Questo articolo è stato scritto e pubblicato da Maria Angelica Maoddi.
Recentemente, il 29 agosto, in occasione dell’anniversario della morte di Franco Basaglia medico -psichiatra, neurologo, docente e direttore dell’Ospedale per le malattie mentali di Gorizia. sono state sollevate critiche assieme a dei riconoscimenti di valore. La critica di numerosi uomini di scienza è che la società, in questa situazione è priva di contenitori, nel senso che mancano luoghi e spazi per la convivenza con il portatore di disagio psichiatrico che a volte le strutture dedicate si limitano alla diagnosi e cura di tipo ambulatoriale.
Sono passati 43 anni dalla promulgazione della legge 180, ideata da Basaglia, L’ indicazione della legge avrebbe dovuto abolire i manicomi come istituzione totale e restituire dignità ai malati che vi erano rinchiusi in condizioni disumane. Seguirono i decreti di legge applicativi che impedirono di rinchiudere una persona nelle strutture manicomiali sia pubbliche che private, senza comprovata necessità clinica, regole racchiuse nel sistema TSO (trattamento sanitario obbligatorio). La legge progressivamente avviò lo smantellamento del manicomio come istituzione unica in favore di una capillare e frammentata organizzazione dei servizi psichiatrici sul territorio nazionale regolamentati da norme molto diversificate da regione a regione. La legge ispirata da grandi ideali libertari cambiò l’approccio della psichiatria mettendo al centro il malato nella dignità e diritti come persona e non la malattia, con un’attenzione alla sua storia della sua vita, alla sua interiorità, favorendo le relazioni e la partecipazione sociale. Una cura “umana” sono principi cardine dell’approccio di Basaglia e si misero in moto anche rivolgimenti culturali che si estendevano a tutti i campi della nostra società
Il paziente psichiatrico nei servizi del territorio fu coinvolto in un percorso unico, tutelato da una presa in carico capillare e trasversale alle singole regioni. Le indicazioni dovevano superare la gestione “verticale” della cura caratteristica delle istituzioni manicomiali.
Dopo tanti rivolgimenti sociali e culturali cosa resta della legge 180? L’attuale rete dei servizi del territorio con delega delle regioni è costituita dalla frammentarietà dei servizi di salute mentale che prima della legge 180 erano rigidamente organizzati e isolati. L’ isolamento era rispondente all’ “igiene” sociale in funzione difensiva, supponendo di proteggere la popolazione sana dai rischi del contatto con chi invece è affetto da turbe mentali. Attualmente i servizi sono rappresentati da reti di strutture tra di loro collegate, attraverso i dipartimenti di salute mentale che decidono il piano di cura da impostare con il singolo utente. Nello specifico, se la persona versa in uno stato in fase acuta, viene proposto un ricovero presso un reparto ospedaliero (che a volte avviene per accesso diretto da pronto soccorso); se invece la persona cronicizzata necessita di effettuare un percorso di cura, si affida alle strutture residenziali che possono ospitare la persona per periodi più lunghi, e con la possibilità di diversificare i trattamenti che sono richiesti. Inoltre, esistono anche centri diurni o anche ambulatoriali che consentono ad alcuni di poter ricorrere a consulenze mediche o psicoterapiche mantenendo i rapporti sociali nel contesto.
Nella società civile storicamente e ciclicamente si affacciano le tendenze conservatrici e segregazioniste che coinvolgono tutta la società e non solo la psichiatria. Lo stesso Basaglia per poter elaborare le sue proposte analizzava il contesto storico -culturale e la promulgazione della legge 180 del 1978 avviò buone prassi nel campo della psichiatria, superando alcune barriere concettuali nelle teorie sulla malattia mentale. Le riviste scientifiche prestigiose, quali Lancet avevano annoverato allora fino agli anni Novanta la sanità italiana come eccellenza mondiale collocata al dodicesimo posto in termini di efficienza, costi e servizi erogati. Durante i 40 anni, il quadro politico e sociale viene sottoposto a nuovi cambiamenti che hanno investito lo Welfare (stato sociale) e lo sgretolamento del S.S.N. e di conseguenza, la rete dei servizi psichiatrici, aggravando le forme della malattia mentale dando luogo a nuove cronicità e si è perso tutto l’entusiasmo delle idealità della legge 180. Per quanto riguarda la psichiatria ancora oggi permane in parte in forma residuale l’impostazione democratica e inclusiva.
Nella situazione odierna, l’insufficienza delle risorse dettate dai tagli ai finanziamenti delle strutture e la diminuzione del personale sanitario hanno influito sulla gestione della malattia mentale, ed anche le impostazioni scientifiche sono critiche sia per su come si origini ed anche su come si possa gestire un problema di tipo psichiatrico rigettando l’approccio troppo idealistico. Questa considerazione si estende anche a tutte le diversità che spesso producono atteggiamenti di diffidenza, paura e soprattutto è assente una “reale” riabilitazione e ricollocazione comunitaria. I pazienti psichiatrici oggi vivono per lo più in famiglia e quando questa manca o non può farsi carico per situazioni gravose sono inseriti nel circuito della psichiatria residenziale territoriale dove i trattamenti non sono lineari ma alternano una collocazione in casa-famiglia e/o a struttura residenziale- Il percorso che segue è lungo e frammentato da rinnovati ricoveri in strutture ospedaliere quando si presentano crisi acute. I trattamenti non sono risolutivi e le famiglie vengono investite di un ruolo genitoriale protratto in quanto la persona con disagio non sopravvive in autonomia. La Legge 180 viene elusa innanzitutto quando le famiglie richiedono la scorciatoia della “reclusione” e del controllo, rigettando la cura territoriale, delegano mettendo la tecnica medica sopra il vivere delle persone siano essi malati, famiglie o comunità, cercando di ricreare in piccolo dei manicomi in strutture residenziali isolate molto diffuse in realtà.
dr. M. Angelica Maoddi, psicoterapeuta