L’Altra Metà Del Cuore

Questo articolo è stato scritto e pubblicato da Elena Dreoni.

Tutto era discussione. Il tragitto fino al lavoro, la mattina, era ormai diventato un viaggio da incubo in cui Marta non faceva che rinfacciare a Diego le sue colpe, mentre lui non resisteva un solo minuto senza accusarla di trascurarlo e di tradirlo. Quella mattina ci si erano messe anche le chiavi del negozio. Diego era sicuro che le avesse Marta. La sera prima, alla chiusura, gliele aveva date appena aveva tirato giù la serranda, se lo ricordava bene. Ma lei, altrettanto bene, ricordava di aver visto lui mettersele in tasca.
Non c’era verso di uscire dall’impasse. E si erano impantanati nella solita vischiosa discussione come in una palude di sabbie mobili. Fino a che lui aveva deciso di tornare su a casa a cercarle. Aveva sbattuto lo sportello dell’auto, intanto, che lei gli sbraitava contro l’ennesima inutile acida raccomandazione.
Diego aveva salito le scale di corsa con il cuore pieno di amarezza. La sua storia con Marta si avviava verso un triste epilogo. Lo sapevano entrambi. Era questione di tempo. Pochissimo.
Infilò la chiave nella toppa, la girò tre volte verso sinistra e, senza capire come e perché, gli tornò alla mente la prima volta che aveva aperto quella porta insieme a Marta. Avevano appena comprato la casa. Ridevano. Lei non la finiva più di sbaciucchiarlo sul viso. Ricacciò indietro quel ricordo che faceva solo male.
La porta di casa si aprì sotto la spinta delle sue mani. Se la richiuse alle spalle cercando con la mano destra l’interruttore per accendere la luce. Lo cercò allungando la mano, ma la parete sembrava essere sparita. Si voltò e il sangue gli si gelò nelle vene: quella non era casa sua. Era una foresta intricata, fitta di alberi, acquitrinosa, impenetrabile al suo sguardo. Alzò gli occhi e vide un gruppo di scimmie che volava sulle liane da un albero all’altro. Si girò di scatto verso la porta da cui era entrato ma… inutile dirlo, era sparita anche quella.
Le gambe gli tremavano, respirava a fatica, e non poteva essere diversamente, non c’era una ragione plausibile per vivere quello che stava vivendo. Che diavolo ci faceva lui lì, anzi che ci faceva tutta quella foresta nel suo appartamento di due camere e cucina? Cercò di restare lucido, pensò di chiamare il portiere o Carlo, il suo vicino, ma l’idea gli apparve subito ridicola. Era solo, senza cellulare, e in qualche modo doveva trovare il modo di uscire di lì.
S’incamminò verso il punto dove gli pareva che gli alberi si diradassero. Non si capiva se fosse giorno o notte. Tutto era avvolto in una nebbia rada e pesante. Il silenzio inquietante che vi regnava era rotto solo dal verso di un qualche animale che, per fortuna, se ne restava nascosto nelle profondità di quell’incubo. Diego camminava districandosi tra le liane e i ciuffi d’erba che emergevano dall’acqua. Si fermò per guardarsi attorno e fare il punto della situazione. Si passò una mano tra i capelli: qualcuno gli stava giocando un brutto scherzo. Ad un tratto gli venne da ridere pensando a Marta, giù al sicuro in macchina. Non ci crederà mai, pensò. La sua bella casa. Certo trovarsi in quel posto non le avrebbe fatto male. Magari avrebbe smesso di inveirgli contro per ogni futile cosa. Non riuscì a finire il pensiero che un urlo acutissimo gli penetrò le orecchie. Il suo sguardo cristallizzato dal terrore corse a destra, a sinistra, dietro di sé: niente. “Sono quassù, quassù”, gridò ancora la voce concitata. Diego alzò gli occhi: seduta su un ramo, tra gli alberi e le liane, vide lei… Marta. “Ma che cavolo ci fai lassù?”, le chiese con un filo di voce. “Questo dannato posto è pieno di coccodrilli. Ho fatto appena in tempo ad arrampicarmi quassù”, rispose lei piagnucolando.
“Coccodrilli!?”, ripeté lui con tutto l’orrore di cui era capace. Avrebbe voluto sparire, disintegrarsi e invece si ritrovò ad arrampicarsi con una fatica indicibile sul tronco vischioso per raggiungere Marta. Scesero dal ramo con l’aiuto delle liane. Lei aggrappata al collo di lui.
Ai piedi dell’albero, nessuno dei due osava chiedere all’altro come fosse possibile trovarsi lì, in quel posto da incubo. Un solo barlume di speranza attraversò la mente di Diego: che fossero finiti lì anche tutti gli altri coinquilini? Non lo disse. Non disse nulla. Anche lei tacque. Tutto era troppo inverosimile.
Si guardavano con un malcelato imbarazzo. “Sarà meglio andarcene prima che tornino i coccodrilli”, disse Marta. “Vieni, andiamo da quella parte”, rispose lui cercando di darsi coraggio e incamminandosi verso chissà dove. Lei gli prese la mano: era solo un modo per sentirsi più sicura.
Le scimmie volavano da una liana all’altra sopra le loro teste. Ad un tratto una si avvicinò a loro e con la consumata destrezza di un abilissimo ladro strappò la collana dal collo di Marta. La donna urlò con quanto fiato aveva in gola. “Brutta ladra”, gridò Diego rincorrendola, ma fece appena pochi passi che si sentì sprofondare. “Aiuto, che succede. Dio, le sabbie mobili”, gridò annaspando per afferrare un ramo. “Marta, Marta ti prego, fai qualcosa”, la supplicò. Ma Marta sembrava incapace di qualsiasi reazione. Piagnucolava come una bambina: “Quelle maledette chiavi. Chi se ne frega delle chiavi… per me quel negozio può anche sparire”. Le urla di Diego sembrava non la toccassero. Le gambe dell’uomo intanto erano sparite, divorate dalle sabbie mobili. Lui si vedeva perduto. Doveva riprendere il controllo della situazione. Si impose di parlare con calma: “Marta, Marta, torna in te, ti prego – le diceva -. Devi prendere un bastone per tirarmi fuori di qui. Vedrai usciremo di qui, te lo prometto. Marta, lì vicino a te. Prendi quel bastone”. La donna quasi meccanicamente afferrò il bastone. “Questo?”, chiese. “Quello, brava. Adesso allungalo verso di me”. Marta aveva smesso di piangere, ma continuava a lamentarsi: “Scusami Diego, io penso alle chiavi e tu rischi di morire”. Intanto Diego aveva afferrato un’estremità del bastone e lei tenendo l’altra ben salda con le due mani, lo stava attirando verso la terra stabile. “Ecco, quasi ci siamo. Tira ancora un po’”, le suggerì lui parlando sempre con molta calma e lei rispondeva benissimo alle sue indicazioni, continuava a tirarlo con non poca fatica, attaccato al bastone, verso di sé. Tutto stava filando liscio quando la scimmia, dispettosa, si fermò su un ramo dell’albero lì accanto a loro. Con il suo verso squillante e provocatorio sembrava volesse richiamare l’attenzione dei due poveretti. Marta, esasperata da tutto, strinse i denti in segno di rabbia e sbuffando le lanciò uno sguardo che avrebbe potuto ucciderla. Ma al vederla lasciò andare il bastone. La indico rivolgendosi a Diego: “Ecco dove sono finite le chiavi. Le ha prese lei. Brutta stronza”. La bertuccia urlando a bocca spalancata sembrava ricambiare l’epiteto, mentre sventolava in aria le fottutissime chiavi. Il panico, intanto, si era impossessato di Diego che era ricaduto all’indietro e non riusciva più a rimettersi dritto. Stava per essere preda delle sabbie mobili. “Marta, sto sparendo… il bastone, ti prego”.
Marta parve tornare in sé. Afferrò di nuovo il bastone e finalmente aiutò suo marito a uscire da quel pantano di morte. Quando furono al sicuro, entrambi sulla terra ferma, si abbracciarono. Da molto tempo non avevano desiderato così tanto di farlo.
“Eccola lì la stronza, con le nostre chiavi. Ma come cavolo fa ad avercele lei?”, tornò a piagnucolare Marta. “Non lo so, non abbiamo mai voluto neanche il cane. – rispose lui con la voce di chi non sa capacitarsi -. Non lo so, ma ce le riprenderemo. Vieni, non dobbiamo perderla di vista”.
Seguendo la scimmia ripresero a muoversi dentro quell’acquitrino interminabile. La bestiolina correva avanti, quasi sembrava che li volesse seminare, poi si accoccolava su un ramo per sbocconcellare un piccolo frutto e aspettava che i due poveretti si facessero più vicini per tirargli l’avanzo del cibo. Marta un paio di volte cadde. Lui adesso la portava tenendola per la vita, perché l’acqua s’era fatta un po’ più alta. Diego temeva in cuor suo che non ce l’avrebbero mai fatta a riprendersi le chiavi. Ma poi, ammesso che ci fossero riusciti, che ne sarebbe stato di loro? Come avrebbero fatto a uscire da quell’incubo?
Arrivarono a un punto in cui non si vedeva più nulla, solo acqua, nebbia, liane. Una riva in lontananza. La scimmia volando sulle liane raggiunse quella riva e loro due restarono infreddoliti e disperati a vederla andare via. “Te la senti di attraversare quest’acqua? C’è un grosso tronco là, potremmo provarci”, propose Diego alla moglie indicandole il tronco. “Va bene. Ti metterai alle mie spalle, così non avrò paura?”, chiese lei finalmente senza piagnucolare. “Sì, ti tengo io, stai tranquilla”. Così fecero. A cavallo del tronco, remando con le mani e guardando attentamente la superficie dell’acqua, con il segreto, ma neanche tanto, terrore di vedere apparire un coccodrillo, arrivarono sulla riva di quello che sembrava essere un isolotto. Erano stremati e affamati. Stanchi come non lo erano mai stati. Della scimmia non c’era più traccia. Si guardarono intorno. Il posto non era dei più confortevoli, ma la terra era solida, non più acquitrinosa. Raggiunsero una piccola radura sulla spiaggia. Diego crollò a sedere, la schiena appoggiata contro un albero. Anche Marta non vedeva l’ora di crollare a terra, ma uno sbrilluccichio in mezzo all’erba la indusse ad andare a vedere: erano le chiavi, le fottutissime chiavi. Le strinse al petto come un tesoro prezioso. Si avvicinò a Diego: “Guarda, finalmente”, gli disse sedendogli accanto. “Ma questo portachiavi non è il nostro!”, disse lui guardandole con attenzione. “Fai vedere – ribatté lei rigirandosele tra le mani. Questo è il portachiavi che mi avevi regalato tu, per ricordarmi sempre che sono la metà di te. Guarda il ciondolo, è metà cuore”. “Sì, hai ragione, un altro uguale ce l’ho io. Chissà dove. Vieni qui, riposiamoci un momento”, le disse aprendo le braccia. Lei si accoccolò stretta a lui. Chiusero gli occhi. Le chiavi strette nelle mani di Marta. Si addormentarono.
Il suono della sveglia, insistente, ripetuto, li fece sussultare. Aprirono gli occhi, stretti, abbracciati nel grosso letto matrimoniale che li avvolgeva rassicurante. Diego si guardò intorno, il cuore gli batteva forte: le pareti della camera da letto lo tranquillizzarono. Un sogno, grazie al cielo, era stato solo un sogno. Guardò Marta: era davvero bella. Le avrebbe raccontato il suo incubo notturno. Ne avrebbero riso insieme.
Anche lei, guardandosi intorno con gli occhi socchiusi dal timore, riconobbe le pareti rassicuranti della sua casa. L’incubo finalmente era finito. I suoi occhi incrociarono quelli di Diego, gli sorrise. Era tanto che non lo faceva. Gli avrebbe raccontato il suo strambo sogno della palude dopo un buon caffè. Spostò la coperta per alzarsi. Un rumore metallico attirò il suo sguardo a terra. Vide le chiavi. Le afferrò. Le guardò con grande stupore e istintivamente, senza dire una parola, le mostrò a Diego che fissò il ciondolo del portachiavi: metà cuore. Si guardarono con la stessa espressione incredula: perché le chiavi non erano rimaste nell’incubo? Poi si sorrisero perché erano nella loro casa: l’incubo era finito, dissolto alla luce del giorno, e le spiegazioni per ogni cosa le avrebbero potute trovare più tardi. Solo un pensiero attraversò la mente di Diego: ritrovare l’altra metà di quel ciondolo, di quel cuore dimenticato chissà in quale cassetto della loro casa. Intanto lui aveva preso le mani di Marta e l’attirava a sé. I loro volti si avvicinavano con lo stesso desiderio di ritrovarsi in bacio dal sapore dimenticato, in quella storia d’amore che ancora apparteneva a entrambi e mentre le bocche si univano trepidanti… nell’aria il grido acuto, inquietante della scimmia spezzò quel silenzio da sogno.