Questo articolo è stato scritto e pubblicato da Simona Gaudenzi.
Serena continuò per almeno dieci minuti a guardare di tanto in tanto quell’essere indefinibile, completamente immerso in una bacinella piena d’acqua, nel lavandino della sua cucina.
Stava lì, quasi rannicchiato in posizione fetale, per un attimo le sembrò davvero un feto immerso nel liquido amniotico.
Una serie di domande, in quel momento per lei di massima importanza, le si affollarono nella mente. Cosa ne doveva fare? Come era venuto in mente a suo marito di accettarlo e di invitare a cena chi glielo aveva regalato? Non conosceva ancora le sue debolezze, dopo due anni di matrimonio?
L’essere sembrava guardarla in modo freddo e distaccato, con quel suo occhio ormai privo di palpebre. Poi le sembrò di vedere uno sguardo di accusa.
“Non è colpa mia” gli disse dispiaciuta “se fosse per me staresti ancora a brucare il trifoglio”.
Serena adorava mangiare i cosciotti e il petto cucinati alla cacciatora, ma lì, tutto intero, nella sua tragica e grottesca situazione, sembrava rinfacciarle la sua tragedia senza scampo.
Le lontane origini contadine di Serena in quel momento non avevano alcun effetto su di lei, prevaleva invece la parte cittadina e schizzinosa, ereditata da suo nonno materno. Quello che aveva davanti non era un pezzo di carne da cucinare, ma il cadavere scuoiato di un coniglio.
“Potrei cucinarlo intero, così non sarei costretta a smembrarlo, ripieno con patate, olive nere e finocchio selvatico, alla viterbese, come lo fa nonna, ma dove trovo adesso il finocchio selvatico?
Optò allora per la ricetta alla cacciatora, una sua specialità, ma il coniglio in quelle occasioni lo comprava già a pezzi e il non vederlo intero metteva a tacere la sua vigliacca coscienza animalista, come se quelle coscette o quei pezzi di petto non fossero mai appartenuti a nessuno.
Pensò di farsi aiutare da sua nonna, ma si vergognò, la richiesta avrebbe dato un duro colpo al suo voler apparire una cuoca provetta.
“Basta adesso! Smettila!”. Indossò i guanti di lattice, tirò fuori il povero coniglio dal suo liquido amniotico, lo adagiò su un grosso tagliere, si mise davanti al tavolo della cucina e la mannaia colpì. Staccò per prima la testa, da buttare, poi, ad una ad una, le varie parti del corpo. Solo allo stacco della testa emise un piccolo grido, per darsi coraggio, poi il resto venne da sé.
Quella sera a cena il coniglio fu uno dei piatti forti, con il suo intingolo di olive, salvia, capperi e quel leggero sentore di vino e aceto. Serena lo portò in tavola su di un bel vassoio di acciaio e lo servì ai suoi commensali, ma quando fu il momento di metterlo nel suo piatto disse che non aveva molta fame e passò direttamente al contorno di carciofi fritti alla romana.
quanto siamo ipocriti anche io avevo un criceto ,lo coccolavo sempre ,un giorno me lo trovai nel piatto,,,che schifo non lho mangiato,,,e pensare che sono anche una carnivora…ahaha