Questo articolo è stato scritto e pubblicato da Simona Gaudenzi.
«È stato l’errore più grande della mia vita» pensò Giuseppina mentre raccoglieva da terra i calzini dei bambini «me lo dicevano tutti, anche mia sorella Genoveffa, ‘un vedovo più grande di te di 13 anni, con tre figli ancora piccoli, non pensi a come sarà la tua vita dopo il matrimonio?’ »
Silvio era cambiato dopo il matrimonio, sovente si mostrava irascibile e sgarbato. «Se avessi avuto ancora mia madre forse avrei fatto una scelta diversa». Le capitava spesso ultimamente di avere questi pensieri su di sé e sul passato.
Il casale della sua infanzia in pochi anni era diventato vuoto. I suoi fratelli e le sue sorelle maggiori si erano sposati ed erano andati a vivere altrove. Le sorelle avevano sposato contadini e vivevano in casali non molto lontani. I maschi avevano scelto di vivere e lavorare in città.
Lei aveva 17 anni quando morì sua madre. «È morta di dolore» dicevano in famiglia. Giulio non era più tornato, la guerra era finita ma non avevano saputo più nulla di lui e la povera donna si era spenta lentamente in una vana e dolorosa attesa.
Nel giro di pochi anni erano rimasti solo lei e suo padre nel grande casale e così Giuseppina dovette decidere della sua vita. Suo padre andò a vivere con una delle figlie in un casale non molto lontano, aveva sempre fatto il contadino, non poteva immaginare il resto della sua vita lontano dalla campagna.
Giuseppina invece decise di lasciare dietro alle spalle tutto quello che era stato e volle raggiungere i suoi fratelli. Il ragazzo di cui si era innamorata era partito a fare il militare, ma non le aveva mai scritto. Per mesi aveva aspettato una sua lettera e alla fine il senso di solitudine aveva deciso per lei. Sarebbe partita.
La città era sul mare ed era bellissima, Giuseppina non aveva mai visto il mare prima di allora e ogni notte le sembrava che non si facesse mai giorno, tanta era la voglia di uscire per andare a vedere il mare e la città.
Appena poteva si recava sul lungomare per osservare da lontano il viavai delle persone sulle passerelle di legno costruite sull’acqua. Signore eleganti, vestite di leggeri abiti bianchi, con l’ombrellino per ripararsi dal sole, passeggiavano lentamente.
Era uno scenario affascinante e sconosciuto, di cui non avrebbe mai fatto parte, ma che riempiva le sue fantasie.
Era bella Giuseppina, con i capelli neri come la notte e gli occhi vivaci e presto qualcuno si accorse di lei.
Silvio era un bell’uomo, ci sapeva fare. Sapeva corteggiare. Giuseppina non era abituata a gesti galanti e sguardi appassionati, in campagna i modi erano diversi, e fu subito conquistata. Silvio la chiamava “occhi da assassina”, lei si sentiva lusingata, si sentiva persino elegante e quando Silvio volle parlare con i suoi fratelli lei ne fu felice. L’anno successivo si sposarono.
Aprì la porta e uscì sul lungo ballatoio per andare a versare il contenuto del vaso da notte nello stanzino che stava in fondo al ballatoio stesso. Era ad uso di tutti, e aveva solo un grande buco in terra per lo scarico.
Rientrò in casa e si mise a stendere qualche panno, poi cominciò a preparare il pranzo per i bambini, adesso erano quattro, la piccolina, Nadia, di un anno, era l’unica che avesse partorito lei. Giuseppina aveva ventidue anni.
Era estate e dalla finestra che dava sul ballatoio giungevano i rumori della piazza. Dalle stalle, al piano terra del palazzo, arrivavano i nitriti dei cavalli e le voci concitate degli stallieri che li preparavano per attaccarli alle carrozze. Giuseppina non faceva caso all’odore che proveniva dalle stalle, era nata in campagna e la sua camera da letto, nel casale dove aveva trascorso l’infanzia e l’adolescenza, stava proprio sopra la stalla delle mucche.
Poco dopo arrivò Teresa, la ragazzina che aiutava in casa. Giuseppina non riusciva da sola a badare alla casa e a quattro bambini e Silvio l’aveva accontentata quando lei aveva chiesto una persona che l’aiutasse. «Meno male che sei arrivata» le disse «io ho già preparato il pranzo. Puoi finire di stendere i panni mentre do da mangiare ai bambini»
Teresa ultimamente era seria e silenziosa. Quando un anno prima aveva iniziato a lavorare in casa loro era una ragazzina allegra e chiacchierona, Giuseppina si trovava bene con lei, Teresa aveva solo 15 anni, ma sapeva fare tutto in casa, e lei la considerava come una sorella più piccola. Da qualche tempo però la vedeva diversa, le aveva chiesto cosa le fosse capitato, ma Teresa le aveva solo detto: «No ti sbagli Giuseppina, che vai dicendo?»
Avrebbero dovuto portare i bambini all’antemurale quel giorno, ma Nadia aveva la febbre. Non era facile per lei badare a questi bambini che non erano suoi. Avevano quattro, sei e otto anni quando si era sposata con Silvio, non la chiamavano mamma, erano già abbastanza grandi da sapere che non era lei la loro madre, si ricordavano della loro, e poi forse la nascita di Nadia aveva peggiorato le cose, Giuseppina percepiva che erano gelosi.
Poco dopo tornò Silvio dal lavoro, in genere arrivava molto più tardi. «Mi sono sbrigato» disse «perché voglio portare i bambini all’antemurale»
«Ma non ti ricordi che Nadia ha la febbre?» gli rispose Giuseppina
«Ah, è vero non ci pensavo, ma posso portarci i più grandi, casomai viene con me Teresa per guardarli…»
«Si certo, posso andare anche io, se tu non hai bisogno di nulla Giuseppina»
«Andate voi. Io ho un po’ di cose da fare e poi preparo la cena»
«Teresa potrebbe sembrare sua figlia maggiore» pensò Giuseppina appena furono usciti. Qualcosa di indefinibile aleggiava nella sua mente, un senso di minaccia incombente, un fastidio, di cui non sapeva l’origine. Non ne era pienamente consapevole, ma era come sovrastata da un velo di ansia.
bene Simona devo dire che mi hai incuriosito, non vedo l’ora di leggere la quinta parte.
brava