo ingoiato, e lo faceva ovunque, anche nei ristoranti di lusso,  fregandosene dei commenti pietosi o impietosi dei vicini di tavolo.

Qualunque cosa succedesse la mia mamma appariva sempre serena  sorridente, non facendo mai trapelare i suoi pensieri angosciati. 

Quando diventai adolescente la preoccupazione, comune a tutti i genitori di figli non normali, riguardante il mio futuro incominciò ad assillarla “Che sarà mai della bambina dopo la nostra morte? Chi penserà a lei?’’ chiedeva a mio padre, il quale si rifiutava di pensare a un decesso che secondo lui sarebbe avvenuto molti anni più tardi.

 Però, pur di non sentire le sue lamentele, andò a visitare con lei diversi istituti attrezzati per accogliere persone non auto- sufficienti.

Non ne trassero una buona impressione, anzi rimasero stupiti da quante persone infelici vengono lasciate, oppure abbandonate completamente da familiari, che poi scompaiono, in quegli istituti.

I ricoverati erano numerosi e il personale di assistenza scarso.

Come avrei fatto io a inserirmi e a sopravvivere senza le cure accurate che mi dovevano esse prestate in continuazione?

Luciana e Renato, i due coniugi modello, che si erano prima amati e dopo la mia nascita tollerati, messi di fronte a questo irrisolvibile problema incominciarono a tirar fuori l’odio accumulato in quindici anni.

Io credo di aver capito il motivo della loro discordia.

Quando per svariati motivi nasce un figlio come me i genitori, anche se non sono ignoranti e sanno che certi mali sono inevitabili, spesso si accusano e si colpevolizzano a vicenda e non c’è spiegazione razionale o scientifica che tenga.  Guardano con occhi straniti e estranei il bambino come se non fossero loro gli autori del suo concepimento  e della sua nascita. Si chiedono perché e come gli possa essere capitata la grande disgrazia  di una creatura irrimediabilmente menomata e non si danno pace.

Le crisi coniugali possono scoppiare subito o maturare col tempo.

Molte coppie finiscono col separarsi, e in diversi casi è l’uomo che, ignorando volutamente  le proprie responsabilità di padre, se ne va , scappa, fugge  e a volte si rifà  una vita, cercando di dimenticare e di solito chi continua a farsi carico del figlio è la madre.

 I miei, mentre all’inizio cercavano di non farmi assistere ai litigi, negli ultimi anni  della loro convivenza parvero essere usciti di senno e non ebbero più ritegno. Urlavano e si rinfacciavano le loro rinunce e frustrazioni. 

Io, sempre io, solo io  ero stata e continuavo a essere  la causa scatenante delle loro accese contese.

Papà, esasperato e stanco di condurre una  vita sacrificata dalla mia presenza, un bel  giorno prese in maniera definitiva  la via dell’uscio di casa.

Prima di scomparire per sempre  gridò alla moglie, che lo aveva appena rimproverato per aver chiuso una finestra facendo dei rumori che avrebbero potuto infastidirmi: “ Non intendo continuare a essere penalizzato, perché ho avuto la sfortuna  di un figlio anormale che tu ti sei sempre  portata appresso dovunque mettendomi spesso in imbarazzo. Per te da quando è nata Vivi è esistita solamente lei. Non hai voluto avere altri figli, non volevi avere rapporti con me e mi respingevi  perché temevi di rimanere incinta, oppure perché eri troppo stanca per darmi retta. Adesso poi,  con la smania che ti è venuta di preoccuparti  e tormentarmi per il futuro della nostra  ragazza, che è senza futuro, sei diventata ancora più insopportabile. Io l’ho capito da un pezzo che avere un figlio handicappato è una condanna che non solo dura tutta la vita ma che può andare  anche oltre la tua vita se il figlio ti sopravvive. Muori con l’angoscia di non sapere  dove finirà e a che cosa andrà incontro…. C’è solo da augurarsi, e a questo punto me lo auguro soprattutto per te ed per lei,  che Vivi se ne vada prima di noi e vedrai che nelle sue condizioni non ci deluderà.’’ 

Queste furono le ultime parole che mio padre sprecò per me. Già da tempo si era fatto un’ amante, una giovane operaia allegra e spensierata del calzaturificio,  e se ne andò a abitare con lei. 

La mia vita non cambiò di molto, perché  lui, a parte qualche distratta carezza e il semplice aiuto fisico e economico che dava a Luciana per il mio accudimento,  non si era mai occupato realmente di me e delle mie esigenze.

Comunque sia le sue previsioni furono veritiere.

Io andai peggiorando in maniera inesorabile, sopraffatta dalle crisi che mi prendevano sempre più di frequente e si ripetevano  fino a dieci – dodici volte al giorno.

 Mi fu consigliato un ricovero di urgenza, due volte fui portata anche a dei Pronto Soccorso Ospedalieri , ma quando mia madre vedeva le facce dei medici che, non avendo pratica di patologie come la mia, trasecolavano alla mia vista, si arrabattavano e si consultavano con aria perplessa per cercare di darmi qualche medicina si affrettava a riportami a casa sotto la sua responsabilità.

Io non comunicavo più le mie necessità corporali e me la facevo addosso, cosicché lei era costretta a lavarmi e cambiarmi di continuo, riuscivo a deglutire solo liquidi e me ne stavo  quasi sempre immobile    con    la    testa    girata    dalla    parte opposta   alla finestra e  con gli occhi semichiusi. 

Nel mio torpore continuavo a pensare a Giovanni e fra me e me mi rammaricavo che lui, dopo il mio malore, non si fosse mai preoccupato di avere mie notizie.

Mamma lo giustificava dicendomi che era molto impegnato con i suoi esami universitari, ma io capivo che le sue erano bugie…

Mi ero convinta che se lui mi avesse fatto una telefonata o fosse venuto  a trovarmi io sarei guarita, e ogni volta che squillava il telefono o bussavano alla porta di casa mi animavo perché speravo, mi illudevo  che fosse il mio lui…. quando, dopo mesi, capii che il mio desiderio sarebbe rimasto inesaudito smisi di lottare per vivere.

Luciana contemplava il mio corpo quasi inerte desolata, estenuata dal continuo dovermi sollevare e spostare dal letto alla carrozzina, manovre,  nelle quali in precedenza era stata coadiuvata dal marito che, grande  e grosso com’era, mi aveva sempre sollevata come un fuscello.

 Io ero più grande e pesante della  mia  mamma mingherlina, che si sforzava in maniera eccessiva e  era  stanchissima perché di notte non dormiva quasi mai o si svegliava di continuo per sorvegliare il mio sonno.

Il maggior dolore le fu provocato dalla rottura parziale  dei nostri esclusivi e meravigliosi canali di comunicazione.

Tuttavia fino alla fine lei rimase convinta che io, nonostante il mio stato semi-saporoso, fossi rimasta in grado di capirla e aveva ragione. Le sue parole sillabate entravano in me  anche se la sua voce sembrava arrivarmi da lontano.

Gli ultimi giorni, in cui non fu più possibile farmi sedere in carrozzina mi sistemò nel suo letto e mi  toccava, mi accarezzava,  mi massaggiava  con mani leggere e instancabili facendomi sospirare di felicità.

Stava sempre all’erta spiandomi con occhi pronti e  addolorati, in attesa… sentiva, sapeva che mi ero lasciata andare e che stavo per morire e sapeva di non poter fare più nulla per impedirlo… 

Nel preciso momento in cui mi raggiunse la morte ebbe un sussulto, si avvicinò alla mia bocca, come per raccogliere in sé il mio ultimo respiro, mi baciò  e mi sussurrò la frase più bella che io abbia mai sentita pronunciare dalle sue labbra, l’unico bagaglio terreno  che mi è stato dato di portare là, dove bisogna recarsi leggeri per poter volare,  e che continua  risuonarmi intorno dolcemente: “Sei stata l’essere  più importante della mia vita, se mi fosse possibile ripercorrerei con te  il nostro faticoso percorso senza rimpianti, anzi con gioia perché io  sono riuscita a dare ali alla voce della tua anima, e tu a dare un senso alla tua e alla mia esistenza.

E anche se ora mi lasci, per andartene non so bene dove, spero per essere finalmente felice, tu non potrai mai scomparire, continuerai a vivere in me, con me, io  ti porterò dentro il mio cuore sempre per sempre.’’

Ada M

Questo articolo è stato scritto e pubblicato da Maria Teresa Fiumanò.

Gennaio anno 2000

ADA

Mi sposerò tra sei mesi. Massimiliano si è finalmente deciso a chiedere la mia mano ufficialmente. Lui mi aveva proposta una convivenza, ma io gli ho fatto capire che dopo dieci anni di fidanzamento eravamo più che collaudati.

Siamo grandini di età, io 37 e lui 44 anni, e viviamo ancora con  i rispettivi genitori, perciò dovremmo essere entrambi in  grado di affrontare con consapevolezza e maturità un matrimonio. Andremo a vivere in un appartamentino che io ho comprato risparmiando sui miei stipendi di guida turistica e che Max ha fatto risistemare e ripulire provvedendo all’essenziale. L’arredamento lo completeremo una volta dentro, sarà divertente occuparsi insieme delle rifiniture della nostra casa !

Io ho un corredo super di biancheria ricamata, due cassapanche piene zeppe di roba bianca fine, come si diceva una volta , ereditate da due sorelle zitelle di mamma. Ho anche uno scrigno antico, colmo di gioielli di famiglia e mio padre,  in occasione delle nostre nozze, ci regalerà una delle sue villette di Santa Severa e un  bel po’ di soldi.

 Io, in qualità di figlia unica, sono la cocca di casa, però anche se i miei genitori mi adorano e non hanno mai smesso di viziarmi, non vedo l’ora di sposarmi, di avere dei figli e di formarmi una famiglia tutta mia.

MASSIMILIANO

 I miei tre fratelli maggiori se ne sono andati via da casa già da diversi anni e adesso tocca anche a me. Vivere con i miei non mi pesa, tutt’altro! Sono servito e riverito, ma non posso continuare a fare l’eterno fidanzatino di Peynet.

Capisco  le esigenze di Ada e capisco come una donna  a un certo punto della sua vita possa provare il desiderio di diventare moglie e madre. Io tendevo  a traccheggiare, però poi ho finito col darle ragione e a giugno verrà finalmente celebrato il nostro matrimonio.

Che potrei volere di più? La mia fidanzata è bassina di statura , con un visino abbastanza grazioso senza un filo di trucco, capelli castani corti sempre ordinati  e un corpicino magro, ma ben fatto . Parla  a bassa voce, veste in maniera piuttosto classica e non ama mettersi in mostra . Un tipino fine per intenderci. A me veramente piacciono le  femmine vistose, molto formose e  provocanti sul genere di Valeria Marini e non mi importa se sono rifatte e  artefatte . Mi sono chiesto tante volte che ci sto a fare con una donna dall’aspetto piuttosto insignificante e dal comportamento modesto come la mia fidanzata. Ma la risposta me la so dare da solo. Io, anche se sono un uomo discreto, alto, robusto,  bruno un po’ stempiato  e con un viso interessante ( non è un mio giudizio, me lo  sono  sentito dire più di una volta ), non sono mai riuscito a  mettermi con una strafica. Ogni volta che ci ho provato è stato un fallimento e allora ho sempre ripiegato su conquiste, secondo me, più facili.  Ada quando l’ho conosciuta, durante una cena a casa di amici, mi è parsa una ragazza  a posto, seria, lavoratrice e senza troppe pretese. E io, pur non essendo una persona venale e interessata, dal momento che  ho un impiego discreto  di agente immobiliare, ritengo che un appartamento  in città e una villa in un rinomato posto di villeggiatura, gioielli e denaro, il mio futuro suocero ci ha promesso trecentomila euro, non siano assolutamente da sottovalutare.

Che dire dei rapporti sessuali? Non esaltanti, ma regolari e regolati dalle mie necessità . Io ho bisogno di sfogarmi una o due volte a settimana. Ada non è un’amante focosa o fantasiosa , ma  accondiscende, mi pare volentieri, alle mie richieste. Mi ha detto che le piace fare l’amore con me e io le credo. Prima di me è stata fidanzata con un uomo egoista, da quel che ho capito, e i rapporti che ha avuto con lui, secondo quanto mi ha raccontato,  non erano molto soddisfacenti . Io ci sto attento a non venire se lei non ha provato prima di me il suo orgasmo che, pur essendo breve, è un indice sicuro del suo gradimento.

Siamo un po’ come due vecchi coniugi rodati  e io non ho assolutamente intenzione di lasciare il certo per l’incerto. Con la mia ormai molto prossima sposa ci sto bene, lei piace a mia madre e a mio padre e io piaccio ai suoi genitori, di conseguenza credo che sia giunto il momento di dare una svolta decisiva alla mia vita.

Marzo anno 2000

ADA

Mi sto facendo crescerei capelli per far contento Massimiliano che, anche se lui non me l’ha mai detto, ama le donne dalle  lunghe chiome. Così il giorno del matrimonio potrò avere un’ acconciatura da sposa fantastica.

La casa è quasi  pronta, devono ancora portare il divano e la lavatrice e poi è quasi completa. È riuscita davvero bene, e sono impaziente di andarci a abitare!

Avevo già in programma di farmi fare un controllo dalla mia ginecologa   prima del matrimonio soprattutto per chiederle come e quando posso interrompere la pillola anticoncezionale che assumo regolarmente  per poter rimanere incinta. Però dal momento che  proprio ieri mentre facevo la doccia e mi passavo sul corpo il bagnoschiuma ho sentito sotto le dita un nodulino duro sul seno destro ho deciso di anticipare la visita. Forse c’era anche prima e non me ne sono accorta …

La mia ginecologa mi ha sentito il seno e vorrebbe che mi  facessi fare, tanto per sicurezza, una mammografia e un’ecografia. Io le ho detto che non ho voglia, proprio adesso che fervono  i preparativi del matrimonio,  di sottopormi questi accertamenti, ma  lei ha insistito :  “ Non voglio allarmarti, probabilmente non è poi così urgente, però in questi casi  è sempre meglio togliersi il pensiero il prima possibile.’’  Dopo un po’ di incertezze e ripensamenti, alla fine,   ho deciso, di darle retta e ho preso gli appuntamenti privatamente perché se avessi dovuto aspettare le ASL o gli ospedali sarebbe passato un tempo infinito che adesso come adesso non posso permettermi di perdere …mi attendono avvenimenti più importanti.  Pagherò quello che bisogna pagare, e non sarà  poco, pur di uscire fuori presto da questa storia. Io sono una persona positiva e non mi sento affatto preoccupata, però non dirò niente a Max, se non a cose finite, perché lui ha il terrore delle malattie e non sopporta le persone malate.

Mioddio ! Ho fatto la mammografia e un’ecografia che non danno immagini chiare, il medico di famiglia mi ha consigliato, prima di ogni altra cosa, un prelievo  bioptico.  Un senologo, invece, mi ha detto che devo farmi operare con urgenza perché il reperto palpatorio del nodulo non promette niente di buono. Tutto mi aspettavo, tranne la proposta di un intervento da  effettuare con  urgenza !

Non convinta mi sono fatta visitare anche da un professore di chiara fama, esperto in interventi chirurgici sul seno, che mi ha detto le stesse cose del collega, perciò, per andare sul sicuro,  ho deciso che mi farò fare da lui questo intervento. Il professore, un bell’uomo di una certa età con il volto pieno di rughe e il sorriso buono, mi ha parlato con molta chiarezza  dicendomi: “Cara la mia Ada, carissima,   voglio essere franco con te come può esserlo un  padre con una figlia.  Io credo che il tuo possa essere un tumore maligno. Quindi ti consiglio di farti ricoverare nella mia clinica, invece che in ospedale per tre principali motivi :  uno) i tempi, in  ospedale verresti messa nelle  lista di attesa che sono lunghissime; due) la ricostruzione plastica del seno, che nelle strutture pubbliche non fanno e non penso che te, giovane e caruccia come sei  voglia rimanere mutilata di un seno; tre)  io, che me ne intendo,  oltre a portarti via la mammella con il suo malaccio ti toglierò anche l’altra e poi ti metterò due belle protesi  e vedrai che ti verrà fuori un nuovo seno, più bello e sodo del tuo che, a quanto vedo, è piuttosto piccolino e cadente.’’ Mi ha fatto una carezza bonaria sulla testa, pareva coinvolto personalmente nella mia triste   situazione   che io  mi sono  commossa.

Presa dalla disperazione mi sono fidata di lui e delle sue parole rassicuranti, mi sono consigliata con i miei  e a questo punto l’ho dovuto dire per forza  anche a Massimiliano. Lui è stato molto gentile con me e mi consolata :“ Mia adorata fidanzatina, stai tranquilla! Fai ciò che devi fare perché ora l’unica cosa importante è la tua salute. E se i tempi del matrimonio dovessero spostarsi non ti crucciare. Penserò io a far rimandare i nostri impegni e se perderemo un po’ di soldi non fa niente. Io ti aspetterò tutto il tempo che ci vorrà. Pensa a te! Solo, ti prego,  non chiedermi di accompagnarti in clinica per visite, accertamenti o di venirti a trovare durante il ricovero. Sai bene, non te l’ho mai nascosto,  che ogni cosa che riguarda la medicina e le malattie mi spaventa, sono un piuttosto impressionabile.  Ognuno di noi ha le sue fobie e io ho questa. Che ci posso fare? Sono fatto così. Quindi non ti aspettare da me niente, tuttavia questo  vuol dire solamente che sono un gran fifone, ma non che non ti voglio bene.’’ 

Dopodomani entrerò in clinica e dopo due giorni andrò sotto i ferri.

MASSIMILIANO

Ada mi ha parlato esplicitamente del suo problema e io le ho fatto capire, con le dovute maniere, che mi dispiace tanto,  ma non sono in grado e in condizioni di assisterla.

 Per nostra fortuna ha una madre giovane e coraggiosa e un padre danaroso che se ne faranno carico e che mi hanno promesso di tenermi informato puntualmente su tutto quanto verrà fatto alla figlia. Lei mi ha a confidato che le metteranno due protesi nei seni che aumenteranno di taglia e di consistenza e la  prospettiva di ritrovarmi una moglie maggiorata non mi dispiace affatto … certe volte anche i più brutti mali finiscono col non nuocere…

Io sono quasi sicuro che si tratta di un falso allarme. Lei che è una gagliarda, guarirà e  si riprenderà  come  e   meglio di prima.

Le previsioni ottimistiche mie e di Ada, purtroppo, non si sono avverate Ho saputo che è stata operata, che il suo era un cancro in fase piuttosto avanzata e che dovrà sottoporsi a un gran quantità di applicazioni di non so che e di  terapie…la faccenda comincia a non mi piacermi per niente…

Aprile anno 2000

ADA

Purtroppo il mio era un cancro della peggior specie e il professore, come aveva previsto in caso di malignità,  mi ha asportato tutte e due le ghiandole mammarie inserendomi le protesi sotto la pelle intatta .  Mi sono guardata il seno durante le medicazioni e non mi sembra affatto male . Quello che non va bene è invece il resto,  mi sento depressa, e non riesco nemmeno a pensare al mio futuro…se ci sarà un futuro..   Mia madre è sempre presente e anche mio padre viene tutti i giorni a trovarmi, ma mi manca Max  che si è fatto vivo solo per telefono . E’ vero che è un pauroso, ma mi sembra che in  una circostanza simile avrebbe dovuto cercare di vincersi per starmi almeno un po’ vicino. Mentre ero ancora ricoverata hanno iniziato a sottopormi alla terapia radiante sul seno  e a un primo ciclo di chemioterapia.

Sono tornata a casa e continuo a fare la terapia antitumorale combinata e sto male. I capelli mi cadono a ciocche tanto che mi sono fatta rapare a zero,  mi sono gonfiata come un pallone a causa della gran quantità di cortisone che sono costretta a assumere. Sono preoccupata, mangio e dormo pochissimo.

Max mi ha promesso che verrà a trovarmi tra un settimana.   Mi metterò la parrucca che ho appena comprata e spero di essere un  po’ più in forma per non spaventarlo troppo.

MASSIMILIANO

Sono andato a casa da Ada e sono rimasto impressionato dal suo aspetto.

Aveva un colorito terreo, è piena di peli in faccia  e è ingrassata terribilmente.

Lei dice  che è l’effetto del cortisone e che tutto tornerà come prima quando lo smetterà e finirà le sue chemioterapie.

Ci siamo chiusi in camera sua e lei mi ha mostrato il seno. Il chirurgo ha fatto sul serio un buon lavoro, adesso lei ha davvero due belle poppe sporgenti come piacciono a me.

Le ho chiesto gentilmente di farmi fare l’amore, perché era più di un mese che stavo a stecchetto e lei, anche se di malavoglia,  ha acconsentito.

Io le ho guardato il seno per eccitarmi e è andata. L’abbiamo fatto vestiti  e in piedi. Non credo che a le sia piaciuto, ma è stata tanto male ed è stata operata da poco tempo,  perciò la giustifico. 

Giugno  anno 2000

ADA

Dieci giorni fa sono tornata a lavorare e per il primo periodo non farò viaggi e  starò solamente in agenzia. Ero contenta di riprendere la mia vita di prima…la depressione si stava  attenuando, ma dopo un settimana mi sono dovuta assentare nuovamente. 

Non mi sento affatto bene, sto facendo una pausa della terapia antitumorale , ma dopo pochi giorni di sollievo  ho incominciato ad accusare un intenso e continuo dolore al seno destro che appare rosso e stranamente bozzoluto .

Sono tornata dal professore che mi ha detto che  può succedere  e che mi deve rioperare, sempre nella sua clinica, per sostituire le protesi che mi ha messo in precedenza e alla quali pensa io sia allergica. In breve tutto da rifare e naturalmente nuovamente in privato, spendendo un altro mucchio di soldi.  Mi sono sentita crollare il mondo addosso, in pochi giorni ho ricominciato  a riavvertire fortemente  i sintomi negativi della depressione e ho chiesto di essere aiutata da uno psichiatra . Ho sostenuto due colloqui di orientamento terapeutico psichiatrico che hanno messo in luce che il mio stato di calo dell’umore di fondo è dovuto sia all’incertezza che riguarda il mio avvenire, sia al fatto che il mio fidanzato, nonostante le sue continue  asserzioni di amore imperituro, si sta dimostrando indifferente ai miei mali fisici e psicologici. Sapevo che era un uomo viziato, tuttavia non pensavo che il suo egoismo fosse talmente smisurato…

Fra tre giorni mi dovrò ricoverare e ricomincerà il mio calvario proprio nel mese nel quale mi sarei dovuta sposare.

Max  è venuto solo tre volte a trovarmi a casa  dei miei e, malgrado la mia evidente sofferenza, ha preteso tutte e tre le volte di avere dei rapporti sessuali con me. Non gli ho saputo dire di no perché mi pareva più facile accondiscendere piuttosto che discutere.

Che squallore! 

Mi ha stancata e delusa e a questo punto se lui si trovasse un’altra donna, anche definitivamente, a me non me importerebbe  affatto.

Sto capendo, grazie alla terapia di sostegno psicologico, che un siffatto  uomo è meglio perderlo che  tenerselo.

A questo punto sono grata alla mia malattia che mi ha aperto gli occhi.  Ho deciso di lasciarlo e, semmai dovessi guarire, e lo spero con ogni mia intima forza, non  vorrò mai più avere a che fare con un individuo del genere.

Stavo per fare un errore mostruoso e se avessi avuto dei figli l’errore sarebbe stato ancora più aberrante…insomma non tutti i mali vengono per nuocere…

MASSIMILIANO

La storia di Ada sembra senza non avere fine, adesso si dovrà rioperare e poi non so…

Il matrimonio è andato a carte quarantotto e ormai non credo che ci sposeremo… Mi spiace,  ma non più di tanto. Certe volte penso se la faccenda fosse successa dopo le nozze …mi sarei inguaiato veramente di brutto…

Avevo chiesto Alessia di poter andare a vivere nella sua casa che io avevo arredato, ma lei è stata molto decisa nel negarmelo. A me avrebbe fatto comodo poter disporre di uno spazio mio per le mie faccende personali, soprattutto adesso che lei non è disponibile per il sesso che a me comincia a mancare.. non posso portarmi le donnine a casa dei miei vecchi che sono due bigotti del’accidente!

Non mi aspettavo la sua reazione  violenta, come se avesse capito lo scopo per il quale glielo stavo chiedendo. In fondo anch’ io ho partecipato a rifinire l’appartamento, non  gliel’ho mandato a dire e lei per tutta risposta :“ So che ci hai impiegato tempo e denaro, ma non ti devi preoccupare. Io farò fare una stima delle spese che hai sostenuto da un perito e ti risarcirò fino all’ultimo centesimo. Ma la casa è di mia proprietà e tale rimarrà. Credo anche che a questo punto possiamo considerare concluso in via definitiva  il nostro fidanzamento ..’’

Insomma mi ha dato il benservito, quando sarei stato io a doverla lasciare, ma io sono un gentiluomo, sono un uomo molto generoso e meglio che le cose siano andate in questa maniera…così la figura della persona meschina ce l’ha fatta lei ..

 Luglio anno 2000

ADA

Sono stata operata di nuovo, mi hanno tolto le vecchie protesi  e me  le hanno sostituite con due più grandi. Ero soddisfatta perché il seno aveva davvero un aspetto magnifico.

Però quasi subito dopo la dimissione la mammella destra ha cominciato a farmi di nuovo male, la ferita si è  riaperta in parte e perdeva del liquido giallastro in continuazione.

Sono tornata  dal professore che mi  ha detto un’altra volta  con la faccia seccata può succedere,  mi ha medicata,  ricucendomi  i lembi della ferita  senza anestesia e mi ha prescritto degli antibiotici più forti per iniezione.

Ha fatto ogni cosa in gran fretta e poi è uscito fuori dall’ambulatorio senza degnarmi di un saluto Era arrabbiato come se fosse stata colpa mia e non si è fermato a chiacchierare con me, come era solito fare.    

Anzi  sembrava che non vedesse l’ora    di liberarsi di un incomodo.

Nonostante il suo intervento d’emergenza il dolore è continuato, il gonfiore e l’arrossamento sotto il seno è aumentato e  dalla ferita, attraverso i punti continuava a uscire del sangue e del liquido, forse pus, non potevo muovere il braccio, la notte non dormivo e l’ansia mi divorava…

Non avevo il coraggio, né la voglia  di rifarmi viva con  quel medico che, dopo essersi comportato in maniera tanto scorbutica,  non rispondeva più alle mie telefonate sul suo cellulare privato, mentre prima, quando non lo chiamavo io, era lui stesso a cercarmi per avere notizie della mia salute. E io che mi ero detta che ero stata fortunata a trovarmi come chirurgo una persona amabile, affettuosa e disponibile! E mi ero detta pure meno male che ci sono medici che sanno far onore alla loro professione .

Date le mie condizioni che andavano peggiorando, mi era venuta anche la febbre, mia madre ha voluto che mi facessi visitare da un chirurgo ospedaliero, amico di una sua amica.

Quando questo mi ha visitata è trasecolato…mi ha trovato il seno in condizioni pessime. Per evitare il peggio dovrò  farmi  sostituire anche le protesi nuove che, non solo sono troppo grandi per la quantità di pelle  che le deve ricoprire, ma sono state inserite dal professore, non si capisce perché,  di nuovo sotto la pelle, esattamente come la prima volta.

Quindi adesso dovrò subire ancora un intervento e dopo  forse anche altri due o tre, e non è detto che  bastino, per fare in modo che la mia mammella riacquisti un aspetto decente. Sempre da quest’ultimo  chirurgo ho appreso che non né affatto vero che nelle strutture pubbliche non si effettuano ricostruzioni plastiche  del seno dopo mastectomia.

Lui mi ha consigliato di fare causa al professore che, non solo mi ha ingannata facendomi scegliere una clinica piuttosto che un ospedale, ma ha anche sbagliato i suoi interventi mettendomi le protesi nel posto sbagliato, pur sapendo che, in considerazione della natura e della malignità del tumore,  mi sarei dovuta sicuramente sottoporre a una terapia radiante che avrebbe rovinato maggiormente una pelle sottoposta a un’eccessiva tensione.

 L’avvocato non è stato difficile trovarlo, ma reperire un medico legale disposto a stendere una perizia obiettiva che dimostrasse i danni a me derivati dall’incapacità professionale di quell’eminenza, che nel mondo della sanità   viene considerata  potente e intoccabile,  sembrava un’impresa impossibile.

Ottobre  anno 2000

ADA

Un primo intervento di rimozione delle protesi troppo grandi e di pulizia del seno destro e di inserimento di altre protesi in sede sottopettorale me l’hanno fatto nei primi giorni di agosto.

Ma  la situazione locale della mammella destra, a causa delle infezioni ripetute, delle aderenze e della diminuzione della pelle utilizzabile, da un punto di vista meramente estetico,  si è fatta disastrosa. 

A settembre  e a ottobre ci hanno dovuto rimettere le mani per recuperare un po’ di pelle e di muscoli dalla schiena e l’effetto visivo è ancora orribile.

Mentre il seno sinistro è di aspetto discreto quella  destro ora è tutto storto, con la pelle che sembra una pergamena e  pieno di cicatrici e il capezzolo è deviato verso il basso e l’esterno.

Quando ormai avevo deciso di rivolgermi alla televisione per una denuncia pubblica contro l’omertà dei medici ho trovato, grazie a una cara conoscenza, un medico legale che ha preso a cuore la mia situazione  e preparerà una perizia che mi consentirà di citare per danni il disgraziato che mi ha rovinata.

Mi ha telefonato Massimiliano che verrà a ritirare l’assegno di ventimila euro secondo quanto abbiamo concordato tramite i nostri avvocati. Lui sta bene, non era molto soddisfatto della cifra ottenuta e me l’ha detto, ma a me dei suoi scontenti non me ne importa un fico!

Mi ha chiesto del mio seno e ho capito che  avrebbe voluto vederlo, ma io l’ho cacciato in malo modo e  la sua morbosità questa volta non è rimasta insoddisfatta. Non sarebbe stato, comunque, un  bel vedere anche per un porco suo pari…

MASSIMILIANO

Sono stato a casa dei genitori di Ada per ritirare il mio assegno. La cifra  che sono riuscito a ottenere non è molto alta, ma il mio avvocato mi ha consigliato di accettare, anche perché, a parte le ricevute   del    salotto, non disponevo    di altre    pezze di appoggio per    dimostrare   le mie spese.

La mia ex, dopo gli ultimi interventi, era pallidina e mogia mogia. 

Non mi piace la vita da single , ma anche se fermamente intenzionato a rifarmi una ragazza fissa fino ad ora non sono riuscito a battere un chiodo.

Così prima di andarmene ho dato un bacetto sulla guancia ad Ada e lo ho sussurrato “Che ne diresti di mostrarmi gli esiti delle operazioni? Io ho nostalgia del tuo seno e non mi dispiacerebbe fare ancora una volta l’amore con te. Perché non ci lasciamo con un bel ricordo?’’

Lei mi si è rivoltata contro come una iena e mi ha dato uno schiaffo in  piena faccia “Ma come ti permetti? Io sto male, non so se ce la farò a uscirne viva e tu mi chiedi di farti scopare? Ma vai al diavolo, prendi la porta e vattene, vattene a cercare una mignotta degna di te e dei tuoi volgari appetiti! Lurido verme approfittatore non sei capace di rispettare niente e nessuno! Ringrazio il cielo di non averti sposato, altrimenti, oltre alla mia croce, avrei dovuto sopportare anche quella che tu, con la tua sgradevole presenza,  mi avresti imposto di portare.’’

Me ne sono dovuto andare via di corsa, altrimenti mi avrebbe dato un altro schiaffo e io odio ogni forma di violenza.

A quanto pare una malattia così terribile come il cancro ha il potere di far cambiare le persone.

Chi l’avrebbe mai detto che una personcina quieta,  mite e accondiscendente come Ada potesse trasformarsi in una furia violenta e scatenata capace di farmi del male fisico ?…

Sono contento che le circostanze me l’abbiano fatta conoscere sul serio e mi abbiano impedito di sposarla, sarebbe stato un errore irrimediabile…

Dicembre  anno 2000

ADA

Sono riuscita a parlare a lungo con il medico legale che si è dichiarato disposto a scrivere al più presto la perizia necessaria per chiedere il risarcimento dei danni da me subiti a causa del cattivo operato del  chirurgo che ha rovinato il mio seno.

Questo verrà citato per imperizia e negligenza, perché l’intervento corretto sarebbe stato quello di effettuare una mastectomia totale al seno col tumore, inserendo un espansore che avrebbe allargato la pelle residua e poi inserire la protesi sotto il muscolo pettorale.

Max è scomparso, ma non ne sento affatto la mancanza, ho ben altro da pensare…

MASSIMILIANO

Sono rimasto molto male per la reazione incontrollata di Ada.

Io le facevo  un piacere a chiederle di fare l’amore, per farla sentire ancora donna e desiderata! E lei, invece di apprezzare, mi ha trattato come se fossi una bestia in calore!

Aspetterò che le passi il malumore e poi la richiamerò, certo che ha tirato fuori una grinta che fa paura! Le servirà per reagire alla malattia….buon per lei!

Gennaio anno 2001

ADA

Finalmente il mio avvocato, con in mano la perizia del mio medico-legale,  ha potuto citare per danni il medico che mi ha deturpata. Adesso bisogna solamente aspettare e i tempi degli iter legali, non lo ignoro, sono lunghi!

Io mi sento giù, che più giù non si può e, anche se ho ripreso a lavorare e molti amici mi stanno vicini, il mio umore non migliora. Non ho voglia né di sentire, né di vedere nessuno.

Preferisco rimanere a casa, e anche qui non mi sento di far niente, sto spesso a letto a pensare a un futuro nebuloso che forse nemmeno mi riguarderà. 

Non riesco nemmeno guardarmi nello specchio per quanto non mi piaccio e mi deprime anche l’idea di dover affrontare quanto prima le altre operazioni che saranno necessarie per un miglioramento del seno.

Sono stata davvero sfortunata a capitare in mano a uno sciacallo incapace!

Che ci può essere di peggio di ciò che mi è capitato?

MASSIMILIANO

Ho saputo che Ada sta per far causa al medico che l’ha operata. Secondo sprecherà tempo e denaro. Si sa che quei professoroni se la cavano sempre.

Però non oso ancora chiamarla  per darle un consiglio… se la dovrà vedere da sola, tanto peggio per lei !

Marzo anno 2001

ADA

Alla fine di questo mese mi avrebbero dovuto fare un altro intervento per migliorare l’estetica del seno sinistro, ma gli esami di controllo hanno messo in evidenza tante metastasi nel polmone, nel fegato e alle vertebre e bisogna dare la precedenza alle terapie antitumorali.

 Mi pareva di essermi chiesta solo pochi mesi fa che cosa poteva capitarmi di peggio di ciò che già mi era successo ….è mi è capitato…

 MASSIMILIANO

Sono stato informato da amici comuni che Ada  è invasa dal suo cancro e che molto probabilmente non vivrà  a lungo. Mi dispiace tanto tanto, io sono un uomo sensibile.

Mi sono trovato un’altra ragazza, non è il massimo, ma è meglio di niente.

 Tutti i miei tentativi con donne che mi sarebbero piaciute sono falliti e perciò, non potendomi rassegnare a rimanere senzaamore e sesso mi sono fidanzato con una collega di quarant’anni divorziata.

Non so se sarà una relazione duratura, perché lei è piena di fisime e mi si concede raramente.

Sono arrivato a rimpiangere Ada che, pure non essendo una femmina particolarmente focosa, non si negava mai alle mie richieste.

Settembre anno 2001

ADA

In questo periodo non ho fatto altro che sottopormi a cicli ripetuti di chemioterapia, che ho sopportato abbastanza bene.

Domani dovrò essere visitata dal medico che il giudice del tribunale ha scelto come suo consulente di fiducia. Alla visita mi ha accompagnata il dottore che ha steso la relazione medico legale a mio favore. Il medico del tribunale è stato abbastanza gentile, invece i medici che rappresentano il chirurghi e le assicurazioni della casa di cura nella quale sono state effettuati gli interventi sbagliati mi hanno trattata come se fossi stata una ladra che voleva arricchirsi a spese del loro assistito.

 Il mio dottore mi ha rassicurata dicendomi che è la prassi normale, i medici legali di parte o delle assicurazioni hanno sempre un atteggiamento aggressivo e disfattista per scoraggiare le richieste del danneggiato.

Comunque, fortunatamente, la prossima volta se la dovrà vedere lui da solo contro tutti quegli scatenati, ma  essendo  un uomo  combattivo non si farà mettere facilmente alle corde.

Gennaio anno 2002

ADA

Il C.T.U. , ossia il consulente tecnico d’ufficio  del tribunale ha depositato la, perizia che per certi versi è a mio favore e per certi altri no.

E’ stata riconosciuto l’errore della tecnica operatoria del chirurgo, ma il mio danno è stato valutato con una percentuale molto bassa, in quanto i danni estetici al seno se non sei una spogliarellista, una ballerina  o un’attrice, secondo i criteri di certe tabelle che devono essere per forza rispettate in medicina legale,  non hanno un gran valore.

In più il medico del tribunale rispondendo a uno dei quesiti del magistrato che gli chiedeva in che percentuale il danno fosse riparabile ha risposto l’80% .

Magari la rovina del mio seno si potesse ridurre dell’80% !

Non è così, tutti chirurghi plastici che ho interpellato con il  mio consulente mi hanno detto che, nel mio caso,  dovrei ritenermi fortunata se il mio danno fosse emendabile  al 30%.

In più sia il magistrato che il C.T.U. non hanno tenuto in nessun conto lo stato di profonda depressione che mi è derivato non solo dal tumore, ma anche dal vedermi ridotta in questo stato pietoso.

Con il tumore ci combatto in prima persona ogni giorno e spero di riuscire a uscirne vincitrice, ma contro le cicatrici, le aderenze e le deformazioni della mia mammella io non posso intervenire o lottare. In sintesi una donna come me ancora abbastanza giovane non vale quasi niente!

Ieri mi ha telefonato Massimiliano, voleva parlare con me per lamentarsi della sua nuova fidanzata, ma io dopo averlo ascoltato per  una buona mezz’ora l’ho mandato al diavolo.

Veramente mi chiedo come ho fatto a stare con lui tanti anni. Un fottutissimo egoista, superficiale,  prepotente, meschino, interessato…

Forse solo perché il mercato offre ben poco in tema di uomini liberi  e decenti e io desideravo tanto sposarmi e avere dei figli!

MASSIMILIANO

Ho chiamato Ada per puro dovere di cortesia , desideravo avere notizie sulla sua salute e sfogarmi un po’ per il comportamento di Tiziana.

Speravo che mi potesse dare qualche consiglio, e , invece, lei, invece di rassicurarmi,  mi ha detto” Ti sei trovato una donna degna di te.  Da una persona del genere che mi hai descritto non puoi e non devi aspettarti niente, come io non potevo e non dovevo aspettarmi niente da te … similia similibus , è giusto che sia andata in questa maniera, d’altra parte una persona altruista con te avrebbe avuto la peggio, come è successo a me…è quello che ti meritavi…’’

Non capisco il suo astio, io sono stato onesto con lei, non l’ho illusa, non l’ho ingannata e quando ho capito che se fossimo rimasti insieme ci saremmo fatti del male ho preferito lasciarla, ma a quanto pare lei non ha capito….

Vai a fare del bene !

Febbraio anno 2002

 ADA

Avevo deciso, in accordo con il medico legale mio consulente di parte, di cambiare avvocato per provare a sollecitare il magistrato a riformulare i suoi quesiti e a prendere in considerazione la diffusione del mio tumore che potrebbe essere ricollegato alla mancata asportazione totale del seno colpito dal tumore.

Il dottore ha compilato un’altra perizia in cui si rappresenta l’elevata possibilità che i primi interventi chirurgici , non eseguiti in maniera radicale in quanto hanno lasciato intatta tutta la pelle che copre la mammella, possano aver causato le metastasi che mi hanno invaso l’organismo.

 Giovanna, un mia amica e collega di lavoro, mi ha regalato un cucciolo di due mesi, un delizioso bastardino biondo  salvato da un canile, che ho chiamato Aris. 

Non immaginavo che un animaletto indifeso e mugolante potesse suscitare in me tanta tenerezza.

Mi sono fatta promettere dalla mia amica che , nel caso in cui dovessi morire si prenderà lei cura dell’animaletto, perché non sopporto l’idea che possa far ritorno in una gabbia del canile.

MASSIMILIANO

 Mò si è presa pure il cane, ma chi glielo ha fatto fare?

Come se non avesse altro a cui pensare. 

A parte che a me gli animali dentro casa  non piacciono, non riesco a capire qual è il motivo di prendersi un cucciolo quando sei ridotto come è ridotta lei.

Ma???

Marzo anno 2002

ADA

Continuo a non star bene, mi sento fiacchissima, mangio malvolentieri, spesso vomito, dormo poche ore per notte,  i capelli corti che mi stavano ricrescendo mi sono caduti tutti, la mia faccia è diventata ancora più gonfia e giallastra e  mi si è riempita di peli lunghissimi, i denti hanno cominciato dondolarmi…

Spero che le mie faccende legali si concludano presto. I soldi non mi interessano, vorrei soltanto che il mio caso fosse giudicato con equità , vorrei che il colpevole dei miei danni estetici e non estetici pagasse e riflettesse sui suoi gravi  errori, in modo tale da non ripeterli….

Un tempo quando sentivo parlare di malasanità mi inquietavo perché ritenevo che fosse diventata una moda il dare addosso ai medici.

Invece  adesso che io stessa sono stata una vittima della malasanità  chiedo solo giustizia…che, a quanto pare, è molto difficile ottenere… fra l’altro i miei datori di lavoro mi hanno licenziata in tronco e dovrò intentare contro di loro un’altra causa ..non ne posso più…

 La vicinanza di Aris mi consola, è un concentrato di tenerezza,  adesso dorme sul letto accanto a me e quando, piango mi guarda con gli occhioni tristi e mi lecca le mani per consolarmi…

Aprile anno 2002

ADA

E’ successo un avvenimento imprevisto che mi impedirà di procedere nelle mie rivendicazioni legali. E’morto il professore emerito che mi ha operata, quello che, fra le tante altre cose,  mi ha fatto credere che solo in privato avrei avuto un servizio di ricostruzione plastica ottimale. Ancora adesso se ci ripenso a come mi ha ingannata e raggirata mi sento ribollire di rabbia.

A quanto pare l’accaparramento di soldi a scapito di poveri pazienti spaventati e fiduciosi non l’ha preservato dalla morte. Tuttavia questo medico anche da defunto mi danneggerà, in quanto ormai non è più lui che bisogna chiamare i causa, bensì i suoi eredi.

Mi ha detto l’avvocato che, per questo motivo i tempi si prolungheranno,  per cui mi consiglia di accettare l’offerta che mi è stata fatta dai legali della controparte per chiudere il tutto.

 Fra l’altro il mio medico legale  ha appreso da uno dei medici difensori del  professore che lui e i suoi colleghi  delle assicurazioni sono intenzionati a chiamare in causa il povero chirurgo dell’ospedale, che mi ha operata per ultimo provando a riparare il malfatto del precedente, in quanto,  secondo loro, la mia mammella è stata rovinata soprattutto dalla sua operazione riparatrice.

Quindi il giudice dovrebbe nominare un altro perito e …i tempi  diventerebbero infiniti e io potrei morire prima di ottenere un qualsiasi risarcimento…quindi  mi tocca capitolare..D’altra parte io  mi sono stancata di questo tira  e molla e il mio male progredisce …forse un  po’ di soldi mi potrebbero far comodo ora che sono rimasta senza lavoro.

I miei genitori non devono dissanguarsi per me, ho saputo che hanno venduto una delle due villette di Santa Severa e iniziato a dar fondo ai loro sudati risparmi.

Mio padre  e mia madre incominciano a invecchiare e potrebbero aver bisogno di soldi in caso di necessità emergenti o malattie e io non permetterò che vadano in rovina per me.

 Il mio cagnolino Aris mi adora e io adoro lui, non ci separiamo mai e quando io esco per andare a fare la chemio passa tutto il tempo in attesa davanti alla porta. E quando torno mi fa tante feste facendomi capire quanto sono importante per lui . Per una come me nelle mie condizioni è meraviglioso essere importanti per qualcuno e un cane non é soltanto un cane, ma un essere speciale capace amarti senza secondi fini e  di contagiarti con la sua gioia di vivere.

MASSIMILIANO

Ho saputo che Ada è stata licenziata e che sta male. Non ho il coraggio di telefonarle, anche perché temo che possa reagire in malo modo, come ha fatto l’ultima volta. Io l’ho perdonata perché so che le persone sofferenti diventano spesso cattive e io sono un buono.

 Tiziana mi ha piantato e nelle serate, quasi tutte ormai, che trascorro da solo a casa  provo nostalgia per la donna che dovevo sposare, ma se le cose sono andate male non è dipeso né da lei né da me. Se lei non si fosse ammalata ci saremmo sposati e forse saremmo stati felici, chissà …ma ci si è messo di mezzo il destino …un brutto destino.

Ho quasi rinunciato a trovarmi una fidanzata, è molto più comodo ricorrere di quando in quando alle  prestazioni mercenarie di qualche  prostituta…che mi posso scegliere e che mi deve per forza accontentare!

Giugno anno 2002

CONCLUSIONE 

Ada è deceduta per un’emorragia  cerebrale  causata da una metastasi che ha provocato la rottura di un’arteria cerebrale.

Il  denaro di sua spettanza è andato ai genitori.

Ma se effettivamente le operazioni che Ada ha subito, soprattutto la prima, non sono state eseguite, come sembra,  in modo tale da eradicare in maniera totale il tumore che si è ripetuto in tutto il suo organismo devastandolo, chi la risarcirà mai delle sue sofferenze fisiche e morali e di una morte prematura che degli  interventi corretti  le avrebbero potuto quasi sicuramente evitare? …..

 35.000 euro di risarcimento, concordati con le assicurazioni sulla base dei punti corrispondenti all’invalidità assegnati  da  un qualsiasi medico legale dopo una vista sommaria , sulla disposizione di un qualsiasi magistrato, che non hanno mai conosciuto veramente Ada e non sapranno mai delle sue sofferenze e della sua morte,   costituiscono una cifra  sufficiente a risarcire una vita ?

Zack Prima E Dopo

Questo articolo è stato scritto e pubblicato da Maria Teresa Fiumanò.

Buu, bao, bau, … ciao!

Io sono Zack e per raccontarvi la mia storia mi servirò del vostro linguaggio, non sono pratico, comunque ci proverò.

Sono nato in una stalla, la mia mamma, una splendida lupa la fecero accoppiare per venderne i figli. I soliti traffici degli umani che pensano sempre ad arricchirsi a nostre spese!

Io ero l’ultimo di dieci cuccioli, mia madre stanca non volendo mi ha dato un morso su un orecchio portandone  via un pezzo.

Il mio primo periodo di vita è stato felice, mangiavo e dormivo sazio e  caldo!

Ogni tanto venivano degli u-o-m-i-n-i, strani esseri spelati a due zampe, con la faccia piatta senza muso, che ci tiravano su per ammirarci. “Carini! io voglio questo, io voglio quello…”

Tempo tre mesi sia i miei fratelli che le mie sorelle  furono venduti.

Quando avvenivano le scelte le persone mi guardavano e  dicevano: “Questo col difetto no!”

Rimasto io solo il fattore mi regalò a un ragazzotto del vicinato.

Olimpio, un adolescente brufoloso, mi portò in un posto desolato, dove accanto a un orticello c’era una costruzione sbilenca, chiusa da una porta di legno da cui provenivano i grugniti della maialessa che vi era ospitata.  

Proprio di fronte c’era un boschetto rado e poco distante una discarica abusiva.

Bè, il termine l’ho imparato dopo dal momento che qui in Italia nessuno, nemmeno un  cane, può fare a meno di sapere che cosa sia una  discarica che  per me allora era solo un attraente cumulo di rifiuti putridi in cui mi sarei fatto volentieri una piacevole rotolata.

Sapete, noi cani siamo attirati dagli odori forti e abbiamo un debole per le porcheriole in genere che ci deriva da un istinto atavico che ci spinge a strofinarci sulle schifezze e sulle carogne per mascherare il nostro odore e passare inosservati senza attirare eventuali nemici.

La madre del giovincello Miluccia, una vecchietta segaligna, mi guardò e decise: “Questo viene grosso ed è buono pe’ la guardia.” 

Poi prese una catenone e me la mise al collo fissandone l’estremità a un ramo di un olivo. Provai a tirare, ma le maglie mi strapparono il pelo, allora mi quietai.

Io per accontentare la vecchia, abbaiavo e latravo a più non posso.

Stufa dei miei schiamazzi continui Miluccia pensò bene, dopo lo sgozzamento del maiale, di chiudermi nel porcile.

Essendo notte non vedevo nulla e l’unica cosa avvertibile fu un tremenda puzza.

La mattina seguente, dopo aver dormito, mi guardai intorno: il posto dal pavimento di terra battuta era angusto, chiuso sul retro e ai lati da tre pareti luride e sul davanti da una porta che nella parte superiore non raggiungeva il soffitto lasciando adito a un piccolissimo spiraglio.

Feci un po’ di salti verso l’alto e scopersi che potevo infilarci il muso e dare un’occhiata all’esterno.

 A nulla valsero i miei uggioli e abbai di protesta.

“Stattene zitto lì, ora tu ti devi fa sentì sulamente se arriva quacche ladro.”  fui redarguito, per cui, appena ingurgitato un po’ di mangiare e bevuto, feci delle pisciatine qua e là, feci la mia cacchina e poi mi misi in un angolino in attesa.

In attesa di che cosa e di chi?

“E ora che faccio?” mi chiesi.

Noi cani pisoliamo molto, ma abbiamo anche necessità di correre e socializzare con altri animali e con gli uomini e a me all’improvviso mi furono tolte tutte queste possibilità.

La mia situazione non cambiava mai e io cominciai ad avvertire la solitudine.

Era inevitabile che sporcassi un po’ dappertutto, sprot sprot e, visto che nessuno puliva,  la porcilaia cominciò a emanare un odore fetido peggio di quando c’ero entrato la prima volta,

Si dice che i canidi non abbiano il senso del trascorrere del tempo e non so se e quanto sia vero.

Io il tempo, man mano che passava, me lo sentivo pesare addosso come un macigno.
Si dice che i canidi non abbiano  sensibilità.

Chi lo dice?

Secondo me qualcuno che non capisce niente di psicologia animale.

La verità è che tutti gli esseri viventi hanno necessità di stimoli e la vita che conducevo, priva di sorprese, di svaghi, di attività fisica, e sopratutto di manifestazioni d’affetto incominciò a poco a poco a esercitare su me un’ influenza  negativa.

Sbronf,  fu così che ebbe inizio la depressione.

Io, che ero allegro e curioso, mi feci sopraffare dallo sconforto.

Le insicurezze s’impossessarono di me e persi l’efficienza canina.

I cani hanno bisogno dell’efficienza perché dà loro il senso dell’utilità, della forza, dell’identità.

Trascorrevo intere giornate sonnecchiando rincoglionito.

Passarono i minuti, le ore, i giorni, i mesi, gli anni e i miei anni di reclusione totale furono sei.

Il mio corpo incominciò a mostrare i segni del disagio fisico ed emotivo, il pelo mi cadde lasciandomi quasi glabro, dimagrii, le pelle mi diventò grigia e rugosa, la coda mi si striminzì, le gengive si gonfiarono, le palpebre si coprirono di grumi giallastri.

Mi mutai in una larva di cane al punto che la stessa Miluccia, entrata per caso, dopo tantissimo tempo,  nella porcilaia mi guardò meravigliata.

 “Maronna, quanto sì brutto e quanto feti!

“E mò chenne faccimmo ‘e chesto?-sentii poi che chiedeva ad altri-Abbisogna trovare quaccheduno che gli spara, oppure non gli diamo più da mangiare così se ne muore di famme.”

Però quando giunto allo stremo stavo per abbandonare ogni resistenza accadde il miracolo.

Che vi credete che i miracoli avvengono solo per gli uomini?

Anche per noi qualche santo buono qualche volta si muove a compassione.

Per i cani mi pare che ci sia San Rocco, che si ammalò della peste ed evitato da tutti fu aiutato da un cane che gli portava del cibo.

Devo dire che io non sono molto portato per la religione, però, non si sa mai …

Certo ci sarebbe da dubitare dell’esistenza di un Padreterno che ha stabilito che gli animali non debbano essere dotati di un’anima come gli uomini che, invece, furono dotati di intelligenza superiore, di libero arbitrio e della possibilità di  poter godere di un  aldilà.

Le bestie, invece, furono destinate a morire per sempre, almeno così comunemente si ritiene.

Quindi mentre l’uccisione di un uomo rappresenta un reato la soppressione di un qualsivoglia animale, anche se non giustificato dalla necessità di nutrimento, è legittima.

Io credo però che tutte queste siano solo invenzioni umane.

Forse c’è un paradiso anche per noi…

Per ora, senza far ricorso a benevolenze celesti, mi limito a ringraziare una signora di nome Romana.

Scusate la fretta che rischia di non far capire niente ai miei dieci lettori…

Un giorno questa donna capitò nella campagna di Miluccia e io feci un gran balzo per vederla ricadendo per terra con fracasso.

La sconosciuta chiese quale animale fosse tenuto chiuso nel porcile e le venne risposto: “Nu cane, viecchio e malato. Prendetelo voi e poi abbasta che se lo porta dal vetrinaio che gli fa la puntura e santi benedetti.”

La signora chiese di vedermi.

Così si aprì la porta della prigione e nella luce del giorno, a cui non ero più abituato, si fece avanti la mia salvatrice.  

Vidi una donna minuta, con i capelli castani lisci che le cadevano ai lati di un viso dolce dal sorriso luminoso.

Mi alzai a fatica e mi avvicinai a lei che allungava le mani verso di me che commosso rizzavo le orecchie e agitavo il mio residuo di coda.

La signora m’invitò a uscire.

Io barcollante la seguii fino alla sua automobile dove fui fatto accomodare con garbo sul sedile posteriore.

Poi la signora accese il motore e mi portò di gran carriera da un veterinario che mi visitò.  

“Hum, – disse l’uomo – Che gli è successo?”

Lei si profuse in spiegazioni  sulla vita miserabile che avevo condotta per sei anni.

“A me pare una bestia più malridotta che malata. Il suo stato è la conseguenza di mal nutrimento e  di una lunga depressione da stress.  Lo faccia curare  e pian piano tornerà alla normalità.”

Finita la visita guardai con occhi supplici Romana che mi rimise  nella sua  auto e mi portò via con sé.

Allora capii al volo chi era la mia nuova padrona.

“Ora bisogna darti un nome, -mi disse – sembri Ezechiele lupo e perciò  ti chiamerò Zack.”

 Dopo la mia strada fu tutta in salita, veramente certi dicono tutta in discesa, ma insomma dico io mettetevi d’accordo, gli umani sono sempre poco chiari sia quando parlano che quando scrivono. Comunque la mia vita cambiò da così a cosà, ossia cambiò.

Il viaggio dal mio paese a quello di Romana fu tormentoso per me che non ci ero abituato.   

Nell’abitacolo, oltre alla padrona dietro con me c’era una gattina nera, senza una zampa anteriore. “Fuffa questo è Zack e vivrà anche lui da me nel nostro piccolo zoo.”

La prospettiva di dividere con altro bestiame un nuovo alloggio non mi piaceva, però poi pensai che non sarebbe stato poi tanto male frequentare miei simili e affini.

Fuffa sgranò i suoi occhi dorati e mi parlò: “Mao, mao, parlo piano perché non ci devono sentire. Gli uomini se solo sapessero quanto capiamo avrebbero paura e allora meglio far finta di essere meno di quello che  siamo.”

Io ero incredulo: “Tu che ne sai? Quelli con due zampe in questo mondo sono loro che comandano.”

“Sgrunf, lasciati servire -continuò- noi abbiamo delle risorse che loro sottovalutano ed è un bene che sia così perché altrimenti le distruggerebbero.

Ci sono tanti soggettacci che ci odiano o che ci maltrattano solo perché non sempre abbiamo la possibilità o la forza di ribellarci alle loro angherie.

Ora ti voglio dire un po’ di me.

La mia mammina era una gattuccia, randagia, che quando sono nata non aveva ancora un anno e dal momento che doveva andare sempre fuori per procurarsi un po’ di cibarie mi lasciava spesso sola dentro un cespuglio.

Un brutto giorno poiché la mamma non tornava mi misi a piangere e un orrido cagnaccio ispido e giallastro mi scovò e mi azzannò una zampetta. I suoi denti mi penetrarono nella carne lacerandomi i muscoli e  frantumandomi le ossa.

Me ne rimasi dolorante e digiuna per tanto tempo mentre la zampa si gonfiava.

Sarei morta se non fosse stato per una donna che mi vide per caso: “Tò un gattino!” e anche se provavo a graffiarla incominciò ad a accarezzarmi e io provai un tale piacere che mi misi a fare le fusa purrr purr.

La donna non era altro che la nostra padrona che ha troppi  animali per i miei gusti e, come se non bastasse, mo’ ti sei aggiunto pure tu.

Quella è una fissata con le opere di bontà e io, mi ci sono dovuta abituare.

Lo dovrai fare anche tu cagnone pulcioso, la casa dove verrai ospitato è piena di cani e di gatti!

Per riprendere il discorso quando lei si è accorta della mia zampina maciullata mi ha portata da un dottore che mi ha addormentata e dopo da sveglia non provavo più dolore.

“Piccoletta, -mi disse- ti hanno tolto una zampa, ma sappi i gatti con tre zampe possono fare di tutto. Visto che all’inizio avevi paura e non hai fatto altro che soffiarmi ti chiamerò Fuffa.”

A casa sua non ero sola, però non mi conveniva, come non converrà a te, ti consiglio, fare difficoltà.  I più fastidiosi in quel posto sono i miei simili.

Io mi sono dovuta scontrare subito con una vecchia gatta, una persiana arrogante, che si chiama Nancy ed è convinta di essere la padrona del reame.

Se ne sta sempre su un bracciolo del divano grande e dorme sul letto di  Romana.

La Nancy ha provato a catechizzarmi: “Ma che ti credi? Ho una nobile ascendenza, sono stata comprata e quindi qui sono la regina indiscussa.”

Io non mi sono fatta intimorire e ora quando saltiamo sul lettone ci mettiamo una  da una parte e l’altra dall’altra, però mentre lei si accuccia sopra la coperta io mi ci infilo sotto.

Quando entrerai in casa Nancy farà di tutto per graffiarti e cacciarti.

Sei stato fortunato a essere scelto da Romana che  è una personcina per bene.

Peccato, come ti ho già detto prima, che abbia la mania di raccogliere bestie sfortunate dappertutto!

Sappi che lì dove abiterai anche tu ci sono ben dodici gatti e otto cani.

Scusa, un attimino, sai ogni volta che faccio un viaggio in macchina devo dar fuori. “Berupbeurk vomm, glaaatc….”

Ma guarda tu che mi doveva capitare: una compagna di viaggio che non si azzittiva nemmeno per un secondo! Quando si interrompeva per farsi delle vomitatine schifosine tiravo un sospiro di sollievo.

Alla fine caddi in un sonno profondo e non mi svegliai prima di arrivare alla mia nuova dimora e che fantastica sorpresa che fu!

Uno chalet bellissimo grande e caldo con tante stanze circondato da un vasto appezzamento di campagna.

Fuori dall’auto all’improvviso venni circondato da un esercito di miei simili.

E che è? – mi dissi – Accorcane gasp!… Peggio di un canile!

Romana me li fece avvicinare uno per uno: “Ragazzi ecco Zack, lui è malaticcio, per quindi niente latrocini dalle sue ciotole e niente zuffe!”

Io mi nascosi dietro la sua gonna mentre quelle bestie mi si accostavano per annusarmi sfacciatamente il sedere.

Fra noi cani ci si conosce in questo modo e io, dopo essermi assoggettato al loro esame olfattivo, ebbi la certezza di essere stato accettato.

In seguito la Fuffa, mi presentò agli altri gatti che, anche se cordiali, preferivano evitarmi.

L’unica a mostrarsi ostile fu Nancy, una gattona dal pelo violetto di un’antipatia!

Quando mi avvicinai a lei per presentarmi, son pur sempre un gentilcane, aprì un solo occhio malevolo ed emise un terribile soffio.

“Via brutto ceffo! -sibilò- Questo è il mio regno. Non  se ne può più di bestie in questa casa, io sono tollerante, però guai a contrariarmi! Io sono un felino di razza con nobili origini certificate, inoltre ho quasi vent’anni, magnificamente portati.

I cani sono i più obbedienti e si tengono alla larga, i miei simili più anziani mi portano rispetto, ma quelli giovani sono scapestrati come selvaggi. Non c’è più religione!

Sai all’inizio pensavo che la padrona fosse un tipo raffinato, ma col tempo si è circondata da una tale miseranda teppaglia!”

Io assunsi un’aria reverenziale mentre lei continuava a blaterare.

Era proprio destino che sti gatti non mi dessero tregua con i loro pettegolezzi!

La prima notte la passai nella stanza da letto di Romana che mi preparò una cuccia morbidissima con un cuscino di piume.

Il mattino seguente uscii fuori e presi visione di un grande prato pieno di alberi e cespugli dove avrei potuto scorrazzare a mio piacimento.

La Fuffa mi presentò ai cani che mi avevano solo annusato.

“Questi sono Lupino e Lupina fratelli trovati in un cassonetto, bruttarelli  e con la mania di scappare stando fuori tutta la notte.

Questi due più piccoletti sono Sky e Bettina, anche loro raccolti in un mondezzaio, lei è sciocchina, lui è più furbo e pure lui ha la mania di scappare e di starsene a zonzo giorni interi, però essendo l’unico non castrato avrà pure le sue ragioni!

Poi c’è Bella una specie di cattivo rottweiler, trovato su un’ autostrada che morde tutti,  c’è una cagnetta rossiccia sottratta agli zingari che si chiama Fluf  e infine ci sono Tyson un cucciolotto bianco e Ideo un boxer quadi cieco lasciato qui da un tipo di passaggio.

Una raccomandazione: in fondo a destra c’è il pollaio con le galline e un paio di galli che non si devono toccare per nessun motivo.”

La vita che ho condotto nella mia nuova dimora è stata magnifica, mangiavo delle pappe morbide fatte apposta per me che avevo  i denti malridotti, prendevo le vitamine e mi facevano fare dei bagni emollienti tanto che nello spazio di un anno mi è ricresciuto il pelo e sono diventato il più bello di tutto il nostro canile.

Potevo correre ovunque e giocare con delle pallette da tennis e delle pigne.

Gli altri cani se ne stavano quasi sempre per conto loro per cui la  mia compagna fissa di escursioni è stata la Fuffa che con le sue tre zampine sempre in movimento sembrava volare.

Ma la cosa più bella per me è stato l’amore di Romana che non faceva altro cha coccolarmi e darmi dei gran baci sul tartufo.

Mi piaceva scavare delle buche e sdraiarmi sotto gli alberi, soprattutto un albero di loti che quando erano maturi cadevano e io ne potevo mangiare quanti ne volevo.

Sky e i Lupini hanno provato a farmi unire alle loro escursioni notturne, ma io mi sono sempre rifiutato di farlo.

Ero molto obbediente e all’ora della ritirata correvo subito dentro casa e non facevo mai danni. 

Una volta sola mi sono comportato male, ho trovato una gallina fuori dal pollaio e, confesso, me la sono pappata tutta, piume, penne e zampe comprese.

La padrona mi ha rimproverato e ignorato per diversi giorni, poi alla fine ha ceduto alle mie testate affettuose e ha ripreso a baciarmi.

Tutto meraviglioso…

Però col tempo ho capito  che anche nelle situazioni migliori possono capitare degli inconvenienti.

Difatti un giorno Lupino dopo essere scappato non è tornato più e la sorella lo ha pianto per mesi, Bella che era anziana è morta, ma la sua assenza non è dispiaciuta  a nessuno, tranne che a Romana, ed è morta anche la mia amica gattina per una infezione  intestinale, non si capisce perché, forse aveva mangiato un topo avvelenato.

Tornando a me a dieci anni hanno cominciato a farmi male le gambe posteriori e ogni tanto perdevo l’equilibrio, dormivo e mangiavo poco.

Mi lamentavo tanto e alla fine anche le iniezioni di antidolorifico non calmavano  i miei mali.

Il veterinario ha detto chiaramente alla padrona che non c’era più niente da fare, e che sarebbe venuto a casa per mettere fine alle mie inutili sofferenze.

E’ stata una bellissima morte, poggiato sul mio cuscinone di piume Romana mi ha fatto mangiare un intero hamburger di pollo,  poi mi ha tenuto abbracciato mentre il dottore mi faceva la puntura letale e io me ne sono andato via mentre lei mi baciava sul naso.

Ma che vi credete?

Ebbene esiste un Paradiso indescrivibile e splendido anche per gli animali dove ho ritrovato la mia Fuffa che non si stacca mai da me e da cui possiamo guardare sulla terra: Romana continua a raccogliere orfani  e derelitti,  ad amarli e a farsi amare…

Secondo me il suo posto futuro e definitivo e giusto non dovrebbe essere tra i suoi simili ma tra noi…

E anche se non rimarrà qua in via definitiva sono certo che ci verrà a trovare.

Noi l’aspettiamo…   

Diario Di Un Parkisoniano

Questo articolo è stato scritto e pubblicato da Maria Teresa Fiumanò.

Roma  5 /11/1997

Francesco  Conte : 78 anni, cammina inclinato in avanti con andatura a piccoli passi, presenta ipertonia muscolare,  impaccio  e lentezza nei movimenti (bradicinesia), tremore della testa e  di entrambe le  mani a riposo, facies amimica, monotonia della voce,  abbondante scialorrea. Scrittura tremula, micrografia. Riferisce accentuata  sensazione di rigidità degli arti, facile astenia, depressione  e lamenta soprattutto un eccesso di salivazione che lo imbarazza.  Assenza di disturbi psichici, buona capacità di attenzione e assenza di rallentamento ideativo.

Il  signor Francesco  mi è stato inviato da un collega perché i suoi sintomi, alcuni dei quali comparsi già  da qualche anno, sono stati sottovalutati  dal suo  medico curante e adesso arriva a me, in una fase della  malattia abbastanza avanzata, senza essersi mai sottoposto a cure specifiche .

Purtroppo anche nella categoria di noi  medici, mi dispiace dirlo, ma è una inconfutabile realtà,  esistono persone ignoranti e di poco scrupolo che curano per modo di dire prescrivendo solo medicine di routine, spesso senza visitare con accuratezza le persone che si rivolgono a loro.

Il mio nuovo paziente entra nello studio manifestando una grande timidezza.

E’ curato, capelli bianchi radi pettinati con la scriminatura di lato, naso aquilino importante e occhi celesti la cui vivacità contrasta con  l’inespressività di un bel viso dai lineamenti regolari non alterati dalle rughe profonde che gli solcano la fronte e le guance meticolosamente rasate, inappuntabile nell’abbigliamento: vestito grigio, camicia azzurra stiratissima  e cravatta color amaranto, un fazzoletto bianco ripiegato gli spunta dal taschino della giacca e un altro è appuntato al collo della camicia per raccogliere la saliva che gli scende copiosa da un angolo della bocca. 

“Ci ho messo tutta la mattina a vestirmi, naturalmente mi sono fatto aiutare , sapevo che il neurologo da cui sarei andato  era una neurologa e volevo fare una bella figura. E’ la prima volta che dovrò mostrarmi spogliarmi davanti a una persona di sesso femminile che non sia mia moglie e prima ancora mia madre  e mi sento in imbarazzo.

 Io, anche se sono vecchio,  stimo molto le donne medico, penso, anzi sono sicuro,  che hanno faticato tanto, molto  più degli uomini a diventare quello che sono e hanno tutta la mia stima.

Io non sono un grande  uomo, sono stato solo un maestro delle scuole elementari, ma ho visto, ho sofferto, ho vissuto e  le mie opinioni me le sono fatte e ce l’ho. Grazie per aver accettato di prendermi in cura, mi metto nelle sue mani.’’

Dopo la visita  e aver fatta diagnosi di morbo o malattia di Parkinson, una volta definita paralisi agitante, prescrivo al signor Francesco le medicine che dovrebbero indurre il suo organismo a un discreto miglioramento e una serie di  esercizi di vita quotidiana che potrebbero aiutarlo a superare la mancanza di iniziativa, l’inerzia motoria  e la depressione che costituiscono un corollario inevitabile del suo male.

 Il paziente che da quando è diventato vedovo a casa si fa aiutare dalle  nipoti, figlie di sua sorella, e da una cameriera, d’ora in avanti, seguendo i miei consigli, dovrà vestirsi da solo, uscire e camminare il più possibile, andare a fare la spesa, cucinare, rassettare la sua casa  e per migliorare le capacità motorie delle mani dovrà scrivermi un diario delle sue giornate e , se vorrà e gli riuscirà, del suo passato….

                               DIARIO di Francesco

2-12-97

                                                                            Le ginestre

Ho rivisto stamani le ginestre

che mi sfilavano rapide davanti

e ho ripensato al viale dei Pini

e alle tante ginestre  gialle, dorate, profumate.

E noi camminavamo , mano nella mano,

caldi di sole e d’amore.

Sognavamo, oh, quanto sognavamo felici

per le nostre piccole cose e il nostro amore tenero, infinito.

                                                                        Ora le ginestre fioriscono ancora,

                                                                       ma non per noi. Sono rimasto solo a vederle.

                                                                       Tu te ne sei andata, con una rosellina

                                                                       di maggio tra le dita, portandoti via

                                                                        per sempre il mio cuore e il mio amore.

Ho voluto cominciare questo diario con una breve poesia che scrissi pochi giorni dopo la morte di mia moglie Maggie. La scrissi con il cuore e gli occhi colmi di lacrime  a perenne ricordo del nostro amore che è stato  bello, tenero , appassionato e durato  per tanti lunghi anni dal  lontano 1944 fino al funesto  aprile 1993, quando lei ha lasciato per sempre la vita terrena, abbandonandomi al mio destino.

Come avrei voluto che mi portasse con sé! Che ci sto a fare, mi chiedo sempre, io qui da solo e in aggiunta malato ?

Spero di poter scrivere cose più serene  nei prossimi giorni.

4-12-1997

Gran brutta giornata quella di ieri, pioggia, grandine, vento e un’aria greve, pesante E’ un po’ come se il tempo si fosse accordato con i brutti pensieri che mi vengono sempre  in mente quando ricordo la fine di Maggie.

Sono stato tutto il giorno solo in casa, non me la sono nemmeno sentita di andare dalle nipoti che abitano  a pochi metri da me. Non avevo voglia  di spiegare il motivo della mia melanconia.

A aumentare la tristezza si è aggiunta la notizia della morte  di Augusto, mio caro amico e vicino di casa, insieme al quale  mi sono impegnato al massimo negli anni passati per far promuovere la costruzione la nostra chiesa parrocchiale. Era un accanito fumatore e, anche se una brutta bronchite  l’ha tormentato per anni rendendogli la vita molto dolorosa, non ha voluto mai smettere il vizio che gli ha compromesso gravemente la salute.

Rimane sua moglie Liala, che malgrado gli acciacchi e l’età avanzata,  è riuscita  curarlo fino alla fine  con grande coraggio e dedizione.

Speriamo che il Signore le dia la forza di sopportare la solitudine dei vedovi che io conosco bene e che non è facile da sopportare.

Stamani c’è il sole, mi auguro che sia una giornata più serena di quella di ieri.

5-12-1997

Anche  oggi  è una brutta giornata, il cielo è pieno di  nuvole grigie,  tira un gran vento e fa molto freddo. Io che temo il maltempo e i raffreddori che non mi passano mai  ho preferito non uscire  per niente. 

Le mie nipoti sono partite per tre giorni perciò sono solo soletto e me ne sto a vedere la televisione e a fare il cuoco, trafficando maldestramente tram i fornelli.

Pensare che mia moglie, anche se non era appassionata di cucina, non mi ha mai permesso di mettere mano alle pentole! Secondo lei e devo dire anche secondo me queste sono faccende prettamente di competenza femminile.

Però di necessità si fa virtù.

Oggi come oggi io mi devo necessariamente arrangiare, all’una un pranzetto sbrigativo: spaghetti al  burro, una cotoletta panata (bella e pronta, solo da scaldare), due patatine arrosto. Per stasera mi sono già organizzato: tre  fettine di prosciutto cotto, un pomodoro condito e la cena è fatta !

Scrivo con la mano ribelle che non tiene conto delle righe e vuole essere indipendente.

Riprenderò i miei compiti quando si mostrerà  meglio disposta a seguire i miei ordini.

6-12-1997

Sono passati circa venti giorni da quando ho incominciato la cura per la mia malattia e i benefici sono stati rapidi e numerosi . Uno dei maggiori è che ho smesso di sbavare in continuazione , era un inconveniente  che mi dava molto fastidio!

Quel dover portare il fazzoletto alla bocca centomila volte mi costringeva a starmene in disparte e  a isolarmi, più di quanto non abbia fatto dopo la morte di mia moglie. Mi pareva che tutti mi  guardassero   e mi  compatissero, che sgradevole sensazione !

Ora, invece, posso stare in mezzo alla gente  serenamente senza vergogna. I tremiti sono diminuiti e adesso posso anche farmi di  nuovo la barba . Prima questo semplice atto di pulizia quotidiana era una lotta tremenda : la mano andava dove voleva, senza la giusta inclinazione , passavo e ripassavo  sulla faccia con il rasoio elettrico, ma i peli rimanevano intatti e belli dritti come tanti soldatini.

 Non parliamo delle difficoltà che provavo a vestirmi  e che ora sembrano passate. Che lotte con i bottoni! Era una vera battaglia fra le mie dita disobbedienti, le asole e i bottoni, quando  credevo di averne imprigionato uno questo mi sgusciava via più libero che mai e dovevo ricominciare da capo. Che dire poi delle difficoltà che provavo quando dovevo infilare una maglia o indossare una giacca o un cappotto! Sembrava che le maniche  non ci fossero più, sparivano e io annaspavo cercandole. Un altro fastidioso impaccio mi intralciava quando bevevo da un bicchiere, dovevo lasciare il bicchiere mezzo pieno,  oppure bere con una cannuccia . Ora questi inconvenienti  sono scomparsi e sono felice di aver ripreso una buona  parte della mia indipendenza.

Certamente so di non essere guarito, però mi sento molto meglio e di questo ringrazio la Professoressa che  ha fatto la diagnosi della mia malattia  e ha indovinato la giusta medicina per  curarla.

 Mi è piaciuta la mia neurologa, non mostra  falsi pietismi, dice ciò che va detto e sa  spiegare i meccanismi della malattia e gli stratagemmi da impiegare per vincerla. Ha detto che dobbiamo essere come due alleati che lottano contro un nemico comune.

Prima di andare da lei pensavo che la mia strada fosse tutta in discesa e che avrei dovuto percorrerla senza nessun aiuto.

Ero davvero sfiduciato!

Invece  ho trovato chi è capace a curarmi e  è disposto a starmi vicino e con questo pensiero confortante ho ripreso a vivere convinto di potermi riappropriare della mia dignità.

Non voglio sbilanciarmi, ma da un po’ di giorni mi  sento un pochettino più ottimista. 

8-12-1997

Oggi ho chiamato per telefono Maria una  cugina di mia moglie che compie novantasei anni portati benissimo.

E’ una donna piccolina  di statura, vivace, piena di forza, instancabile e intelligente. Mi vuole bene perché sono stato il marito della nostra povera  Maggie.

Non si è mai sposata e vive lontano da qui  in un paesino  della Campania, però mi telefona quasi tutti i giorni per informarsi della mia salute.

Quando la vado a trovare, di solito due volte all’anno, si dà tanto da fare per me, prende la corriera,  scende in città  per fare la spesa e si carica di borsoni che si fa riempire di frutta, verdura, carne, formaggi e dolci che poi si trascina a stento fino a casa.

Tutte queste fatiche per cucinare i miei piatti preferiti, quando sto da lei mi rimpinza e mi rimprovera perché non riesco a mangiare ogni pietanza che mi ammannisce. E non mi fa mancare il vino di uva fragola che lei stessa produce in uno dei suoi vigneti.

Maria, quando era giovane, ha preferito il lavoro al matrimonio,  ha fatto la maestra elementare come me insegnando in diversi paesini del Piemonte e, poiché era piuttosto graziosa, una biondina tutto pepe con sfacciati occhi celesti,  ha avuto diversi amanti, qualcuno sposato, e,  in considerazione dei tempi, ha dato scandalo e al suo paese era chiacchierata.

 I parenti l’avevano allontanata, però io e Maggie, che non ci siamo mai fatti influenzare da pregiudizi di nessun genere, l’abbiamo sempre frequentata volentieri e spesso è stata ospite a casa nostra.

Aveva e ancora adesso ha un carattere fantastico, una donna sempre di buon umore, con la risata pronta, sapeva civettare e più di un nostro amico, a suo tempo, ci ha perso la testa.

Lei che voleva solo divertirsi e non prendeva nessuno sul serio, diceva di odiare qualsiasi genere di legame a vita e si è dimostrata coerente con le sue  idee.

Quando è andata in pensione è tornata a vivere nel suo paese d’origine disinteressandosi delle malignità che la circondavano.

Si è dedicata con successo alla coltivazione di un certo numero di terreni ereditati da uno suo spasimante agricoltore e si è conquistata il rispetto e l’ammirazione dei compaesani, che all’inizio le si erano dimostrati ostili e, come dice lei, “ la mia popolarità e la mia onestà sono andate aumentando con l’aumentare dei miei soldi’’.

E’ stata veramente in gamba e ancora adesso se la sa cavare egregiamente, sicuramente meglio di me!

Il suo modo di ragionare e agire è sempre stato straordinario, ma non tutte le persone sono state in grado di capirla, veniva considerata una poco di buono e invece lei ha sempre sostenuto che con il suo comportamento un po’ leggero non ha fatto che del bene agli altri e anche a sé stessa!

Ancora adesso sostiene “Io non ho nessun rimpianto, mi sono tolta ogni voglia, ho dato tanto, anche me stessa, e in cambio ho ricevuto non soltanto pettegolezzi e maldicenze, ma anche moltissimo amore, e questo è il segreto della mia serenità.’’

9-12-1997

Oggi, dal momento che cammino più spedito, sono riuscito a tornare al Cimitero per una visita ai miei cari defunti.

Quanto cordoglio nel rivedere le tombe dei membri della mia famiglia! Ho guardato con nostalgia  le piccole foto stinte sulle lapidi : mio padre Antonio e mia madre Giuseppa, lavoratori instancabili e guida affettuosa e saggia per noi figli, i miei due fratellini morti piccoli e le mie due sorelle anch’esse scomparse.

Alla fine la tomba di mia moglie che sono riuscito a ripulire ben bene dalle erbacce che l’avevano invasa nel periodo in cui ero quasi completamente bloccato.

Quanto è stata bella la mia vita quando potevo godere della compagnia e dell’affetto dei miei cari! Di tutti loro mi è rimasto solamente un fratello, Giovanni, afflitto anche lui di gravi problemi di salute. Anche se  vive in paese poco distante dal mio ci vediamo raramente, ma ci vogliamo bene lo stesso.

Tornando a casa ho fatto una sosta per riposarmi  su di una panchina per carpire un po’ di calore dal sole esangue che faceva capolino dalle nuvole. Quasi subito si sono seduti accanto a me due miei amici che non vedevo da tempo e che, saputo che tornavo dal Cimitero, hanno cercato di farmi ridere raccontandomi qualche  freddura. Insieme hanno tirato fuori  le solite trite  e ritrite barzellette su vecchi sporcaccioni  che non si rassegnano alla vecchiaia e ch  non   mi hanno per niente rallegrato.

 Un vecchio bacucco che va dal dottore “Dottore, dottore, un mio coetaneo non fa altro che dirmi che lui scopa tre volte a settimana, che devo fare ?’’ e il dottore di rimando “  Digli che lo fai anche tu!’’ 

Un’altra ancora peggiore su due uomini  toscani avanti con gli anni: Uno di loro cammina trascinandosi la gamba e con la faccia storta . L’amico gli chiede “Oh Giulio ma che hai mai fatto ? “ Un trombo, Mariuccio, un trombo’’ “Ovvia , ma che mi vai dicendo mai ? Anch’io ‘un  trombo mai eppure mica mi so’ ridotto a codesta maniera!’’

 E alla fine un’altra freddura sul  pane che più è vecchio e più diventa duro al contrario di quello che succede agli uomini.

Forse non è proprio come la sto scrivendo io, ma il senso era quello. 

Sempre con questa fissa del sesso gli uomini!

Però a un a certa età  dovrebbero smetterla, se non  altro per una questione di  dignità. Ma a quanto pare    di fronte    al sesso la   dignità passa   in seconda linea.

Non che io sia un  santo, anche a me piaceva fare l’amore, ma ci ho rinunciato già da numerosi anni e  precisamente da quando Maggie si è ammalata.

Sapevo che avrei potuto cercare altrove le mie soddisfazioni sessuali, eventualmente a pagamento, è talmente facile! Ma a me solo l’idea di fare un torto a una moglie, che adoravo e che versava in quelle condizioni,  mi faceva orrore.

Non  ero un bigotto e nemmeno un idiota, ero semplicemente un uomo innamorato. Io non ho mai smesso di voler bene a   mia moglie, nemmeno sul letto di morte.

Lo so che raramente  l’amore resiste intatto  alla prova dell’abitudine e degli anni, ma per me è stato così  e io sono felice di aver potuto godere di una simile fortuna!

Qualche volta in sogno  ho ancora delle fantasie erotiche, eppure, è strano,  anche mentre dormo l’unica donna che mi appare per farmi provare piacere è sempre e soltanto l’adorata compagna della mia vita.

Maggie era una donna sensuale e non si è mai rifiutata,  con scuse di mal di testa o di altri malanni,  anzi spesso era lei a prendere l’iniziativa …

10-12-1997

Sono tornato a casa  nel primo pomeriggio, dopo essere stato a pranzo da una delle miei nipoti, che è sempre tanto carina con me, vorrebbe addirittura che mi trasferissi da lei, pure se è sposata e con tre bambini, ma io ci tengo alla mia indipendenza, alla mia casa e alle mie cose e non accetterò mai. 

Voglio restare qui e quando non ce la farò più a cavarmela con le mie forze mi pagherò una persona che mi accudisca.

Oggi che fa un freddo cane, ho le mani gelate e scrivere mi risulta molto faticoso, però so che devo sforzarmi, non desidero essere rimproverato dalla dottoressa per non aver eseguito il mio compitino di scolaro modello.

Ero convinto che perseverando nello scrivere la mia grafia  diventasse più chiara e leggibile, ma purtroppo questo miglioramento ancora non si vede. Speriamo nel futuro, io ci provo!

11-12-1997

Stamani per alcuni acquisti, dopo moltissimo tempo, approfittando di un passaggio in automobile datomi da mia nipote Gilda, mi sono recato nel centro della città di C…. Sono rimasto impressionato dall’enorme traffico e  dalla grande confusione che vi regnano.

Sono bastati pochi anni per cambiare totalmente la fisionomia  di un posto che in passato  frequentavo piuttosto spesso e volentieri e che ora quasi ho stentato a riconoscere.

Auto e moto in frenetico movimento o in sosta lungo i marciapiedi affollati di gente o in doppia fila.

 Mi sono trovato in difficoltà a districarmi in quella baraonda e non vedevo l’ora di far ritorno nel mio tranquillo paesello.

12-12-1997

Ai miei ordinari acciacchi oggi si è aggiunto un fastidioso mal di schiena. Non mi piace affatto essere quello che sono diventato col passare degli anni : un vecchietto pieno di malanni. 

Che posso farci?

Nessuno può levarmeli gli anni, e quel che è peggio  nessuno può compatirmi.

Una volta quando non ero ancora vedovo e stavo male, sempre roba di poco conto,  la mia cara compagna mi riempiva di premure  e io, ritenendola esagerata,  la trattavo  con un certo distacco mostrando di essere seccato per le sue eccessive attenzioni.

Che  sciocco! Ero un individuo fortunato e non me ne accorgevo.

Via! Non voglio lamentarmi troppo, purtroppo la vita va in questo modo e noi umani non ci possiamo fare niente.

 Mi spiace di non poter andare a Messa questa sera. Spero che una giornata di riposo assoluto con il calduccio dentro casa mi aiuti a star meglio.

 14-12-1997

Invece di un giorno a casa ne ho  trascorsi due e ancora non me la passo un  granché bene. 

Oggi aspettavo delle visite, una da parte del mio caro fratello e l’altra da parte di un amico che ogni tanto passa da me per  una partitina  a scopa.

Purtroppo non mi è venuto a trovare nessuno, penso soprattutto a causa del tempaccio che imperversa.

Domani telefonerò alla Professoressa per metterla al corrente delle mie condizioni. I miglioramenti ci sono stati e è innegabile, molti e rapidi nei primi giorni di cura (la salivazione e la rigidezza che sono scomparsi), poi c’è stato qualche altro progresso anche se più lento (il tremito diventato molto raro  e il passo che è diventato più sciolto).

Però la grafia, nonostante gli esercizi  è rimasta quasi la stessa, lenta, impacciata, irregolare e  non riesco ancora  a concentrare la mia attenzione come facevo prima, sia nella lettura che nel guardare la televisione e la memoria è un disastro !

Ricordo bene solo le cose passate, mentre mi scappa di mente dove ho riposto qualche oggetto solo pochi minuti prima .

15-12-1997

Ho parlato al telefono con la  Professoressa , lei vuole che la chiami Dottoressa, ma a me sembra così importante, brava e preparata che mi viene spontaneo chiamarla con questo titolo.

 Le ho esposto le mie condizioni di salute e Lei, ascoltando le mie lamentele, mi ha un po’ rimproverato per la mia impazienza. Lei ha ragione : io ho troppa fretta di ridiventare l’individuo che ero prima, più agile, più forte, più sicuro di me, più “giovane’’.

 Mi piacerebbe che durante la sua  prossima visita la Professoressa vedesse in me non solo il malato, ma almeno un po’ dell’uomo che sono stato e che ancora sento di essere. Le mostrerò una mia fotografia in divisa di quando ero ufficiale durante la seconda guerra mondiale, ero davvero un bel ragazzo castano  con tanti  capelli, le sopracciglia folte e due grandi occhi azzurri.

 Beati tempi passati ! Oggi ho 78 anni che sono tanti  e difficili da portare, certo se non fossi diventato un parkinsoniano sentirei meno il loro peso che sono, purtroppo, costretto a sopportare.

17, 18,19,20,21, 22, 23, 24-12-1997

Queste giornate prenatalizie le ho accumunate perché il tempo è stato discreto e io ho trascorso quasi tutte le ore mattutine in veranda godendomi il tepore di un  pallido solicello invernale che filtra attraverso i vetri rallegrandomi lo spirito.

Nei pomeriggi andavo dalle nipoti a casa delle quali c’era un gran fermento, soprattutto da parte dei loro figli  più giovani,  per la preparazione degli addobbi natalizi.

 Io ormai non faccio niente, però in mezzo a questi allegri  rituali mi piace ricordare di quando insegnavo e con l’aiuto dei miei alunni in classe allestivo sempre un bel presepio.

Adoperavamo gli scatoloni  di imballo dei frigoriferi e gli alunni creavano, sotto la  mia guida, con tecniche diverse i fondali, gli scenari su diversi piani e prospettive, e  i differenti personaggi.

Una volta finito il nostro capolavoro  lo illuminavamo con il proiettore e facevamo suonare le musiche natalizie tradizionali mettendo in moto le bobine del registratore.  Venivano anche  i genitori dei ragazzi  a ammirare la nostra opera e i bambini cantavano le nenie natalizie, anche alcune  in inglese insegnate loro da mia moglie che ha sempre collaborato con me in tutti i lavori e spettacoli scolastici che richiedevano un certo impegno.

Lei era una donna così piena di fantasia, inventiva  e entusiasmo! E adorava i  bimbi.

Noi, purtroppo, non siamo riusciti a avere un figlio nostro. Eppure lo avremmo tanto desiderato! Maggie ha avuto tre aborti e  quando ci hanno detto che anche solo il tentativo di un’altra gravidanza avrebbe messo in pericolo la sua vita io non ho voluto più tentare.

Ci tenevo troppo a lei! 

Forse adesso che si sono inventati tante diavolerie non sarebbe stato così difficile avere un bambino come ai tempi nostri.

Si vede che doveva andare in questo modo.“Vuol dire che siamo destinati  a rimanere una bella coppia di innamorati – le dicevo per consolarla –  e questo è un gran privilegio. Se  continueremo a rimanere sempre insieme, senza la scusante o l’alibi  dei figli, come succede nella maggior parte dei matrimoni, vorrà dire che il nostro è un vero amore !’’ 

E così è stato .

Noi ci siamo bastati, ci completavamo  e per essere felici ci era sufficiente stare l’uno accanto all’altro.

25-12-1997

Ho trascorso la sera della vigilia e il giorno di Natale con le mie nipoti e mio fratello. Ho potuto godere di un’ottima cena a base  di pesce e un pranzo natalizio eccellente con lasagne, cosciotto di agnello al forno  e un’infinità di dolci. 

Una tavolata di gente, parenti più o meno vicini, allegri e pieni di un  sano appetito. Dopo ci siamo riuniti tutti  vicino al Presepe e all’albero di Natale per scartare i doni.  A me hanno regalato un paio di guanti,   una sciarpone di lana, un pigiama, una vestaglia di flanella e un paio di pantofole. Regali degni di un matusalemme invalido, ma io non ho nessuna intenzione di trascorrere il resto della mia vita in pantofole, pigiama e vestaglia!

Devo aver fatto una faccia assai delusa quando li scartavo, cosicché le mie nipoti si sono affrettate a dirmi: “Questi regali te li godrai adesso che non stai ancora tanto bene, ma non appena ti sarai ripreso ti faremo dono di una bicicletta nuova, così  te ne potrai andare  a zonzo come una volta per il paese.’’

Alla fine della giornata abbiamo giocato a tombola  e io, fatto stranissimo, ho vinto più di una tombolata. Sarà vero il detto sfortunato al gioco chi è fortunato in amore. Per me, ormai abbandonato dall’amore, è rimasta la fortuna nel gioco! Ma ne farei volentieri a meno, pur di riavere la mia Maggie!

Nel corso di questa giornata il mio pensiero è andato a un  altro Natale, quello dell’anno 1945. Il tredici ottobre mi ero imbarcato sulla portaerei Batoon  per rientrare in Italia dopo una lunga prigionia di guerra.

Erano quasi cinque anni che non facevo ritorno al mio paese.

Con i miei commilitoni dividevo  la speranza di poter trascorrere il Natale con le nostre famiglie che ci aspettavano e non parlavamo d’altro,  delle gran mangiate e delle dormite  in letti comodi e puliti che ci aspettavano nelle nostre case. 

Dopo aver passato tanto tempo  fra pericoli e disagi i nostri desideri erano semplici e sarebbe bastato veramente poco per renderci felici.

Fummo fatti sbarcare a Napoli il ventuno dicembre e presto, speravamo,  ci saremmo riuniti ai nostri cari. Ma …ci fu un terribile ma  della burocrazia militare  che si frappose tra noi e le nostre speranze.

C’era di mezzo una domenica e gli ufficiali della base non vollero in nessun modo svolgere in un giorno festivo  le pratiche che ci avrebbero consentito il congedo immediato e così, dopo anni di guerra, di prigionia, di stenti e avversità, potemmo partire solo dopo alcuni giorni e fummo costretti a trascorrere il nostro Natale  stipati dentro i vagoni di un vecchio treno senza finestrini, ammucchiati su sedili sfondati   pullulanti di cimici e di pulci  e con i cuori gonfi di delusione .

2-1-1998

Ho trascorso le feste di Capodanno a casa di mio fratello in un’atmosfera di gioiosa esuberanza creata soprattutto dalla presenza dei suoi numerosi giovanissimi  nipoti  e in loro compagnia sono stato veramente bene, anche se mi sono trovato a fare delle riflessioni che mi hanno lasciato un po’ di tristezza nell’animo. 

A suo tempo accettai il fatto  della impossibilità mia  e di Maggie di avere figli senza provare un eccessivo dispiacere.

Invece, cosa strana , adesso  certe volte mi rammarico di non avere nessun nipote diretto. Ho visto come mio fratello guarda i piccolini figli dei suoi figli e si compiace quando qualcuno di loro ha in comune con lui qualche somiglianza fisica o caratteriale.

I figli e i nipoti rappresentano un modo di garantire la sopravvivenza di una parte di sé nel tempo, come una sorta di immortalità.

Rientrato  a casa con questo pensiero ho riletto qualche passo del Convivio di Platone: “la natura mortale tende, sempre, per quanto le sia concesso, di essere immortale. E le è possibile in un modo soltanto, attraverso la procreazione, per cui essa lascia sempre un essere nuovo al posto del vecchio…’’ .

A me questo privilegio è stato negato, con me scomparirà ogni cosa di me …però  se cerco di fissare i ricordi del mio passato sulla carta, come mi è stato suggerito, forse qualcuno li leggerà e qualcosa della mia vita rimarrà…

Allora mi sono messo d’impegno a scrivere riprendendo il filo interrotto delle mie memorie.

Ho ripensato alla  mia celebrazione del  Capodanno nel lontano 1943. Avevo ventitre anni e facevo parte di un esercito che, dopo aver combattuto in Africa settentrionale batteva in ritirata a sud  di Tripoli, in pieno deserto libico dove non  c’era nient’ altro che sabbia e sassi. Io  comandavo un plotone di tre carri di fanteria senza copertura. 

Il trentuno dicembre la sera era limpida e chiara e io mi ero prenotato per il turno di guardia notturno perché desideravo rimanere solo con i miei pensieri. Seduto sulla torretta di un carro armato scrutavo nel buio mente la mia mente vagava, volava lontana.

A mezzanotte in punto augurai il buon anno nuovo ai miei genitori e ai  miei fratelli lontani e a me stesso che gratificai con due sorsi di un liquore che avevo tenuto in serbo per l’occasione.

Non piansi, anche se ne avevo un gran desiderio, un guerriero come me non poteva assolutamente farsi vincere dalla commozione!

 Nel bel mezzo dei ricordi mi sono appisolato sulla poltrona e quando mi sono svegliato mi sono ritrovato il viso bagnato, forse nel sonno mi sono sfogato con il pianto che avrei voluto fare tanti anni fa.

Quando si è vecchi c’è almeno il vantaggio di potersi permettere  di fare qualche concessione ai propri sentimenti !

9-1-1998

Orsù, mettiamoci a scrivere le mie righe quotidiane!

Purtroppo le mie dita non stringono ancora bene la penna  che non scorre agile sui fogli e le parole che vengono fuori sono quasi illeggibili.

Oggi nove gennaio dell’anno nuovo è una giornata piena di sole. Ho colto nel giardino tre rose, belle e profumate e le ho poste dinnanzi alla fotografia di mia moglie che tengo sul mio comodino.

Ogni volta che la guardo mi sembra che con il suo sorriso mi ringrazi del ricordo costante che ho di lei e del mio amore rimasto intatto anche dopo la sua morte.

Era così bello quando noi due stavamo dentro la nostra veranda  a parlare, a leggere, a fare tante altre cose…

Il tempo scorreva via sereno, piacevole e invece oggi io sono qui solo, soletto e i quasi cinquanta anni che abbiamo passato l’uno accanto all’altra mi appaiono come   un sogno.

Oggi per me anche i ricordi più belli hanno l’amaro sapore delle cose perdute per sempre e che non potranno mai più ritornare.

Vorrei dire dell’altro, ma le lacrime mi offuscano gli occhi e  la mia mano non riesce a andare oltre…

15-1-1998

Pazienza! Sempre pazienza!

Ogni mia giornata comincia con una lotta.

Dalla mia pulizia personale, col rasoio che non vuole starsene aderente al viso e mi lascia intatti tanti cespuglietti di barba che mi fanno dannare, ai semplici gesti che mi sarebbero indispensabili per vestirmi.

Anche se va meglio mi devo concentrare e sforzare come se dovessi compiere delle grandi imprese e per me lo sono ! Mettere i calzini e le scarpe rappresenta un vero problema, non riesco a piegarmi bene in avanti e le calze non entrano nei piedi, i lacci delle scarpe si attorcigliano e non si annodano…

Non essere più completamente padroni e comandanti del proprio corpo è veramente un gran guaio!

Quando devo rifarmi il letto le lenzuola e le coperte invece di stendersi  si aggrovigliano e pendono da tutte le parti.

Fortunatamente a giorni alterni viene una signora a mettere ordine in casa, altrimenti verrei sommerso dal caos.

30-1-1998

Da un po’ di giorni non prendo in mano il mio diario. Sono proprio una scolaro svogliato, ma spesso non so cosa scrivere. Eppure di argomenti e di episodi da ricordare  ne avrei in abbondanza . Oggi parlerò della mia vita militare durata ben cinque intensi anni. Eravamo nel 1941, in piena guerra, quando nei primi giorni del mese di febbraio mi giunse la chiamata alle armi.

Dovevo presentarmi a Bologna, presso la  scuola carristi  per frequentare un corso di allievo ufficiale. Lasciai a malincuore la famiglia, l’ amichetta del cuore e gli amici e partii. La caserma era un bell’edificio dalle camerate luminose e ampie   che accoglievano trecento allievi . 

Appena arrivati ci  rasarono a zero i capelli, poi ci lasciarono  liberi di girare per la città per due giorni. Era veramente buffo vedere le strade del centro affollate di teste rapate sguinzagliate alla caccia di femminucce, con le quali volevamo fare amicizia o semplicemente chiacchierare. Le ragazze ci sfuggivano ridendo e non ci davano confidenza, però era divertente.

Quando ebbe inizio il corso ci impegnò moltissimo, perché era veramente duro e non ci lasciava libero nessun momento della giornata. Alla mattina c’erano le esercitazioni, la ginnastica  e le marce e nel pomeriggio ci impartivano pesantissime lezioni di teoria. I pasti non erano particolarmente raffinati, ma bastavano a saziare i nostri robusti appetiti.  Durante il corso io, che avevo diverse fisime sul mangiare,  ero talmente affamato che , oltre al riso e alla  pasta sempre scotti e mal conditi, imparai a mangiare anche le cipolle rosse  affettate che a volte ci servivano come contorno. Quando era il momento mi buttavo sul cibo con avidità  e non alzavo la testa se non prima di aver ripulito  il piatto, ma con    tutta    l’attività fisica che facevo non  ingrassai   di un etto

La disciplina era rigorosa, doveva essere scrupolosamente osservata e ogni minima infrazione veniva punita severamente.

Io che ero piuttosto disciplinato di punizioni ne ricevetti ben poche.

Per scendere dal dormitorio del secondo piano al primo piano dove c’era la mensa invece delle scale, come avremmo dovuto, noi reclute preferivamo servirci di una pertica che collegava i due piani e scendevamo uno dietro l’altro spesso urtandoci  e facendoci male a vicenda con grande divertimento fino a quando i superiori ce lo proibirono.

 Il nostro impegno più piacevole era la scuola guida.

A quel tempo quasi nessuno sapeva guidare e per noi ragazzi giovanissimi fu fantastico imparare a condurre moto, autovetture e, infine, carri armati.

Era esaltante!

All’interno dell’abitacolo dei carri armati ci sentivamo potenti come non mai e credevamo di essere capaci di sconfiggere qualsiasi genere di nemico.

Terminato il corso diventai sottotenente e a me, che avevo ventidue anni, vestito con la mia elegante divisa di ufficiale, mi pareva di essere diventato un vero uomo.

17-1-1998

Sono stato in visita dalla Professoressa che mi ha trovato migliorato, non mi ha cambiato terapia e mi ha incoraggiato a proseguire il mio diario, che ha trovato interessante. 

Mi ha tenuto nel suo studio quasi due ore e si è dimostrata, come la volta precedente, molto umana e comprensiva.

 Le ho raccontato come per un periodo di dieci anni la vita mia  e quella di mia moglie è stata confortata dalla presenza di un barboncino bianco chiamato  Riccio, che seguiva Maggie passo passo dentro e fuori casa e la guardava come se fosse la sua divinità scesa in terra. Al cagnolino che ci capiva e si faceva capire perfettamente gli mancava solo la parola. Dormiva su una poltroncina che avevamo messo accanto al nostro letto e ogni mattina ci svegliava con una leccatina sulla faccia. Era abituato a mangiare in cucina con noi, ma un giorno  che dovevamo intrattenerci a pranzo con degli ospiti che avevamo invitato a casa nostra gli mettemmo la ciotola  con il suo cibo in giardino. Allora lui  la prese con i denti e la riportò dentro perché voleva desinare insieme ai suoi padroni e ai loro amici. Quando morì per un infarto per noi fu un grande lutto che possono  capire solo le persone che amano veramente  gli animali e la Professoressa è una di queste.

Anche lei ha un cane e mi ha detto che suo figlio ha imparato a camminare appoggiandosi e reggendosi al suo dorso.

Io sono convinto che anche gli animali abbiano un’anima, che  Riccio se ne stia felice  e beato insieme a Maggie e che tutti e due mi stiano aspettando.

Quando ho chiesto alla Professoressa che cosa ne pensasse lei mi ha risposto che non sapeva darmi una risposta e che sulle asserzioni della  religione e sulla sopravvivenza dopo la morte  lei è ancora molto dubbiosa. Però poi ha aggiunto che rispetta  le credenze religiose e che invidia tutti coloro che hanno la fede, come me, perché possono trarne un gran conforto.

La prossima volta che andrò a trovarla voglio parlargliene ancora, perché mi piacerebbe poterla convincere o quanto meno avvicinarla alla religione.

Certe volte quando la guardo bene mi appare un pochino  triste, invece quando ride è  veramente bella.

19-1-1988

Faccio ritorno ai miei ricordi.

Subito dopo essere diventato sottotenente fui mandato in licenza a al mio paese dove mi potetti pavoneggiare con la mia nuova divisa.

Dopo pochissimi giorni però fui costretto a ripartire : destinazione Libia.

Ero stato assorbito  senza scampo negli inevitabili e terribili ingranaggi della guerra. Il trasferimento in zona di guerra fu fatto con l’ aereo per gli uomini e con la nave per tutti i mezzi di trasporto e di battaglia  ( jeep, moto, autocarri, carri  armati, semoventi, ecc).

Era la prima volta che viaggiavo in un mezzo aereo e fu esaltante vederlo mentre si staccava da suolo per  infilarsi fra le nuvole. Non dimenticherò mai la bellezza dell’infinita distesa del mare vista dall’alto.

Partimmo da Lecce e atterrammo a Dune per imbarcarci su una nave portaerei. Passati alcuni giorni di navigazione con un mare agitatissimo che fece vomitare la maggior parte dei soldati (io per mia fortuna rimasi in ottima salute  e ne approfittai per divorare i cibi migliori dei pasti avanzati  dei miei compagni che si sentivano male) arrivammo a El Alamein.

La famosa Linea di El Alamein era un fronte di 65 chilometri dove il deserto si restringe a formare un collo che va dal mare alla Depressione di Bab el Qattara e dove l’esercito degli alleati si era ritirato dopo l’ingresso e la penetrazione in Egitto delle forze dell’Africa Korps italo-tedesco  e la sua conquista di Marsa Matruh .

Il battesimo del fuoco lo ricevemmo dagli aerei inglesi che giorno e notte mitragliavano la strada e il deserto.

Era il mese di luglio e in quel periodo la sabbia e i sassi del deserto erano intoccabili perché bruciavano per un accumulo eccessivo di calore.

Noi cercavamo di farci forti, ma in un  posto dove non c’erano alberi, cespugli o ripari di qualsiasi genere era difficile resistere alle fatiche quotidiane che comportavano appostamenti, spostamenti continui e scontri a fuoco.

Fra i momenti più pericolosi che ho passato in qual periodo ne rammento uno in particolare. Eravamo accampati da tre giorni in una base, chiamata Base Azzurra, dove ci eravamo dati da fare scavando buche e trincee  per mettere al riparo uomini e mezzi, quando una notte si scatenò all’improvviso l’inferno.

Aerei da bombardamento nemici ci avevano avvistati e, accorgendosi che eravamo privi di protezioni antiaeree, iniziarono a sganciare sulle nostre teste bombe su bombe per ore e ore.

Alcuni soldati, privi di esperienza e terrorizzati, saltarono fuori dalle  buche credendo di mettersi in salvo.

Io con altri tre ufficiali fummo lesti a acchiapparne la maggior parte scaraventandoli di nuovo in trincea, ma per due di loro non ci fu niente da fare, mentre un terzo rimase gravemente ferito.

Uno fu crivellato in tutto il corpo da schegge e proiettili e morì agonizzando, l’altro perse metà della faccia.

Il commilitone rimasto vivo fu colpito a un braccio che, quando riuscimmo a riportarlo indietro, appariva maciullato dalla mano fino alla spalla,  come una poltiglia di carni, stoffa della divisa e metallo. 

Il dottore da campo cercò di pulirglielo, ma poi si dovette rassegnare a amputarglielo. Prima di operare gli disse quello che gli avrebbe fatto e il ragazzo, che avrà avuto al massimo diciannove anni, si mise a piangere e  a singhiozzare come un bambino, scongiurandolo di salvargli l’arto:“ Per pietà, per pietà non lo dovete fare! Io sono giovane e  non voglio diventare un infelice, nessuna donna mi vorrà monco e minorato . Io sono un falegname e senza il braccio destro come potrò lavorare? …per pietà.. abbiate pietà di me.’’

 Noi piangevamo con lui e lo stesso dottore, che fu costretto a eseguire l’amputazione per salvargli la vita, aveva le lacrime agli occhi. Due compagni lo tennero fermo, un terzo gli posò uno straccio imbevuto di etere sul viso e, non appena perse conoscenza, venne operato e fasciato.

Per lui la guerra era definitivamente e malamente  finita!

Quando  sopraggiunse il mattino dopo quella terribile nottata constatammo con grande rammarico  che quasi tutti i  nostri mezzi di trasporto erano stati danneggiati, il deposito viveri era saltato per aria e la cisterna dell’acqua bucata in più punti.

 Per fortuna presto arrivarono dei soccorsi, il ferito fu trasportato via per fare ritorno in Italia, i nostri mezzi furono riparati alla bella e meglio e ci furono consegnate nuove scorte di cibo e acqua.

22-1-1998

L’altro eri mi è scoppiata una febbre altissima che mi è arrivata fino a 40 gradi e che mi ha buttato molto giù. Oggi che la temperatura è scesa a 37 gradi mi accingo scrivere un altro po’, sempre dei miei trascorsi bellici.

La prima battaglia di El Alamein  che durò dal 1 luglio al  27 luglio 1942  fu una battaglia consistente in una serie attacchi  e contrattacchi che si svolsero sul fronte tra l’Afrika Korps italo-tedesco sotto il comando di Erwin Rommel, e l’ottava Armata britannica sotto il comando del generale Claude Auchinleck

Durante quel periodo una mia impresa riguardò il difficile recupero di due carri armati in un campo minato. 

Il mio comandante di battaglione, che era un uomo sempre allegro che ci contagiava con il suo ottimismo, scommise con un caporale suo amico che sarebbe riuscito a far effettuare  l’operazione senza danni  e vinse la scommessa, che consisteva in una bottiglia di vino e diversi soldi.

L’incarico del pericoloso recupero venne affidato a me e a una squadra di soldati da me scelti.

Ricevuto l’ordine  mi recai sul posto dove si trovavano i due mezzi che non ci potevamo permettere di perdere.

I carri, che se ne stavano immobili al centro di una radura sabbiosa, sembravano quasi sfidarmi. Io incominciai a farmi avanti in loro direzione con estrema lentezza tastando il terreno cautamente con i piedi a ogni passo.

Giunto vicino a uno dei due mostri agganciai delle corde robuste ai suoi  vari  sportelli e tirandole riuscii a farli aprire, entrai e molto cautamente ne ispezionai tutto l’interno, compreso il vano motore.

Constatato che ogni cosa era in ordine attaccai alla parte anteriore del carro una grossa fune e diedi l’ordine di tirare.

Nonostante il coraggio che volevo dimostrare ero  madido di sudore  e il cuore mi batteva all’impazzata.

Per il secondo carro operai nella stessa maniera e misi in salvo anche quello fra gli  applausi e le grida dei   miei ragazzi.

Terminata la pericolosissima  manovra io e i soldati ritornammo al campo dove ricevemmo le congratulazioni gratificanti del comandante : “E bravo il nostro Conte e bravi pure i suoi soldati!’’ e basta. Il rischio era stato enorme, la fatica e la tensione pure, la ricompensa grama. Ma quando si hanno  solo venti anni le delusioni passano  presto. Ci consolammo con una sostanziosa cenetta a  base di gallette stantie e carne in scatola.

23-1-1998

Non era un bel vivere in Africa durante quelle giornate!

Nel deserto non sembravano esistere animali ad eccezione delle mosche.

Ogni volta che ci addentravamo in una nuova zona nell’immediato non c’era nulla che ci desse particolare fastidio, mentre già il giorno seguente faceva la sua comparsa qualche mosca, passati due o tre giorni le mosche aumentavano fino a formare dei nugoli e ci seguivano  insistenti, ronzanti, assetate. Si posavano sugli angoli della bocca,  sulle fessure del naso, sugli occhi ed era impossibile liberarsene, le cacciavamo e ritornavano  a sciami. Con i  loro assalti  era anche difficile mangiare, si avventavano su qualsiasi cibo, anche sulle semplice fette di pane, dovevamo  scansarle con una mano e con l’altra  portare in fretta il mangiare alla bocca, e non era raro  trovarci a  masticare qualche schifoso  insetto ronzante.

 Per il  gran caldo di cui ho già parlato indossavamo i calzoni corti e quasi tutti avevamo qualche cerotto sparso sulle gambe, perché in quei posti se ti facevi una ferita o un  minimo graffio ci si formavano su delle grandi bolle che non guarivano mai.

Mosche a parte, c’era anche una  gran quantità e varietà di parassiti che ci tormentava.

Nonostante i nostri  tentativi di tenerci puliti il più possibile, pulci e  pidocchi si annidavano e si riproducevano in lunghe file nelle cuciture dei vestiti.

Inoltre delle cimici scurissime si ficcavano in ogni anfratto  delle divise e della nostra pelle succhiandoci il sangue a più non posso. Queste ultime erano terribili e ce  le trovavamo attaccate al corpo, agli abiti e alla biancheria, negli zaini e nelle cassette da viaggio.

Una  mattina mi misi seduto su di un grande sasso nero e, dopo qualche minuto, quando mi rialzai lo vidi diventato completamente bianco perché le infernali cimici che lo ricoprivano si erano affrettate a salirmi sul sedere  e sulle  mani, appropriandosi del mio posteriore e delle mie braccia dove fecero un lauto banchetto con il mio sangue.

Provai a levarmele da dosso con scarso risultato tanto che dovetti chiedere aiuto a due soldati che riuscirono a eliminarle solo bruciandole con la fiamma  e ustionandomi le natiche e gli avambracci. Delle leggere scottature furono comunque preferibili al prurito doloroso provocato dalle punture delle bestiacce!

I nostri pasti erano costituti quasi sempre da pastasciutta e carne, spesso in scatola, l’acqua da bere, calda e con un sapore metallico di borraccia o legnoso dei contenitori, spesso era scarsa. 

Oltre al rancio ci ingozzavamo di datteri  e banane cercando di eliminarne le estremità di queste per paura dell’ameba.

Quasi tutti soffrivamo di dissenteria e alcuni di noi ne furono colpiti in modo così grave da dover essere rimpatriati.

Dormivamo accartocciati su noi stessi e scomodissimi sotto il riparo di misere tendine, molto di frequente ficcate per maggior sicurezza all’interno di qualche buca del terreno.

24-1-1998

In un primo momento la guerra  non fu molto pericolosa specialmente per i reparti di prima linea che subivano solo saltuariamente qualche tiro di artiglieria  e qualche raffica di mitragliatrice.

Stavano peggio i soldati delle retrovie che venivano bombardati e mitragliati giornalmente dagli aerei.

Correvano grave pericolo di vita anche i soldati che percorrevano le strade del deserto a bordo di qualche vettura, facile bersaglio delle pattuglie volanti che si accanivano contro qualsiasi genere di automezzo e contro le motociclette.

Anch’io ebbi la ventura di diventare  un  bersaglio aereo.  Mi trovavo alla guida di un moto furgoncino nel bel mezzo di una grande spianata di sabbia  quando venni avvistato da due aeroplani inglesi che volavano in coppia.

Resomi conto che si stavano abbassando e che puntavano contro di me feci un brusco cambio di direzione,   mi diressi un po’ in avanti e saltai agilmente per terra riuscendo miracolosamente a sfuggire alle raffiche delle loro mitragliatrici.

Risalito a bordo, mentre stavo ancora  ringraziando il cielo per lo scampato pericolo, vidi che i due nemici volanti stavano virando per avermi di nuovo sotto la loro mira. Allora  feci la medesima manovra,  sterzata brusca, fuga e salto finale lontano dal furgone. Gli aerei virarono di nuovo. Ripetemmo questo giostrina  per altre quattro volte con un certo divertimento da ambo le parti,  finché gli aerei decisero di andarsene. Anche se pensavo di essermi spassato senza aver provato la minima paura, una volta cessato il gioco, mi ritrovai impolverato, sporco, stracciato e con le mani sanguinanti che mi tremavano più  di quanto non facciano adesso.

 In seguito fui molto fortunato perché venni mandato a dirigere l’officina del mio battaglione che si trovava a venti chilometri dal fronte e, anche se ero investito di numerose responsabilità, non corsi mai seri pericoli di vita.

Gli scontri definiti come  Prima battaglia di El Alamein, anche se avevano bloccato l’avanzata delle forze dell’Asse,  finirono nello stallo fino all’agosto 1942 quando il generale  Montgomery prese il comando dell’Ottava Armata alleata e allora  furono guai grossi per tutti noi .

26-1-1998

La schiacciante superiorità del nemico fu decisiva.

Alla vigilia della seconda battaglia di El Alamein l’Afrika Corps dei tedeschi  e degli italiani disponeva di 80.000 uomini di cui 27.000 italiani, di 200 carri armati e 345 aerei, di cui 129 tedeschi e 210 italiani, mentre il generale Montgomery disponeva  di 230.000 uomini, di oltre 100 carri armati  e 1000 aerei,  caccia e bombardieri modernissimi.  I numeri delle dotazioni nostre  e dei nemici le posso riportare con esattezza perché me le ero appuntate su un quadernetto che ho scritto poco prima  che terminasse la guerra e che ancora conservo.

Fu un periodo durissimo e di estrema pericolosità per ogni combattente. Si sentivano sparare  in continuazione i cannoni e  gli aerei che volavano sopra le nostre teste  non ci davano un momento di tregua, gli attacchi e contrattacchi seminavano distruzione e morte.

Infine anche il mio battaglione dovette  entrare in azione. In pochissimo tempo diciotto carri armati nostri  vennero incendiati dai colpi micidiali di quelli dei  nemici e morirono sei ufficiali e diversi soldati. Io venni inviato per un giorno sulla linea del fuoco dove c’era l’inferno.

 Il 2 novembre il generale Montgomery fece scattare l’operazione Supercharge, ossia Colpo di Ariete e il 4 novembre in piena avanzata riuscì a aggirare lo sbarramento anticarro italo- tedesco.

 Noi  soldati italiani  combattevamo senza tregua con coraggio  e capacità, ma le armi a nostra disposizione erano inferiori per numero e qualità rispetto a quelle dei nemici che erano di gran lunga superiori a noi anche di numero, e presto fummo battuti dagli inglesi.

Però, nonostante la sconfitta inflittaci, le truppe di Montgomery non riuscirono ad accerchiarci completamente e così ebbe inizio il tremendo periodo della ritirata da El Alamein.

Eravamo desolati, quante fatiche avevamo compiuto inutilmente e  quanti uomini bruciati all’interno dei carri, o dilaniati dalle bombe e dai proiettili erano state sacrificati per niente!

 Quando giunse l’ordine ufficiale della ritirata prendemmo su le cose essenziali e pochi viveri, abbandonando  a malincuore tutto il resto e ci allontanammo imboccando la via della fuga. I supersiti furono circa 70.000 .

27-1-1998

 Oggi non mi sono sentito bene e sono stato dal medico che mi ha prescritto un elettrocardiogramma e delle analisi. 

Ho telefonato anche alla Professoressa che mi pregato di informarla sui risultati di questi esami  e mi ha dato un appuntamento per il giorno tre del prossimo mese. Voglio continuare la mia cronaca per dimostrarle che seguo i suoi consigli.

Quanta terribile e miserabile confusione regnava per le piste del deserto affollate da mezzi di ogni genere e  da uomini laceri, sporchi, appiedati, impauriti e  disperati perché temevano di essere presi prigionieri!

Gli aerei inglesi che volavano, spesso  serrati formando come una cappa minacciosa su di noi, e le avanguardie dell’esercito inglese continuarono  a seminare vittime su vittime seguendoci  lungo tutto un lunghissimo  percorso, che ci pareva interminabile, di 34.000 km fino alla Tunisia. In questo modo ebbe fine la battaglia più decisiva della II guerra mondiale che, oltre a segnare il punto di svolta nella Campagna del Nord Africa, mise fine alla minaccia italo – tedesca sul canale di Suez e  assicurò agli inglesi il dominio assoluto sul mare Mediterraneo.

Durante la ritirata mi venne affidato il compito di dirigere l’officina viaggiante che si occupava della riparazione dei vari mezzi della Divisione corazzata e, man mano che procedevamo, il mio reparto si ingrandiva prendendo in  carico  i camion, le moto, i carri armati e i semoventi dei battaglioni che si scioglievano.

 Io viaggiavo un po’ a bordo di un autocarro e un po’ a bordo di un carro armato  e con questo mezzo i tragitti non erano particolarmente piacevoli. Fracasso, scossoni, e polvere a non finire che si infilava dappertutto e mi ricopriva il viso trasformandomi in una specie di mummia e spesso non avevo acqua per sciacquarmi il viso.

Dovevo impegnarmi per non farmi requisire i mezzi di cui ero responsabile dai tedeschi prepotenti che volevano sempre  la precedenza assoluta  su ogni cosa e dovevo fare in modo di tenere uniti e attivi i miei uomini cercando anche di procacciare e garantire loro cibo e acqua  quotidiani. Io sentivo molto la responsabilità dei ragazzi che si affidavano a me con estrema fiducia.

Ogni tanto qualche nostro soldato cadeva sotto colpi dei nemici, ma a quelle morti ci eravamo quasi abituati.

Non riuscimmo, invece, a darci pace per un incidente che ci fece perdere un uomo che stando seduto sul bordo di un  autocarro venne agganciato per le gambe da un altro nostro autocarro che gli stava appaiato.

Il soldato  perse l’equilibrio, cadde e il suo corpo rimase schiacciato fra le fiancate dei due automezzi che procedevano a sbalzi sul terreno irregolare.

Sempre combattendo per difenderci dall’Egitto giungemmo finalmente in Libia e ci fermammo a Tripoli. Lì restammo fermi per tutto il periodo delle festività natalizie del  1942 nella zona del villaggio Garibaldi.

Il giorno di Natale assistemmo alla Santa Messa celebrata su un  altare approntato sul cofano anteriore di un autocarro. Malgrado le scarse scorte a nostra disposizione eravamo riusciti a allestirci un suntuoso pranzo natalizio.

Io  dando fondo a una piccola provvista di farina  l’avevo impastata con l’acqua e poi spianata e tagliata ricavandone delle tagliatelle grossolane che andarono  a ruba. Preparai anche un surrogato di caffè servendomi di una macchinetta napoletana che i miei soldati dell’officina avevano ricavato ingegnosamente dal lamierino di due scatolette di carne.

A fine pasto sentendo il dovere di brindare con qualche bevanda trangugiammo un infimo liquorino frizzante, ottenuto facendo sciogliere in acqua calda un miscuglio di zucchero, caramelle e bicarbonato, un intruglio veramente disgustoso !

La sera ci immalinconimmo perché i pensieri di noi tutti andarono inevitabilmente alle nostre famiglie che, ignare del nostro destino, pregavano e piangevano per noi. Nei primi giorni dell’anno nuovo  arrivò la comunicazione della necessità del distacco di un ufficiale   presso un battaglione carri e toccò a me. Lasciai con vivo dispiacere i miei amici e presi il comando di un plotone di tre carri M11/39 schierati nel deserto a sud-est di Tripoli per tentare di bloccare le puntate offensive degli inglesi.

Ci furono più scontri e durante l’ultimo io mi battei come un leone. Sparai a più non posso facendo diventare il mio cannone incandescente e quando il combattimento ebbe termine uscii dall’abitacolo del mio carro sporco, rintronato e spaventato.

Mi accorsi della mia paura solo quando la sera tentai di mangiare qualcosa, i miei denti serrati si urtavano fra loro e sentivo delle martellate violente nel cervello, perciò riuscii a ingoiare solo il liquido di qualche cucchiaiata di piselli lessi in scatola.

28-1-1998

Ho fatto l’elettrocardiogramma  e  delle analisi e  il cardiologo e il mio medico curante mi hanno detto che un po’ di tempo fa ho avuto un infarto leggero e che nel mio cuore c’è qualcosa, non ho capito bene cosa, che non funziona. Mi hanno prescritto delle medicine e molto riposo, ma io aspetterò a prenderle fino al tre febbraio, perché voglio il benestare della mia Neurologa .

 Intanto cercherò di finire il racconto della  mia vita passata.

Nei giorni a seguire, nonostante il grande impegno messo nei nostri tentativi di attacco, la corazzatura dei carri armati nemici si rivelò impenetrabile da parte dei piccoli cannoni italiani da 37 mm, così dovemmo presto desistere e riprendere la marcia di fuga diretti verso la Tunisia.

Il carburante di tutti i reparti era ridotto agli sgoccioli, e, quando finiva , gli autocarri e i carri armati venivano quasi sempre  abbandonati. Io ogni volta che ne vedevo uno facevo in modo di danneggiarlo irrimediabilmente, manomettendo il motore o dandogli fuoco per renderlo inutilizzabile da parte dei nemici.

 Durante l’addestramento ci avevano assicurato che con i nostri armamenti e la nostra preparazione avremmo ottenuto di sicuro  la vittoria e noi giovani pieni di ideali patriotteschi  ci avevamo creduto ciecamente.

Che delusione! Che smacco doversi ritirare per chilometri e chilometri esposti  a tutte le offese e  privi di difese!

E poi dicono che gli italiani in Africa non hanno combattuto! Forse non tutti, ma tanti altri si sono comportati al pari di eroi senza la soddisfazione di ricevere il minimo riconoscimento.

Di giorno il clima era piacevole, ma di sera calava  un gran freddo. Per ripararmi io indossavo un maglioncino di lana  con il collo rovesciato che con il sudore, la sabbia  e la polvere si era indurito. Quando ne potei fare a meno tentai di ripulirlo, ma accortomi che quel collo rigido per lo sporco era diventato il ricettacolo di numerose tribù di giganteschi pidocchi me ne sbarazzai disgustato e senza indugio. In genere si sostava al massimo per due giorni in un posto e subito si riprendeva il cammino.

Durante il nostro faticoso tragitto ci capitò di doverci scontrare anche con gli americani che non ci andarono teneri e, vinti i nostri deboli tentativi di resistenza, ci costrinsero a riprendere la nostra marcia di sconfitti.

Devo smettere perché sono stanco e la penna mi cade di mano. Domani resterò a letto tutto il giorno e riprenderò  a scrivere.

 29-1-1998

Una piacevole sosta la facemmo in un’oasi lungo la costa, un posto  fantastico! Un’infinità di palme di tutte le altezze, unite in gruppetti o isolate e tanti rivoli di acqua fresca che scorrevano sul terreno.

Ci piazzammo in quella località  facendola da padroni e mostrando poco riguardo nei confronti dei suoi occupanti e degli abitanti dei villaggi vicini.

Il sorgere del sole nel palmeto era spettacoloso, ma ancora più bello e suggestivo il tramonto, che copriva il cielo di infinite e delicate sfumature di rosa e arancione,  mentre ci raggiungeva la voce del muezzin che invitava gli arabi alla preghiera.

 A proposito degli arabi devo confessare che il comportamento di noi soldati italiani nei loro confronti fu quasi sempre sprezzante e prepotente, li trattavamo da esseri inferiori e, ripensandoci adesso, me ne vergogno moltissimo.

Chissà chi ci credevamo di essere!

Anche se avevano la proibizione assoluta di frequentarci alcuni uomini di quel popolo affamato entravano egualmente nel nostro accampamento con lo scopo di guadagnare qualcosa vendendoci sigarette, datteri e dolcetti.

Quando ci imbattevamo in quei sudici mercanti gli requisivamo la merce e, nonostante i loro piagnistei  e  le loro proteste, li allontanavamo in malo modo.

 Una volta sola non cacciammo un vecchio che era venuto a trovarci con due donne giovanissime. Non vedevamo femmine da mesi e eravamo parecchio affamati da quel punto di vista.

Facemmo entrare le ragazze in due tende e ci avvicendammo per dar sfogo ai nostri istinti di maschi a lungo repressi.

La giovane che capitò a me aveva una faccia bruttarella da negra , ma un bel corpo dalla pelle liscia e dai seni grandi, ma puzzava di sego. 

Come i  miei compagni non disponevo di nessun mezzo di protezione e come tutti gli altri mi presi lo scolo.

Dopo pochi giorni incominciammo, chi più chi meno,  a soffrire di   perdite gialle nelle mutande, bruciori durante la pipì  e gonfiore doloroso dei testicoli.

Per fortuna il medico che stava con noi, che si era ben guardato dell’usufruire delle mercenarie, aveva ancora delle scorte di sulfamidici e quando si accorse dei nostri gocciolamenti  incominciò a somministrarceli a grandi dosi finché non guarimmo.

4-2-1998

Nei giorni scorsi sono stato ancora male con il cuore, credo, ma, come avevo già detto,  ho aspettato di vedere la mia Professoressa prima di iniziare la nuova cura.

Lei, dopo avermi visitato accuratamente e aver presa visione degli ultimi  accertamenti, mi ha detto che, in considerazione delle mie attuali condizioni, io sono principalmente un malato sofferente di cuore e che in questo momento i problemi neurologici passano in secondo piano, anche perché da quel punto di vista mi ha trovato abbastanza bene.

 Si è dimostrata preoccupata per me e, dopo avermi spiegato in maniera molto chiara ogni cosa ha telefonato al mio medico dicendogli che dovevo essere ricoverato al più presto  in un reparto di Cardiologia, in modo tale da ricevere le cure necessarie e un’ adeguata assistenza. L’idea di trascorrere dei giorni in ospedale mi ha fatto rabbuiare. La Professoressa , resasi conto del mio repentino cambiamento umore, mi ha rassicurato. Cercherà lei stessa un buon reparto in un ospedale di sua conoscenza e mi verrà a trovare per accertarsi del mio stato di salute. E non appena migliorerò si interesserà per far affrettare la mia dimissione. 

Sono rimasto toccato delle sue premure e quando sono andato via dal suo studio le ho chiesto il permesso di darle un bacio sulla guancia. Lei ha sorriso e ha ricambiato il mio bacio facendomi arrossire come un ragazzino.

Stasera mi hanno telefonato e ho saputo che verrò ricoverato  nell’Ospedale San Camillo tra tre giorni e mi sono messo a preparare la valigia con gli indumenti e le cose che mi potranno servire durante la degenza.

Prima di andare via da casa, però, devo ricordarmi di portare con me il diario che contiene una parte delle memorie della mia vita perché voglio finirlo per regalarlo alla Professoressa quando riceverò la sua visita.

8-2-1998

Stamani sono entrato in ospedale e adesso mi trovo già in un letto del reparto di Cardiologia. Nella mia stanza c’è un altro letto, ma non è occupato.

Mi hanno fatta la prima vista, un altro elettrocardiogramma, un ecocardiogramma, i prelievi per le analisi e  ho conosciuto il primario che mi ha detto di essere un grande amico della Professoressa .

Approfitterò di questo ricovero per stare riposato il più possibile , come mi hanno raccomandato i medici, e per proseguire i  miei scritti.

Dopo la breve sosta nell’oasi che ci era costata una bella infezione ripartimmo per un altro ripiegamento raggiungendo Capo Bon.

Qui ci trovammo con gli inglesi a est e gli americani a  ovest stretti in una morsa pronta a chiudersi intorno a noi.  Riuscimmo comunque a arrivare  in una zona limitrofa a Tripoli, dove ci trovammo piuttosto bene, i campi erano coltivati, le strade erano asfaltate  e i paesi vicini , tra i quali Hammamet erano ben messi, abbastanza  puliti e abitati da popolazioni non troppo ostili.

Soggiornavamo ancora lì quando l’11 maggio arrivò da Roma l’ordine di arrenderci.

Finito il periodo della fuga iniziava per noi il periodo della prigionia.

Non riuscivamo a rassegnarci, ci sembrava di aver buttato alle ortiche  tutte le nostre speranze e le nostre aspettative.

Distrutto il materiale  bellico superstite e fatti precipitare in un dirupo gli ultimi carri che ci restavano ci avviammo verso un accampamento di inglesi, i quali  ci rinchiusero in una specie di  campo di concentramento.

Dopo una sosta di   qualche giorno all’aperto in un recinto circondato da filo spinato, fummo caricati  e chiusi senza acqua né cibo per tre giorni sul carro bestiame di un treno che ci portò in località Noce Noire, situata all’interno della Tunisia.

Nel nuovo campo di prigionia inglese si stava male: dormivamo stretti e accatastati in dodici in una sola  tenda e ogni giorno ci venivano  dati da   mangiare una sola fetta di pane e cibi crudi perché era vietato accendere il fuoco.

Abituati com’eravamo  a stare sempre in attività ci annoiavamo.

Per passare il tempo molti giocavano a carte e io mi misi a fare il lattoniere ricavando da contenitori di latta vuoti, casseruole varie, piatti, e posate che distribuii ai miei commilitoni. 

Per fortuna dopo pochi giorni fummo consegnati agli americani che, dopo averci stipati su dei carri, ci portarono in un  loro campo di prigionia, ubicato in una zona desertica a pochi chilometri dal Marocco spagnolo.

 Il campo grandissimo era formato da tanti blocchi, uno per gli ufficiali e gli altri per i soldati, in ogni blocco  una parte era destinata agli alloggi, l’altra alle cucine e ai servizi.

Tre linee di filo spinato delimitavano la vasta area del campo e a ogni angolo erano collocate le torrette per le sentinelle armate di mitragliatrici. Per dormire fummo alloggiati in numero di dieci all’interno di grandi tende. I servizi erano schifosi, assenza totale di gabinetti  e per i nostri bisogni avevamo a disposizione solo dei grandi bidoni maleodoranti  che venivano vuotati ogni tanto, ma non troppo spesso.

Il  terreno del campo era coperto da una polvere rossa impalpabile come borotalco che si sollevava mentre camminavamo e che ci si appiccicava addosso e si toglieva con difficoltà, dopo pochi giorni eravamo diventati  tutti simili a dei pellerossa. In compenso il cibo era buono   e saporito, dopo ogni pasto ci passavano un frutto e una mezza tavoletta di cioccolato amaro.

Anche in questo posto il nostro soggiorno fu breve.

Dopo una settimana fummo fatti salire su un altro treno per giungere finalmente in un  porto di Tunisi, di cui non ricordo il nome, eppure ce l’ho qui sulla punta della lingua, da dove ci avrebbero fatti partire in direzione della lontanissima  America.

Io e alcuni miei amici fummo imbarcati su una nave piccola e alloggiati nella zona di prua. Ce ne stavamo stipati in una specie di magazzino pieno di letti a castello che prendeva aria e un po’ di luce da un unico boccaporto. Ci facevano uscire sul ponte una mezz’ora al giorno e non saremmo stati tanto male se non ci avesse raggiunto una tremenda notizia.

 Un tardo pomeriggio fu fatto circolare fra noi italiani un foglietto scritto in inglese che dava la notizia della caduta di Mussolini.

Increduli noi tutti pensammo a una falsa propaganda e ci mettemmo a cantare a squarciagola “Giovinezza, giovinezza…’’Non l’avessimo mai fatto!

Gli americani, temendo una ribellione, ci rinchiusero nella stiva e non ci fecero più uscire per il restante viaggio. Che tristezza durante quel viaggio: prima la sconfitta e poi la reclusione !

 In seguito ci fu confermata la veridicità del comunicato: Mussolini, nelle cui parole di esaltante incoraggiamento e di promesse di conquiste avevamo ciecamente creduto,  era stato deposto e arrestato.

Sbarcammo in America il giorno seguente  il mio ventiquattresimo  compleanno: il 2 agosto del  1943. Ciascun prigioniero fu interrogato a lungo, rasato, fatto lavare  a fondo  e  disinfestato dai parassiti.

Indossammo delle divise americane pulite  e rattoppate e con  la scritta ITALY sulla manica destra e sulla bustina. Alcune divise dovevano essere appartenute a soldati americani morti o feriti perché presentavano delle macchie scure, sicuramente di sangue difficile da pulire, vicino a degli strappi della stoffa che erano stati ricuciti a macchina.

A me ne era capitata una con un bella lacerazione  all’altezza del petto, ogni volta che mi toccavo il rattoppo pensavo al giovane soldato che l’aveva portata prima di me che, data l’ubicazione del colpo che l’aveva raggiunto, doveva sicuramente essere caduto in battaglia.

A bordo di un bel camion fui mandato prima nello stato del Missouri e poi  raggiunsi la mia sede definitiva , Campo Patrik in Virginia, situato all’interno di un enorme bosco, dove potei usufruire di un’ottima sistemazione.

Dimoravamo in  capannoni di legno, suddivisi in appartamentini con ingresso, due camere da letto e una bella stufa a carbon fossile che ci garantiva un buon riscaldamento. In un apposita baracca c’erano dei servizi igienici degni del loro nome, con gabinetti, docce  e acqua calda e fredda a volontà. Poco lontano c’erano le mense, una per ciascun compagnia e con nostra grande gioia ci accorgemmo che quasi tutti i cuochi erano italiani anch’essi prigionieri, che riuscivano a cucinare in  maniera appetitosa anche  i cibi americani. Quando mangiavamo ci sembrava un po’ di ritrovare i sapori della nostra terra.

Nel campo c’erano anche due salette  cinematografiche, numerosi negozi dove si poteva acquistare un po’ di tutto a buon mercato e un ospedale ben attrezzato, dove furono ricoverati tre ammalati di tubercolosi, due di malaria e la maggioranza di noi si faceva togliere e curare  numerosi denti cariati.

Ai  duecentoventi soldati italiani presenti  furono affidarono diversi compiti, scelti in base alle loro capacità, c’erano autisti, meccanici, cuochi, inservienti, ecc e noi ufficiali avevamo l’incarico di dirigerli e sorvegliare il loro operato.

Saremmo stati molto bene se avessimo ricevuto delle lettere dai nostri cari con i quali non eravamo più in contato da diversi mesi. Eravamo in ansia perché le notizie che ci giungevano dall’Italia erano sempre più brutte, notizie di occupazioni, distruzioni, bombardamenti, morti, miseria, fame…

I prigionieri potevano ricevere in un bel salottino le visite di parenti o amici americani.

Io non avevo nessun conoscente negli Stati Uniti, però un giorno fui invitato da un capitano con cui avevo fatta amicizia  a accogliere insieme a lui dei suoi lontani parenti italo-americani.

Mi aspettavo di vedere la solita gente anziana e chiassosa, ma grande fu la mia sorpresa quando mi vidi davanti due belle signorine. I miei occhi si posarono in particolare su quella che aveva una splendida chioma di boccoli rossi e un viso tondo, carino ravvivato da allegri occhi verdi e illuminato da uno splendente sorriso.

Quella signorina era la mia Maggie.

Si muoveva con grazia e indossava un vestito scuro che metteva in risalto un corpo femminile tutto curve, notevoli gambe lunghe  e un bel seno abbondante. Parlava in un piacevole e divertente misto di italo – inglese e quando sbagliava e la correggevamo scoppiava   a ridere allegramente.

In seguito venne a trovare solo me altre tre volte , perché le avevo fatto tenerezza con la mia aria di puppy (cucciolo) smarrito e finimmo con l’innamorarci.

Ci  scambiammo cartoline, lettere e telefonate, ma il nostro amore appariva impossibile, perché c’erano un’infinità di ostacoli da superare:   la prigionia, la guerra, il mare, la sua età (aveva quasi dieci anni più di me), le condizioni incerte in cui mi sarei ritrovato in Italia una volta libero….

Ma  la forza del nostro amore riuscì  a vincere ogni cosa avversa e dopo due anni il tre agosto 1945 ci sposammo in Italia, nella Basilica di Pompei.

Poche coppie sono state felici e affiatate come la nostra, abbiamo passato cinquant’anni anni di amore, fedeltà  e serenità insieme fino a quando lei se n’ è andata con una rosellina tra le dita, portandosi  “via per sempre il mio cuore ed il mio amore’’……sono stato contento di essermi ammalato dopo la morte della mia Maggie , la buona salute di cui ho goduto fino  a tre anni fa mi ha permesso di assisterla con assoluta dedizione….

Ho ancora qualcosa da scrivere e devo affrettarmi a chiudere il diario, per poterlo consegnare come un mio regalo  alla Professoressa per dimostrarle che ho fatto tutto come voleva lei, ho saputo che telefona ogni mattina  per informarsi di me …..verrà presto a trovarmi…molto probabilmente domani…la sto aspettando con il batticuore del mio cuore malato e quando ci penso  mi sembra che mi manca il respiro, forse sono un po’ innamorato di Lei, a quanto pare l’amore non ha età, ma non mi sento colpevole, non sto facendo un torto a Maggie,  Maggie  capirà…il cuore….

—————- Il signor Francesco Conte è deceduto all’improvviso per insufficienza cardiorespiratoria nell’ospedale in cui era  stato ricoverato tenendo tra  le mani il suo diario incompiuto…. che mi è stato consegnato dalla Caposala del reparto

Sinossi  del romanzo l’ APE REGINA di Mariateresa Fiumanò e Maria Angelica Maoddi.

La protagonista Graziella è una bella donna ed estremamente egoista. Abile e ambiziosa scenografa, molto presa da sé stessa sia sul lavoro che in famiglia manifesta comportamenti tipici della “sindrome dell’ape regina” alla quale tutti devono obbedire e riverire.

Improvvisamente viene colpita da un ictus che le paralizza una metà del corpo e le rende impossibile parlare.

Con la malattia le sue caratteristiche caratteriali invece di regredire si accentuano e la sua cattiveria arriva al punto di farle commettere un delitto.

Anche se crede di tenere tutto sotto controllo in realtà suo marito e i suoi due figli, che sono stati sempre angariati e sottomessi, incominciano a rendersi conto della sua vera natura e se ne tengono lontani il più possibile.

Dopo due anni  di semi-solitudine Graziella muore e al momento della morte le occorre un evento extrasensoriale.

Nell’epilogo del romanzo il marito Jacopo e i suoi  due figli Carlo e Fabio alla sua dipartita provano un totale senso di liberazione e si rifanno una vita.

La donna, che è stata sempre scettica sulla possibilità  di una vita oltre la vita, nel luogo dell’Attesa, come lo definisce lei, non sa cosa l’aspetterà e vaglia una seria di ipotesi che rispecchiano tutti i suoi dubbi sul Destino, in quanto anche se si è sempre ritenuta artefice in prima persona delle sue azioni rammenta una frase di Bauman: ‘nel dare forma alla nostra vita siamo la stecca da biliardo, il giocatore o la palla? Siamo noi a giocare o è con noi che si gioca?’

Angelo Nobile

Questo articolo è stato scritto e pubblicato da Maria Teresa Fiumanò.

Dal diario di Angelo

Mi chiamo Angelo Nobile e ho tredici anni. Ho frequentato la terza media e sono stato promosso con la media del nove. La vado per far contenta mamma. Prima di partire, l’ho sentita strillare con papà: “Angelo è un bravo bambino e tu lo farai diventare un debosciato. Lui ha avuto uno shock e deve farsi curare.’’ Adesso sono a casa della nonna al lago e tutti i giorni vado da Annalisa che è amica di mia madre da quando erano bambine. All’inizio mi vergognavo. Non ho mai parlato dei fatti miei con un adulto e Annalisa non solo è adulta ma è anche una psicologa donna!

Dagli appunti di Annalisa 

Caso A. N.

Ragazzo

Nessun precedente disturbo di natura psichica. Aspetto gradevole, curatissimo nella persona e nell’abbigliamento. Figlio unico, viziato. Intelligenza superiore alla media, con spiccato senso dell’Io.

Padre

Uomo di successo, dirigente in una centrale nucleare, ambizioso per sé e per il figlio. L’ ha seguito molto, stimolandolo ad eccellere in numerose attività sportive e a fare il galante con le signore.

A casa marito e padre esemplare, fuori casa dongiovanni impenitente.

Madre

Casalinga carina e modesta che finge di ignorare i tradimenti del marito nella rassegnata filosofia femminile del “tanto lui è maschio e si sa che gli uomini hanno bisogno di certe cose”. Eccesso di sollecitudine affettiva nei confronti del figlio.

Io non volevo prendere il ragazzo in terapia per la storia che c’era stata tra me e il padre. Non amo confondere la vita professionale con quella sentimentale o sessuale, ma avrei potuto mai spiegare il mio rifiuto alla madre?

Dal diario di Angelo

Adesso riesco a parlare con Annalisa. Mi stendo sul divano e mi sfogo, parlo, parlo e, visto che devo dire la verità, le ho raccontato anche di Elio, l’angelo custode che mi sta sempre vicino. Lei ha detto: “La storia dell’angelo la so, me l’ha raccontata tua madre quando eri piccino.” Mi ha spiegato che i bambini spesso, soprattutto quando sono soli come i figli unici, si creano un amico invisibile, ma poi con la crescita questa illusione passa. “Come mai questa fantasia a te non è passata? – mi ha chiesto – Hai ancora bisogno di sostegno e compagnia?” Io allora le ho riposto piccato che non sono un visionario, l’angelo c’è e non è un’invenzione anche se ho capito presto che non devo dirlo a nessuno.

Dal diario di Angelo
Una mia giornata   

Dal diario di Angelo

Pensieri sulla suora

Vorrei essere grande e avere tanti soldi, andrei a rapirla, la sposerei e le farei fare una vita di lusso. Lo so che sono solo dei sogni e adesso mi sembrano stupidi e meno belli di quelli che facevo a scuola. Mi vergogno pure a scriverli, che ne penserà Annalisa?

Lettera della mamma di Angelo

Bambino mio adorato,

ti telefonerei in continuazione, ma tuo papà non vuole. Senza di te la casa è vuota. Ti invidio che te ne stai al lago. Ricordo con nostalgia le passeggiate sul lungolago insieme ad Annalisa che mi teneva per mano ed era tanto carina. Ti ho affidato alle sue cure perché è una grande amica sincera e un’ottima psicologa. Passerottino, guarisci e torna presto da me, ricordami nelle tue preghiere.

Telefonata del padre di Angelo al figlio

 “Come va? Mi raccomando, non fare troppe stragi di donne, lasciane qualcuna anche per me. Forza e coraggio! Dopo ci faremo una vacanza in barca io e te soli. Mamma la lasciamo a casa, sennò sai che lagna con il suo mal di mare! Un salutone ad Annalisa.’’

Dal diario di Angelo
Mamma e papà  
Ho ricevuto una lettera da mamma e una telefonata da papà. Mamma mi tratta ancora come un bambinetto deficiente. Annalisa mi ha spiegato che rifiuta il fatto che sto crescendo. Papà al contrario mi ha sempre trattato da grande. Adesso poi dopo quella storia non fa altro che parlare di cose da maschi che m’ infastidiscono. Nessuno dei due capisce che sono solo un ragazzo, una via di mezzo tra quello che vogliono loro.
Io
Io sono figlio unico. I miei coetanei, in genere, sono stupidi, non leggono e si interessano solo di scemenze come campionati di calcio, cellulari, videogiochi e messaggini.  Io, comunque, non ho bisogno di loro, io ho il mio angelo custode che mi sta sempre accanto, mi confido con lui e lui mi consigli e mi aiuta se corro qualche pericolo.  Due volte mi ha salvato la vita. La prima quando sono caduto dalla bicicletta e stavo per essere investito da una macchina che lui ha fatto fermare a pochi metri da me mettendosi mezzo davanti all’auto per cui il guidatore ha frenato, poi è uscito di corsa farfugliando che aveva visto davanti a sé una nuvola nera “Un miracolo- gridava – è stato un miracolo altrimenti avrei ucciso questo povero bambino!” Elio mi ha strizzato l’occhio e ha commentato: “E’ un uomo blasfemo, ma questo fatto forse lo riporterà alla religione; perciò, con la nuvola ho salvato te e la sua anima.” La seconda volta un anno fa in montagna sono precipitato da un ponticello con la ringhiera di legno fradicia a cui mi ero appoggiato e ho fatto un volo di diversi metri. Se Elio non avesse provveduto a spostare un gran mucchio di sterpi e di foglie sotto di me sarei morto sfracellato sul terreno sottostante. Mia madre che ha assistito alla caduta mi dava già per spacciato, poi ha visto che mi rialzavo e ha gridato anche lei al miracolo, ma mio padre è rimasto scettico.
Casa
Ho una casa grande col giardino e una stanza tutta mia. A casa non è proprio il top del top, i vecchi litigano spesso perché mamma è gelosa di papà ed io preferisco starmene per i fatti miei.

Scuola

A scuola vado benissimo e mi piace studiare. Le mie professoresse erano invidiate perché avevano me come allievo che ero il più bravo di tutti e a me le altre insegnanti, quando potevano, mi davano addosso ingiustamente, accusandomi anche di essere poco religioso perché mi distraevo in Chiesa e non facevo sempre la Comunione. Sono stato male per questo e non volevo più andare a scuola. Quando poi mi sono innamorato e ho cominciato a fregarmene di quelle suoracce bigotte.

Riflessioni
Prima credevo di avere un buon rapporto con i miei genitori. Ora ho capito che mi danno tutto quello che chiedo perché così per loro è più facile. Non mi hanno mai chiesto se ero felice o infelice o se avevo dei problemi come sta facendo Annalisa. Lei mi ha detto che non c’è dialogo fra noi. Apposta mi sono attaccato all’idea della presenza costante di Elio, apposta mi è successa la mia storia. Quando i miei genitori l’hanno saputa mamma ha dato fuori da matta, papà, invece, sembrava contento, ma a me non hanno mai chiesto niente

Dagli appunti di Annalisa

Caso A.N.

Il paziente sta prendendo coscienza dello scarso supporto psicologico fornitogli da entrambe i genitori. È indispensabile renderlo consapevole e nello stesso tempo aiutarlo a diventare indipendente, ma non ribelle.

Come detesto quell’uomo che sta cercando di rendere simile a sé il figlio. Devo impedirglielo! Mi ero autoconvinta che il nostro rapporto fosse solo di natura sessuale. Invece è stato molto di più, almeno per me. Mi sono addirittura illusa che lui lasciasse la famiglia per amor mio. Mi ha ingannata. L’avevo rimosso! Se però avessi lottato, forse sarei riuscita a strapparlo alla moglie. La verità è che sono troppo debole. La faccenda si sta complicando. La terapia di Angelo sta avendo dei riflessi inaspettati su di me. Devo stare attenta! Io devo essere e mantenermi una terapeuta imparziale e non una donna che ha subito frustrazioni e nutre odi e rancori.

Telefonata del padre di Angelo ad Annalisa

“Bella! Ti chiamo con la scusa del fanciullo! Non ti chiedo di lui che è uno in gamba! L’ho mandato da te per non farmi rompere più di tanto da Livia. Senti, perché non ne approfittiamo e ci vediamo noi due da soli? Potremmo farci una rivisitata dei vecchi tempi, potremmo andare… Ehi! Perché accidenti ha riattaccato? Stronza! Valle a capire le donne…’’

Dal diario di Angelo

La suora l’ho conosciuta dopo il primo trimestre della terza media. Io ero il capoclasse e la professoressa di lettere mi mandava spesso in giro per qualche commissione. Per uscire nel corridoio dovevo passare attraverso l’asilo dove c’era una suora giovanissima che non avevo mai visto. La suora che si chiama suor Maria Antonietta mi sorrideva e mi faceva cenno di entrare. Io la guardavo fisso perché era meravigliosa. M’innamorai di lei, mi addormentavo pensando a lei, la mattina mi svegliavo presto per vestirmi e pettinarmi bene. Cercavo tutte le scuse per entrare nella sua aula, lei se ne accorse e incominciò a chiacchierare con me e a chiedermi di darle un bacino sulla guancia. Mi riempiva di complimenti e mi diceva che sono bello. Una volta mentre stavo per baciarla mi morse il labbro di sotto e mi mise la lingua in bocca. Io sapevo che si bacia in quella maniera e l’avevo già fatto con qualche ragazza, ma con lei è stata un’altra cosa. Ero stracotto. Elio mi ha raccomandato di stare in guardia, ma il mio amore era troppo forte per rinunciarci.

Mia storia

Dagli appunti di Annalisa

Caso A.N.

Miglioramento espositivo con una più agevole estrinsecazione del pensiero. Si rileva una diminuzione delle fantasie infantili di compensazione.

Il caso non è difficile. Non vedo l’ora di portarlo a termine. Il ragazzo non è scioccato, ma piuttosto compiaciuto dalla faccenda. Quando parla si infervora e mi sembra di rivedere il padre che sento di detestare con tutta me stessa. Con quell’uomo ho vissuto l’esperienza più eccitante della mia vita, ma mi sono imposta di non pensarci.

Dal diario di Angelo

Le ragazze che dormivano nel collegio mi avevano raccontato che la suora aveva i capelli lunghi fino alle spalle e che la sera cantava e ballava con loro sui letti del dormitorio e io me la immaginavo nuda coperta dai soli capelli come lady Godiva. Dopo il primo bacio quando passavo lei mi chiamava vicino per stringermi e baciarmi. Una volta in cucina mi ha afferrato per la cintura e mi ha strofinato sul davanti dei calzoni fino a quando non mi sono bagnato, non capivo che mi era successo e sono scappato al gabinetto. Pensavo di essermela fatta sotto, poi ho guardato negli slip e mi sono ritrovato un malloppetto bianchiccio e colloso. Avendo già letto un po’ di roba scientifica ho capito che era sperma. Sono stato molto contento perché voleva dire che ero diventato un uomo.

Dagli appunti di Annalisa

Oggi Angelo si aspettava qualche mio commento dopo la lettura del diario; invece, io gli ho chiesto di proseguire la sua storia a voce per registrarla e ne ho approfittato per osservarlo.

Racconto di Angelo

Dopo quella volta tutte le sere quando andavo a letto mi masturbavo. Il confessore mi ha fatto giurare di non farlo più, però non ho smesso perché mi piace una cifra. Non andrò all’Inferno per questo. Il Padreterno avrà sicuramente un bel da fare per punire dei peccati più gravi del mio. Adesso lo faccio di meno e quando lo faccio penso anche a qualche altra donna… Elio dice queste pratiche fanno parte della crescita e sono più che legittime

Il ragazzo mentre parlava non faceva altro che toccarsi. Fino a qui niente di strano, è normale eccitarsi ai ricordi. Purché non diventi un maniaco sessuale come il padre! Anch’io mi eccito quando ripenso a come mi disinibivo e a come mi sentivo femmina con lui. Da quanto tempo non faccio più l’amore? Dannazione! Si sta verificando ciò che temevo fin dall’inizio. Le mie faccende personali si stanno sovrapponendo al caso. Ho paura di non riuscire a mantenermi obiettiva. Per fortuna che ho quasi finito!

Ed io non ho angeli che giustifichino le mie voglie sessuali, peccato!

Dal diario di Angelo

Annalisa mi ha chiesto di finire di scrivere la mia avventura. I miei compagni di classe si erano accorti che io e la suora ci appartavamo spesso e alla fine qualcuno fece la spia. La volta che ci hanno beccato ci eravamo chiusi a chiave in infermeria, ci toccavamo, lei mi ha mostrato il seno e mi ha preso in mano il pene. Volevamo fare l’amore ma abbiamo sentito bussare forte e gridare da dietro la porta. Ci abbiamo messo parecchio ad aprire per sistemarci i vestiti. Appena usciti lei è stata afferrata per un braccio dalla Superiora che se l’è trascinata via e io sono stato accalappiato dalla professoressa di matematica. Sono stato interrogato prima dall’insegnante e poi dal dottore della scuola che avevano chiamato di corsa nemmeno fosse scoppiato il colera. Tutti volevano farmi confessare chissà cosa, ma io ho detto che ce ne stavamo lì per parlare dei fatti nostri da bravi amici. Nessuno ci ha creduto e mi hanno tormentato con domande sporche e incredibili. I miei li hanno fatti venire subito per allontanarmi dalla scuola Mamma frignava, papà se ne stava da una parte sorridendo. Io ero disperato, il mio grande amore era finito tragicamente. Sono rimasto a casa, tanto mancavano pochi giorni agli esami. Dopo ho saputo che la suora aveva confessato tutto.

P.S. Annalisa mi ha chiesto che cosa faceva Elio mentre me la spassavo. Io le ho riposto che guardava, allora lei è scoppiata a ridere: “Un angelo guardone! Te lo sei fatto a tua immagine e somiglianza. Elio non è che una tua proiezione e poi dimmi è cresciuto con te oppure è stato sempre grande? Io allora mi sono incavolato e ho provato a spiegarle che un angelo è un angelo e non ha età. È alto e biondo, ha gli occhi azzurri, porta una tunica celeste e ha sulle spalle due ali grandi e bianchissime. Di solito sta al mio fianco, ma qualche volta si solleva in volo e muove appena appena le ali senza far nessun rumore.

Dagli appunti di Annalisa

Caso A.N.

La terapia si è conclusa con esito positivo. Il paziente ha acquisito un buon senso di autonomia e di autocritica e sta raggiungendo un’equilibrata formazione della sua identità.

Il prossimo anno, dietro mio consiglio, frequenterà una scuola pubblica, dove i ragazzi di solito possono vivere la sessualità, precoce o sbagliata che sia, in maniera più spontanea senza le oppressioni e le repressioni degli istituti religiosi. Oggi mi ha detto: “In quanto all’angelo ci sto riflettendo ma lui è ancora con me. Mi è piaciuto fare con la suora quello che ho fatto e lo rifarei. Però ora è cambiato qualcosa, oppure sono cambiato io. Prima ero sicuro che l’avrei cercata anche in capo al mondo, adesso questa idea mi pare una grande fesseria. Ho capito che anche gli amori grandissimi possono finire.

Purtroppo, ne so qualcosa anch’io!

Dal diario di Angelo

Cara Annalisa, mi hai detto che la terapia è finita, che non c’è stato niente di male in quello che ho fatto. Ora dentro di me tutto è ritornato al posto suo. Sono un ragazzo e mi è capitata una bella avventura e basta. Sei stata bravissima. Però devo rivelarti che durante la terapia mi sono perdutamente innamorato di te. Sei mitica! Sono pazzo di te! Ti lascio il numero del mio cellulare. Ciao, ciao.

P.S. Elio mi ha detto che è arrivato il momento di lasciarmi, cioè io non lo potrò più vedere né parlarci, però lui continuerà a starmi accanto e a proteggermi come ha sempre fatto.

Dagli appunti di Annalisa

Oggi pomeriggio Angelo mi ha portato i suoi ultimi scritti mentre me stavo distesa con gli occhi chiusi in veranda sul dondolo. L’ho sentito che si avvicinava e ho finto di dormire. Lui si è chinato su di me e mi ha baciata. Un bacio vero ha lo stesso odore e sapore del padre. L’ho desiderato. Se n’è andato dopo avermi lasciato i suoi foglietti. Ho scritto ai genitori che il figlio è in ottimo stato di salute mentale, che devono impegnarsi a parlare con lui e a farlo parlare e che sono tenuti a lasciarlo libero di crescere e maturare rispettandolo. Io partirò domani per non vederlo più. Se tornerà qui farò in modo di assentarmi dal paese. Sono turbata. La terapia è stata un successo, ma io sono a pezzi. Ho già preso appuntamento con un nuovo tutor terapeuta e fra una settimana rientrerò in analisi. 

P.S. Mentre leggevo la lettera di Angelo ho visto tante piume candide che mi volteggiavano intorno, ne ho prese alcune in mano, sono profumate come petali di rosa, le ho conservate dentro un piccolo pendaglio di argento indiano che ora porto sempre appeso al collo…

Il Romanzo Delle Gemelle Del Rimorso

Questo articolo è stato scritto e pubblicato da Maria Angelica Maoddi.

INTRODUZIONE

La lettura di Le Gemelle del Ri-morso, lascia nell’animo un senso di smarrimento per i vissuti tragici dei personaggi femminili segnati dalla precarietà e dalla costante presenza della morte.

Il senso di disperazione e di disorientamento dei personaggi sono il segno evidente del disagio esistenziale di un mondo in disfacimento, vissuto negli ambienti della cultura contadina decadente che fatica a adattarsi alle sollecitazioni imposte dalla modernità.

L’ esplorazione interiore espressa si fa portavoce di una fortissima eredità decadente, riscontrabile, questa, nella coscienza lacerata e nello stato di ricerca dell’autrice a mezzo del personaggio di Gaetana; teso ad esplorare gli angoli più riposti dell'”Io”, destinato, però, a perdersi in un mondo estraneo ed indifferente alla sua sensibilità. Possiamo considerarlo alla stregua di un romanzo psicologico di taglio freudiano in cui l’io è ” sempre meno padrone in casa propria “.

La voce narrante di Gaetana (Alter ego dell’autrice), si scopre alla ricerca costante di un equilibrio tra la crisi esistenziale e l’esigenza di valori e ideologie cui fare riferimento; cerca, attraverso il ricordo, di riaffermare uno spazio e un tempo lontani da lei.

Il ritmo incalzante della narrazione come nella taranta, che non si abbandona alla malattia ed alla follia, diviene strumento privilegiato del conoscere. Come il sogno delirante si esprime in una sorta di abreazione atta a far rivivere il ricordo tragico e nel racconto, la protagonista aggiunge un voler indagare la psiche umana, guardando attentamente alla propria realtà interiore e alle sue intime lacerazioni.

  Si racconta con gli occhi dei personaggi e si dà voce alla memoria, alle emozioni e ai ragionamenti, in altre parole a qualcosa che non ha una dimensione temporale: questo, quindi, comporta che il tempo della storia e quello della narrazione si allontanino, a volte, a dismisura.

Si profilano nuovi scenari che rimandano la riflessione alla sincronicità degli eventi: il morso della taranta, il veleno inoculato e l’inquietudine persistente.

Il dilatarsi temporale apre molteplici suggestioni invitando a seguire il filo delle emozioni suscitate dal romanzo che sulla condizione gemellare offre diverse chiavi interpretative che sono più analogiche che causali.

Le Gemelle vivono in funzione di coppia, un mondo a sé stante, contrapposto a quello esterno. I meccanismi psicologici e le modalità percettive fusionali e simbiotiche esprimono complicità ed ambivalenza. L’impossibilità a separarsi delle gemelle per vivere un’autonoma esistenza, una singolare identità che sfocia in una lotta al dominio ed alla sopraffazione devastante. (Il richiamo alla sindrome di Rebecca, dell’episodio biblico la madre di Esaù e di Giacobbe.)

La condizione gemellare contrasta il processo di separazione e d’individuazione.

Per la psicoanalista M. Klein, la scissione è al centro della costruzione psicologica individuale. Si tratterebbe di un processo intimo proto-mentale, che condiziona tutti i vissuti successivi: quel meccanismo precoce chiamato “posizione schizo-paranoidea”, un tentativo del neonato di allontanare da sé le percezioni negative per poi far seguire la riparazione.

Le Gemelle sfidano la comprensione razionale privilegiando codici più intuitivi ed emotivi, profondi ed ancestrali che, come sappiamo, sono contenuti nei temi archetipici dell’inconscio collettivo.

La presenza delle Gemelle, due donne, descritte nella loro forza quasi sovrumana, rimandano alla dimensione originaria nel mito della creazione.

In molti miti di diverse culture il mondo è descritto come opera di due creatori: gli opposti che generano angoscia e dolore dell’esistenza e simboleggiano la tendenza al ritorno all’unità originaria. In Astrologia i Gemelli sono una delle dodici costellazioni dello Zodiaco, sotto il cui segno ogni opposto si riassorbe nella tensione creatrice.

Lo stesso atto del dividere, attributo della divinità spesso diviene attributo di conflitto e di doppiezza, lo stesso diavolo, diabolos biblico, del resto, è colui che divide e allontana.