Mille Piroette – I Diversi Volti Dell’Arte presenta la Recensione della prof.ssa Lucia Petillo dell’Opera di Maria Laura Corsi “Colori in Autunno”

La manifestazione, “La fiera dell’arte” degli artisti di Mille piroette – I diversi volti dell’arte, che si è tenuta il 12 giugno 2022 nella sala Riario del Palazzo Vescovile di Ostia antica, ha previsto, dopo le esibizioni del soprano leggero Olga Angelillo, dell’attore Giacomo Costanzo e del musicista Matteo Cattani in arte Marte, l’estrazione di 7 biglietti a cui sono stati abbinati i quadri donati dai pittori del blog.
Il secondo premio, il quadro dal titolo “Colori in Autunno della pittrice Maria Laura Corsi, è stato assegnato a Lucia Petillo, docente di Storia dell’Arte. La prof.ssa Petillo ha lasciato una recensione dell’opera che siamo orgogliosi di condividere con voi.

Maria Laura Corsi, Colori in Autunno, 2022. Olio su tela, 30×40 cm. Roma.

Osservando l’opera della pittrice Maria Laura Corsi, i miei pensieri si muovono attraverso alcune delle più importanti correnti artistiche conosciute. La protagonista, una natura colta nella sua semplicità, suscita un senso di ammirazione e, nell’ottica della poetica del sublime, ricorda il legame indissolubile con l’animo umano. Potrebbe anche trattarsi, però, di un abbandono alla natura, una fuga, un’evasione dell’artista romantico dai condizionamenti della società.
L’atmosfera che avvolge l’osservatore ricorda le origini del Realismo francese, la cosiddetta “scuola di Barbizon”, con la quale ebbe inizio la pittura en plein air: i pittori portavano i loro cavalletti nella foresta di Fontainebleau, a sud-est di Parigi, e iniziavano a dipingere direttamente lì, per poi perfezionare i propri lavori nello studio.
Riaffiorano le parole del precursore dell’Impressionismo, Édouard Manet: «Non ci sono linee in natura, solo aree di colore, l’una a ridosso dell’altra». L’artista dipingeva dal vivo e prediligeva l’accostamento di macchie di colore ben distinte, come in questo quadro.
Le pennellate svelte ed espressive catturano la vita reale, senza tentare di idealizzarla. Il soggetto è stato rappresentato attraverso colori luminosi, che riescono a dar voce a sentimenti ed emozioni.
Ringrazio Maria Laura Corsi per aver ricordato il potere dell’arte.

Guidonia Montecelio, 20/06/2022
prof.ssa Lucia Petillo
docente di Storia dell’arte

Capitolo 2

Questo articolo è stato scritto e pubblicato da Maria Carmela Brandi.

Il ristorante “Da Romeo” si trova nella piccola piazza “Mattei” nel cuore di Roma, vicinissima all’antico Ghetto Ebraico. Al centro della piazza c’è la bellissima Fontana delle Tartarughe di epoca rinascimentale. È un luogo suggestivo, dove si respira un’atmosfera antica e questa sensazione è ancora più forte nel periodo natalizio con le luci colorate e gli alberi di Natale posti alle entrate dei negozi.
Davanti al ristorante c’è Francesco con il suo sorriso avvolgente e contagioso, espediente per mettere me e Martina a nostro agio, ci accompagna al tavolo, prendendoci sottobraccio.
Il ristorante è carino ed elegante dall’arredamento moderno con grandi specchi alle pareti, quasi tutti i tavoli sono occupati, le luci soffuse suggeriscono agli ospiti di tenere nei loro discorsi un tono basso e delicato, si sente ogni tanto l’acuto di risate qua e là.
Il nostro tavolo è in angolo in penombra, Claudio è lì in piedi che ci aspetta in compagnia di Marco, un ingegnere amico di Francesco. Ci salutiamo con calore misto ad un leggero imbarazzo e poi decidiamo come disporci, io “capito” vicino a Claudio.
La serata si prospetta divertente, Francesco inizia con i suoi racconti e aneddoti sui colleghi di lavoro, li definirei delle vere e proprie caricature, è molto bravo ad usare le parole, fa spesso sfoggio di espressioni di autori latini, reminiscenze degli studi giuridici. Lui attento alle nostre espressioni fameliche nell’osservare il menù esclama: “Cibi condimentum esse famem (la fame è il condimento del cibo)!” E introduce una gran risata a cui tutti facciamo eco.
Tra il divertimento generale arriva il cameriere. Francesco, Marco e Martina hanno deciso: Ostriche e spaghetti all’astice.
Claudio legge il menù, esita, indossa gli occhiali, che rilassano lo sguardo, noto che sbircia di tanto in tanto anche sul mio, è attento al movimento del mio indice mentre scorro l’elenco dei piatti, si sofferma proprio quando pronuncio con risolutezza: “Filetti di baccalà e una bouillabaisse marsigliese (zuppa di pesce).
“Deciso! Prendo filetti di baccalà e una zuppa di pesce” continua lui con sorriso ironico, rivolgendosi al cameriere che appare in un primo momento confuso. La precisazione linguistica di Claudio scatena l’ilarità di Francesco che come sempre arriva a tutti.
Posso dire che proprio da questo banale episodio ho iniziato ad apprezzare la vicinanza di Claudio, mi faceva sentire importante e unica, si fidava delle mie scelte, ne prendeva il buono, esprimeva il suo parere con garbo ed eleganza.
La cena continua in un clima di festosità, beviamo un buon Chardonnay, siamo tutti concentrati sui nostri discorsi, quello che accade nel ristorante fa da sottofondo insieme alla musica tradizionale napoletana che arriva dal pianobar. Le persone intorno sono solo delle sagome che si muovono tra i tavoli e qualche volta assumono l’aspetto ora di una ragazza un po’ su di giri, ora di un tizio che è circondato da un gruppo di donne.
Penso: “finalmente un po’ di spensieratezza, voglio godere ogni attimo! Sto bene!”
Conclusa la cena, salutiamo Francesco, Claudio e Marco tra l’ebrezza e i sorrisi, sottolineando che abbiamo gradito tutto soprattutto la compagnia, promettendo di rivederci presto.
Claudio e io avviciniamo le nostre guance e ci stringiamo la mano con una strana, ma naturale intesa.
Propongo a Martina di fare ancora due passi per il centro di Roma tra gli addobbi natalizi e nei i vicoli intorno a piazza “Mattei”, non è freddo, il cielo è puntellato da qualche stella ed è molto piacevole godere della magia del contesto. Non parliamo della cena nei particolari, ma ricordiamo e ripetiamo le battute di Francesco, perché vogliamo continuare a ridere, siamo d’accordo nel ritenerlo divertente e simpatico.
Mi sento piena, non so bene di cosa e come se fossi avvolta da una vitalità nuova che in quel momento associo allo Chardonnay, sorridendo tra me.
Facciamo ritorno a casa, in macchina continuiamo a chiacchierare. Martina fa qualche battuta su me e Claudio, ma continuo a non voler pensare e lascio che il discorso non prosegua su quel tema, svio su questioni che riguardano il lavoro. È tardi e domani si ricomincia in ufficio.

Il secondo incontro

Non ho pensato più a Claudio nei giorni successivi alla cena o almeno ho finto di non pensare alle nostre guance che si sono sfiorate e alla stretta di mano che mi hanno lasciato con qualche aspettativa, questo non potevo negarlo a me stessa.
Ho parlato con Martina e abbiamo deciso di telefonare a Francesco per ringraziarlo della bellissima serata.
Lei è stata d’accordo. Al telefono Francesco ha mostrato la sua solita cordialità, l’ho ringraziato per la cena, gli ho ribadito che ci siamo divertite e che porti i nostri saluti a Claudio e Marco.
Mi risponde che lo avrebbe fatto sicuramente e poi: “Sonia, dimenticavo, a Claudio farebbe piacere sentirti, posso dagli il tuo numero?”
Io cerco di contenere l’emozione, perché avrei voluto gridare: si! Mi contengo e con moderazione rispondo:
“Si, Francesco, volentieri!”
Chiamo Martina, riferisco tutto! Sono molto contenta e tanto emozionata!
Il giorno dopo arriva la telefonata di Claudio, i toni sono formali e talvolta impacciati. Riemerge quello strano imbarazzo “della stretta di mano”, cerco di nascondere il nodo in gola che mi rallenta il respiro. Mi fingo sorpresa nel ricevere la sua chiamata, come se non lo avessi riconosciuto e fossi presa in quel momento solo dal lavoro, Claudio sta un secondo in silenzio, poi riprende a parlare con un tono caldo e paziente.
La telefonata si chiude con un saluto e un a risentirci presto. Subito dopo ripasso le battute scambiate con lui, ma soprattutto rifletto sull’emozione provata e sul nodo in gola che mi ha lasciato un lieve dolore come un livido.
Provo uno strano sentimento come un dejà vu e l’impressione di trovarmi davanti a qualcuno che non speravo più di rivedere e che ho ritrovato, ma ora non voglio dare troppa importanza a queste sensazioni.
Siamo solite io e Martina trascorrere la pausa pranzo insieme, qualche volta si ferma con noi anche Francesco, così qualche giorno dopo ci chiama per invitarci a pranzo, ma non saremmo stati soli, Claudio ha chiesto di rivederci, ci tiene molto a salutare noi e incontrare lui.
Così siamo tutti di nuovo intorno ad un tavolo, questa volta il ristorante scelto è “Cacio e pepe” che propone le ricette della cucina tradizionale romana, si trova in un altro quartiere storico di Roma: Trastevere. Durante il pranzo, tra un piatto di amatriciana, di carbonara e di carciofi alla giudia, come al solito, dominano l’allegria e le battute di Francesco, accompagnate dalla famosa Romanella Romana, un vino tipico del Lazio, che inganna il bevitore perché dietro la gradevolezza del gusto dolce e frizzante, nasconde l’inganno di un’ebrezza ammaliante.
Io e Claudio siamo seduti uno accanto all’altra, i gomiti si sfiorano e così le ginocchia, ogni tanto ci scambiamo sguardi e frasi che apparentemente non hanno senso. Io gli sussurro: “Prendi del tempo per te, non sentirti in colpa, ne hai bisogno.” Il timore nel pronunciare questa frase fa tintinnare la mia voce, ma insisto con questo discorso e lui annuisce: “Si, mi rendo conto, chiedo troppo a me stesso. È difficile, talvolta organizzare anche un caffè con un amico, ma voglio fermarmi!”
Sono sollevata perché mi preoccupo di apparire invadente e mi stupisco della franchezza del tono della mia voce, proprio come se io e lui avessimo una grande confidenza. La cosa più strana, poi per due persone che si conoscono appena, è che Claudio mi ascolta con grande interesse, come se non aspettasse altro da tempo che qualcuno gli dicesse: “Fermati!”
Ci salutiamo con la consueta promessa di sentirci presto, lui dà un’occhiata all’orologio e alza lo sguardo nel vuoto come se avesse davanti a sé in fila tutte le persone che avrebbe dovuto incontrare nel pomeriggio e si stesse risvegliando di soprassalto da un pisolino fugace.
Anche io mi riprendo e ripenso alle cose da fare in ufficio in quello scorcio di pomeriggio, ma sono stranamente soddisfatta, ho trascorso un bel momento dal sapore magico. Colpa ancora del vino?
Io e Martina rientriamo in ufficio. Sulla strada del rientro commentiamo e ripensiamo a Francesco, ai suoi discorsi.
Intanto arrivano le vacanze natalizie, con le colleghe dell’ufficio Cecilia e Marzia organizziamo una passeggiata al centro di Roma per gustare l’atmosfera natalizia, fare una visita al museo del Chiosco del Bramante dove è allestita una mostra sulla pop art di Andy Warhol, sono esposte le sue più belle opere, ma soprattutto la Marylin Pink, poi pranzo da Gusto a piazza Augusto Imperatore e chiacchiere a non finire.
Ero convinta che avrei trascorso una giornata tra amiche e cultura e invece…

Capitolo 2: “Il Frutto”

Questo articolo è stato scritto e pubblicato da Simona Gaudenzi.

L’albero di cachi stava proprio in fondo agli orti. Per arrivarci bisognava attraversare le coltivazioni, passando su uno dei tanti minuscoli sentieri che suo padre e i suoi fratelli avevano tracciato.
La piccola Giuseppina amava quell’albero di cachi. Di tutte le piante che vivevano nel grande podere, quello era il suo preferito. Alla fine di ottobre si riempiva di magnifici frutti di color arancio intenso. I rami delicati si piegavano sotto il loro peso, sembravano sfere colorate. Per tutto novembre il cachi assomigliava a un albero di Natale addobbato un po’ prima del tempo.
Quell’anno Giuseppina aveva chiesto a suo padre di potersi occupare lei della raccolta dei cachi, voleva che fosse il suo lavoro. Suo padre acconsentì, non avrebbe mai negato qualcosa alla piccola di casa.
Così quasi ogni giorno Giuseppina si recava con un piccolo cesto a raccogliere un po’ di frutti. Ma c’era un segreto dietro il suo desiderio, il rito della pozione arancione, così lo chiamava lei. Prima di raccogliere i frutti, Giuseppina se ne mangiava uno, tutto a modo suo.
Raccoglieva uno di quelli più maturi, come piaceva a lei, con la buccia che già cominciava a spaccarsi, lasciando intravedere un po’ di polpa succosa. Lo prendeva delicatamente tra le mani, cercando di non romperlo, poi cominciava a leccare la buccia sottile nel punto in cui era spaccata. La buccia era liscia e cedevole, e anche da fuori Giuseppina riusciva a sentire la morbidezza della polpa interna. Non c’era bisogno di un coltello per sbucciare il suo cachi, con la lingua pian piano finiva di aprire lo spacco della buccia, e la polpa dolcissima, molle e succulenta cominciava ad uscire da sola.
Giuseppina non riusciva a mangiarla così velocemente come la polpa usciva, per cui si ritrovava sempre con le mani e le labbra impiastricciate di quella morbida e dolce gelatina. Finiva allora di mangiare il frutto succhiandosi le dita e leccandosi le mani. Il rito della pozione arancione era in realtà il piacere un po’ selvaggio di godersi il frutto tutto a modo suo.

Capitolo 2

Questo articolo è stato scritto e pubblicato da Nerina Piras.

MARIO
Sono stanco, il lavoro nei campi diventa sempre più faticoso, sarà anche per l’età che aumenta, la terra è arida, dà pochi frutti.
Francesca è partita con suo marito e i figli, bocche in meno da sfamare.
Paola ha conosciuto un ragazzo e anche loro hanno deciso di andare via da questa terra, meglio così, tanta gente in meno, rimangono i miei genitori da accudire, ma a quelli ci pensa mia moglie.
Ora i figli piano piano crescono e tra un po’ avrò il loro aiuto.
Non ho un rapporto di grande amore con le mie sorelle, forse perché sono delle femmine ed io essendo il più grande in famiglia e per giunto maschio, ho nei loro confronti una responsabilità ma per quanto riguarda l’affetto, non so cosa sia, in fondo anche i miei genitori sono stati aridi di carezze e baci, e questo retaggio me lo porto dietro anche con i miei figli, che sto crescendo con rigore e ordine.

FRANCESCA
La vita nella grande città è caotica, non sono abituata a tutta questa gente che corre corre e non si sa dove va, qui l’unica cosa positiva è che le persone non le conosci tutte e quindi non stanno sempre lì a spettegolare.
Io poi non ho tempo di badare alle chiacchiere è da poco che abito in questa città e sono di nuovo incinta, fa caldo ed è faticoso.
Fortuna che Stefano, ha trovato un buon lavoro, infatti è nel comune di questa città e si occupa dei bagni del mercato comunale, guadagna quel tanto per mantenere questa famiglia decente.
Forse dalla grande città mi aspettavo di più, io poi essendo donna non posso andare a lavorare devo badare ai figli, che tra un po’ saranno tre.

PAOLA
Ora che mi sono allontanata dalla mia famiglia, mi sento sola, mi mancano i miei genitori anche se non sono mai stati prodighi di carezze e di affetto, mi manca persino mia sorella, le sue sfuriate, le sue litigate, la città è del nord e qui le persone sono fredde, non riesco a fare amicizia con nessuno, mi vedono come una bestia rara mi chiamano “terrona”, io soffro molto, mio marito è sempre in fabbrica a lavorare ed io sono sempre più sola, spero di rimanere presto incinta, così potrò occupare il mio tempo con un bambino.
Qui a Milano ora è qui che vivo, è tutto grigio mi manca la visione delle campagne e il mare che si vede in lontananza, mi manca la vigna dove mi andavo a nascondere quando dovevo scappare da quella furia di mia sorella, mi mancano le amiche della scuola, anche se ho frequentato solo la terza media, amavo studiare e a fare di conto, purtroppo la scuola era per noi un lusso che non potevamo permetterci, meno male che almeno ci hanno permesso di imparare a leggere e a scrivere.

MARIO
Oggi ho portato mio figlio più grande nei campi, meglio se impara subito come è dura la vita, non voglio che diventi una femminuccia, è sempre in giro a giocare con la sorella, la quale dovrebbe aiutare la madre nelle faccende, ma questi figli moderni non li capisco proprio, ma ci penserò io ad addrizzarli con la cinta se ce né bisogno.
Mia moglie è sempre troppo debole.
Purtroppo, sono fuori quasi tutto il tempo e quando torno devo subire il baccano che fanno e mi innervosiscono, da domani le cose cambieranno, oltre a Fabio ormai novenne, penso di portare anche Luigi 8 enne nei campi.
Avranno meno voglia di giocare e di rincorrersi dopo che saranno tornati dai campi.
Luigi vorrebbe andare a scuola, ma figurati ha frequentato già la terza elementare basta e avanza per quello che serve nella vita.

FRANCESCA
È nato un altro maschio, Enrico, avrei tanto voluto una bambina, da grande mi avrebbe potuto aiutare, invece la vita è dura.
Ho fatto amicizia con la mia vicina di porta, questo palazzo è alto cinque piani, ed io abito all’ultimo, fare le scale con tre bambini è faticoso.
Stefano sempre di più invita amici e parenti, è una persona socievole e generosa, la casa è sempre piena di allegria, non si accorge della mia stanchezza, basta che suoni la chitarra e canta ed è tutto felice.
La mia vicina sposata anche lei ha un solo figlio, maschio, ma abita con la sorella che ha un marito e due figlie.
Mi chiedo come entrano due famiglie in una casa di due stanze da letto, una cucina e un solo bagno, ma si sa qui in città e in questo quartiere le case scarseggiano, le famiglie si devono arrangiare.
Io sono contenta di avere un appartamento tutto per me, per me e i miei tre figli, anche se devo dire che stiamo un po’ stretti anche noi, ma certo non posso lamentarmi.

PAOLA
Ho nostalgia della mia terra, qui mi sento discriminata, mi chiamano “Terrona”, forse non davanti a me, ma li sento sussurrare appena possono.
Pensare di far crescere le mie figlie in questo ambiente mi spaventa, e sì perché ora ho due figlie, per loro voglio una vita diversa dalla mia, voglio farle studiare e voglio vederle realizzarsi come non ho potuto fare io nella mia amata terra.
So che un giorno tornerò lì e finirò lì i miei giorni assieme a mio marito.

Mille Piroette – I Diversi Volti Dell’arte presenta: Biennale Arte 2022 – Padiglione Nazionale Grenada

Capitolo 1

Questo articolo è stato scritto e pubblicato da Maria Carmela Brandi.

Il messaggio

“Scusami, ma è un periodo super impegnato…. prima possibile ci vedremo. Un bacio!”
Rileggo attentamente ogni parola, scandisco le sillabe, cerco di interpretare ogni lettera, come se volessi interrogarla.
Immagino la sua espressione mentre scrive in fretta il messaggio su WhatsApp, mette un emoticon: un bacio con un cuoricino per farmi capire che gli dispiace: “vorrei ma…”. Riconosco…. e comprendo.

Ti racconto per tenerti qui….
È trascorso un po’ di tempo dall’ultimo incontro. Rimandiamo continuamente un appuntamento, che ora sembra impossibile fissare.
Il traffico di Roma, una gomitata di un passante distratto, la brezza pomeridiana mi riportano alla realtà, mentre continuo a tenere lo sguardo incollato sul messaggio e lo rileggo lentamente.
Ritorna alla memoria il nostro primo incontro e a quando i nostri sguardi si sono incrociati. Allora ripenso a tutto il tempo trascorso fino ad oggi. Come ho fatto a catturare la sua attenzione? Io inconsapevole di ciò che sarebbe stato?

Un altro tempo

Mi sono sempre chiesta, perché mi attraesse la storia di Shahrazad e del re persiano Shāhrīyār, protagonisti de Le mille e una notte.
Libro che mi aveva consigliato l’insegnante di lettere negli anni del Liceo. Quando da adolescente volevo sognare, leggevo qualche novella, ripensavo alla vicenda della ragazza e del re, al mondo esotico che faceva da contesto ai racconti di lei. Mi divertivo a ricostruire con la fantasia il palazzo reale. Immaginavo Shahrazad, la sua bellezza esotica, un po’ ingenua, infantile, elegante, nello stesso tempo seducente e selvaggia.
Nella mia fantasia prendeva forma la sala del trono, un ampio spazio circondato da archi con mosaici dai colori vivaci, retti da colonne d’oro.
Finestre che si affacciavano su giardini da cui provenivano delicati profumi, pavimenti ricoperti di tappeti variopinti e qua e là delle panche su cui erano adagiati morbidi cuscini di stoffe leggere. Sete colorate scendevano dal soffitto ed essenze di incensi rari riempivano gli ambienti.
Il trono di Shāhrīyār decorato di fregi in rilievo era collocato sulla parete centrale della sala, protetto da un sontuoso baldacchino.
Seduto lì con lo sguardo fiero e beffardo l’uomo ascoltava la voce da sirena della ragazza, lui che era stato deluso dalle donne, stava lì e pendeva pian piano dalle sue labbra.
Ogni giorno di più l’uomo si affidava a lei, ai suoi consigli.
L’astuzia di una donna, che un tempo lo aveva tradito, ora lo catturava.
La ragazza aveva capito che per aver salva la vita, doveva suscitare la curiosità del sultano e che poi quella curiosità, a sua insaputa, si sarebbe trasformata, con la magia del racconto, in amore.

Giuro non l’ho premeditato e chi avrebbe mai creduto a questa fantasia!
Ma a me è accaduta la stessa cosa. Certo! Non dovevo salvare la mia vita e lo scenario era ben diverso, nessun giardino o trono, nessuna condanna a morte, ma un tavolino, due sedie, due caffè e un bar della Roma di oggi, infine io e Claudio e tante storie.

Il primo incontro.

Mi chiamo Sonia, lavoro per una grande compagnia aerea americana Air seven che ha una sede al centro di Roma non lontano dalla Stazione Termini.
Tra un po’ è Natale, penso sollevata alle ferie. Finalmente mi riposerò! Il lavoro in ufficio a fine anno è estenuante, scadenze e adempimenti. Si corre, chissà poi perché e per chi! Come se, andando in ferie non dovessimo tornare più!
L’atmosfera del Natale mi ha sempre messa di buon umore e uno strano entusiasmo. Ho bisogno di leggerezza! L’anno che sta finendo è stato davvero intenso di avvenimenti. Mesi trascorsi tra impegni di lavoro e famiglia e una relazione difficile con un ragazzo più giovane di me appena conclusa, che mi ha lasciato tanta amarezza.
Ridere e divertimi! Le parole d’ordine delle prossime settimane!
Adoro Roma durante le feste natalizie, mi piace fare delle passeggiate in centro e stringermi nel cappotto per la tramontana pungente. Il reticolo di stradine intorno a Piazza dell’orologio, nei pressi di Piazza Navona, è la zona che preferisco: sono poco frequentate e piene di negozietti addobbati con luci e palline colorate, si ha quasi l’impressine di non essere in una metropoli.

È proprio in una mattina di dicembre, non molto fredda per la stagione che ha avuto tutto inizio!

Sono con Martina una collega, abitiamo nel quartiere Appio Latino e quasi sempre arriviamo insieme in macchina a lavoro, deve incontrare Francesco, un dirigente della Compagnia.
Francesco ci viene incontro, mentre noi ci guardiamo intorno per cercare un posto per la macchina. Impresa difficile! Le vie intorno alla stazione sono sedi di molti uffici, vengono prese d’assalto e non si trova un angolo libero. Francesco non è solo, con lui c’è un uomo. Mi colpisce subito il suo aspetto, l’andamento deciso, elegante, lo sguardo reso profondo e sicuro da qualche ruga agli angoli degli occhi, nello stesso tempo appare tenero e indifeso. Cerco di camuffare il mio interesse per lui con la ricerca del parcheggio.
Ecco! trovato! Velocissima con un’apparente manovra sportiva metto in ordine l’auto.
Noto che Claudio, che intanto mi è stato presentato da Francesco, rimane sorpreso dalla mia sveltezza.
‘Chissà che impressione avrà avuto, penserà che sono bravissima alla guida…’, poi i due ci salutano.
Abbiamo ancora un po’ di tempo e ci incamminiamo verso il bar, Martina accenna qualcosa su Francesco e sul suo amico Claudio, su chi fosse, ma non voglio prestare molta attenzione alle sue parole.
Cerco di non pensare troppo a possibili interpretazioni di atteggiamenti o frasi dette da un lui appena conosciuto, ma Claudio torna con impertinenza nei miei pensieri.
Non intendo, però complicarmi la vita e voglio godermi la mia libertà!
I giorni scorrono tra uscite con le amiche e il lavoro per la Compagnia.
Mi chiama al telefono Martina: “Sonia, caffè?”
“Si! Andiamo!”
Sono ancora assonnata e accetto volentieri, tra un sorso e l’altro mi dice: “Ti ricordi Claudio, l’amico di Francesco?”
Indugio qualche secondo, mentre addento un cornetto caldo: “Si, ti devo confessare che qualche volta ci penso. Perché me lo chiedi?”
“Ci ha invitate a cena. In realtà quando lo abbiamo conosciuto avrebbe dovuto concludere degli affari con la nostra Compagnia.
Ha chiuso un importante accordo commerciale con il nostro gruppo dirigenziale e vuole festeggiare.”
“Che gentile! Certo! Tu che ne pensi?”
Martina mi sorride, si accarezza i capelli e con gli occhi maliziosi annuisce, cercando la mia complicità:
“Francesco mi deve far sapere la data, ma sicuramente una di queste sere”.
Dopo qualche giorno, so da Martina che Francesco ci ha dato appuntamento per il giorno successivo.
Così ci prepariamo all’”evento”.
Io ancora all’oscuro di cosa mi stesse aspettando.
Il giorno dopo in ufficio non faccio altro che pensare a quale abito indossare.
L’appuntamento è “Da Romeo” un ristorante al centro di Roma, famoso per la sua cucina a base di pesce e frequentato dalla Roma bene.
Nel pomeriggio torno a casa dopo il lavoro, non manca molto all’appuntamento. Apro l’armadio e come al solito mi sembra sempre tutto molto vecchio e scontato, ma non ho tempo e devo decidere, così scelgo un vestitino di pizzo nero. Sembra adatto per l’occasione: non è scollato, senza maniche, aderente e corto sulle ginocchia.
“Si! È lui, mi delinea bene la vita e si vedono anche un po’ le gambe”.
Poi mi guardo allo specchio, cerco di dare un po’ di volume ai lunghi capelli castani e com’è mia abitudine faccio mille prove, simulo ogni atteggiamento con le braccia, gesticolo con le mani e immagino cosa possa pensare il mio interlocutore.
Ritorno allo specchio, osservo la mia immagine riflessa e ne sono soddisfatta, ho quarant’anni e curo da sempre il mio aspetto. Devo pensare al trucco. Non voglio sottolineare troppo i tratti del viso. Mi concentro sugli occhi, devono essere ben delineati:
‘Lo sguardo è importante’.
Con la matita sottolineo il contorno degli occhi e passo del mascara sulle ciglia.
Ad un tratto mi fermo e mi chiedo, perché stessi dando tanta importanza a quei preparativi. Continuo a truccarmi e sento una strana allegria.
Finalmente sono pronta: gli occhi, le guance in su e le labbra.
Sento che avrei trascorso una bella serata, soprattutto divertente, perché Francesco è molto simpatico, imita tutte le colleghe della Compagnia, esagerandone espressioni e il tono della voce o ripetendo i tic di ognuno.
Ogni volta che lo incontro imita anche me, esasperando il mio modo di parlare, in particolare quando mi sta a cuore qualcosa e voglio che lui mi ascolti e mi prenda sul serio.
Mentre penso a tutte queste cose arrivo sotto casa di Martina, anche lei elegante. È una bella ragazza mora, magra, non molto alta, gli occhi grandi e vivaci, ma il suo cavallo di battaglia: i lunghissimi capelli che ne fanno una sirena.
Siamo amiche da molti anni e ci vogliamo bene. La complicità è il nostro forte, ci capiamo con uno sguardo. Spesso quando usciamo insieme le persone pensano che siamo sorelle, e noi divertite e compiaciute, andiamo fiere di questo fraintendimento, perché ci sentiamo veramente legate come sorelle.
Lei entra in macchina e mi dà le indicazioni sulla strada da percorrere per arrivare al ristorante, continuo a sentirmi particolarmente felice e non so perché, forse è l’entusiasmo che mi caratterizza e che viene fuori in ogni cosa che faccio.

Sinossi

Questo articolo è stato scritto e pubblicato da Maria Carmela Brandi.

Ti racconto per tenerti qui
Claudio e Sonia un incontro casuale e potrebbero sembrare una coppia come tante
altre, in realtà la loro storia di passione e di amore rivela un legame che va al di là della reale
loro esistenza.
Il racconto e i racconti accompagneranno l’evoluzione della relazione dei due che con sorpresa si
riconosceranno protagonisti di vicende appartenenti ad altri livelli temporali e a contesti storici
diversi.
Roma fa da scenario all’incontro di Claudio e Sonia che dall’ambiente di lavoro si ritroveranno
compagni di avventure ad incastro come in un antico entrelacement.
Il finale? Una sorpresa……!!!
Ecco l’inizio di tutto…

Capitolo 1

Questo articolo è stato scritto e pubblicato da Nerina Piras.

MARIO
Guardo il mio paese, sta crescendo troppo in fretta, i miei figli sono piccoli e ancora non mi possono aiutare nei campi, ho due maschi e una femmina, ma le femmine come si sa non contano nulla, sono solo spese per la famiglia, devo aspettare che i maschi crescano, per ora devo fare tutto da solo.
Ho due sorelle, hanno l’idea di abbandonare il paese per cercare una vita migliore, infatti qui non ci sono molte possibilità il paese è piccolo la terra è una sola, così rimarrò io a portare avanti l’azienda di famiglia, la terra è dura, la vigna è l’unica consolazione in questo paese bruciato dal sole.
Sono l’unico maschio di questa famiglia, l’unico che è voluto restare pensando di non lasciar decadere tutto il lavoro dei nostri genitori, che ora sono anziani e che devo accudire.
Quando mi affaccio alla finestra, spazio con lo sguardo verso tutto ciò che ho realizzato, sto restaurando, giorno per giorno la casa dei nostri genitori, la sto quasi costruendo di nuovo mattone su mattone.
Tanti sacrifici, per fortuna ho una moglie che condivide con me questa fatica, lei si occupa dei figli, come è giusto che sia, io mi occupo dei campi
Mia moglie si chiama Teresa e si occupa anche dei miei genitori, oramai sono anziani e non sono in grado di provvedere ai loro stessi bisogni.
A volte invidio le mie sorelle, si stanno sposando e pensano di cercare fortuna lontano da queste terre, dimenticate da Dio, le capisco, la proprietà di famiglia non può mantenere la mia famiglia e la loro con i loro figli.
Quando i miei non ci saranno più, dovremmo decidere cosa fare di ciò che ci lasceranno.

FRANCESCA
Nascere in questo paese dimenticato da Dio, mi angoscia, sogno sempre di volare per altri lidi e altre mete.
Non sono una persona che si può accontentare di questa vita da paesana, dove non ci sono sbocchi di vita, dove l’unica cosa che puoi fare è sposarti e fare figli.
Il paese è piccolo è nell’entroterra d’Italia, qui la gente non ha nient’altro da fare che parlare delle persone o sparlare, mi sento soffocare, fortuna che ho conosciuto l’amore di Stefano, lo conosco da quando eravamo bambini, siamo cresciuti nello stesso paese, ma solo quando mi ha chiesta in moglie ci siamo potuti conoscere veramente, qui la mentalità è molto rigida e se ti fai vedere con un uomo che non sia tuo parente, vieni subito tacciata da mala femmina.
L’onore è la nostra più grande virtù, se lo perdi, non puoi più camminare a testa alta nel paese, e nessuno ti sposerà mai, per questo ho voglia di scappare da qui.
Fortuna che anche Stefano ha lo stesso mio desiderio, così abbiamo deciso di espatriare ed andare a vivere in una grande città, come Napoli per esempio.
Così una volta sposati siamo andati via con un figlio di quattro anni e uno di due.
che coraggio!!ma si sa il coraggio aiuto gli audaci.

PAOLA
La vita nella mia famiglia è difficile, mio padre ormai anziano, non mi comanda più per fortuna, ma mio fratello ci prova in tutte la maniere, mi sento soffocare, mia sorella Francesca è una strega, vuole sempre avere ragione lei, ha le mani lunghe e non solo una volta sono stata succube dei suoi maltrattamenti, è più cattiva di mio fratello Mario, almeno lui è sempre nei campi e non sta sempre a riprendermi e a controllarmi, invece Francesca sempre prepotente rompe tutti i miei giochi, che sono già pochi.
che pizza appena posso mi sposo e scappo via, non certamente nella stessa città di Francesca, forse deciderò per Roma. chissà…o Milano

Capitolo 1

Questo articolo è stato scritto e pubblicato da Simona Gaudenzi.

Quella che sto per raccontare è una storia d’amore. Un amore che ha attraversato il tempo, che è passato di generazione in generazione ed è arrivato fino a me, come una staffetta. Ha aspettato pazientemente per più di cento anni, questo antico amore, ma il suo lungo viaggio nel tempo adesso è finito, può riposare finalmente in pace.
Mi chiamo Serena, ho 65 anni. La mia vita è stata quella di una donna come tante, con le sue emozioni, i momenti belli, i dolori, le delusioni. Nel corso del tempo sono cambiate tante cose in me, non solo nell’aspetto fisico, come è normale che sia, ma anche nel mio essere; come persona, come donna. Credo di aver sempre cercato di guardare dentro me stessa, forse per una predisposizione d’animo, ma anche per i tanti momenti di solitudine che mi hanno dato la possibilità di farlo. Una solitudine non sempre materiale, spesso mi sono sentita sola anche quando ero in mezzo alla gente. Il lato malinconico del mio carattere ha sempre favorito questo desiderio di scavare dentro me stessa. Per sentirmi migliore, sicuramente, ma anche nel perenne tentativo di trovare una felicità che forse non esiste.
Il mio percorso interiore ancora non è finito, e credo che non finirà mai, continuerò fino a quando la ragione me lo consentirà, fa parte di me, ma in tutti questi anni una certezza mi ha sempre accompagnato, e non è mai cambiata, l’amore per mia nonna Giuseppina.
Mia nonna è morta ormai da più di venti anni, avevo quarantaquattro anni quando l’ho vista per l’ultima volta nel suo letto, ormai non era più in grado di parlare e il giorno successivo lasciava questo mondo.
Quarantaquattro anni non sono pochi e mi hanno dato la possibilità non solo di amarla ed essere amata, ma anche di ascoltare da lei le tante storie che hanno fatto parte della sua vita. Mi è sempre piaciuto tanto ascoltare le storie da mia nonna; da piccola le facevo ripetere infinite volte sempre la stessa favola, quella che in quel momento mi colpiva di più, e lei pazientemente la ripeteva. Quando sono cresciuta, il nostro rapporto, fatto molto spesso di racconti, è continuato con le tante storie della sua lunga vita. Una di esse in particolare l’ho sempre sentita in modo più intenso rispetto alle altre, quella di suo fratello maggiore Giulio, che a venti anni partì per la Grande Guerra e non fece più ritorno.
La storia di Giulio, interrotta bruscamente, ha lasciato in lei un desiderio struggente di rivederlo, e in me, non solo il fascino che può dare il mistero di una storia irrisolta, ma anche il desiderio, non del tutto consapevole, di portare a termine qualcosa rimasto incompiuto.
Adesso ti lascio caro lettore, vado a far parte della storia. Preferisco che a raccontare le vicende che seguiranno sia un anonimo narratore. C’è troppo del mio cuore dentro queste storie e non riuscirei a raccontarle con serenità.
Ho raccolto direttamente da mia nonna la staffetta dell’amore, una generazione purtroppo è saltata.
Spero soltanto che un giorno i miei figli possano prendere in mano la mia e raccontare un’altra storia d’amore.

Sinossi

Questo articolo è stato scritto e pubblicato da Simona Gaudenzi.

L’amore che supera il tempo. Giulio, contadino ventenne, parte per la Grande Guerra. Non tornerà più e la sua numerosa famiglia, di cui è il figlio maggiore, non saprà più nulla di lui. Giuseppina, la figlia minore, ha solo nove anni quando vede suo fratello partire, ma non lo dimenticherà. Nella sua lunga e travagliata vita racconterà spesso e con affetto di questo fratello scomparso. Serena, sua nipote prediletta, dopo più di cento anni, riuscirà a fare un grande regalo ai suoi antenati.