Capitolo 2

Questo articolo è stato scritto e pubblicato da Maria Carmela Brandi.

Il ristorante “Da Romeo” si trova nella piccola piazza “Mattei” nel cuore di Roma, vicinissima all’antico Ghetto Ebraico. Al centro della piazza c’è la bellissima Fontana delle Tartarughe di epoca rinascimentale. È un luogo suggestivo, dove si respira un’atmosfera antica e questa sensazione è ancora più forte nel periodo natalizio con le luci colorate e gli alberi di Natale posti alle entrate dei negozi.
Davanti al ristorante c’è Francesco con il suo sorriso avvolgente e contagioso, espediente per mettere me e Martina a nostro agio, ci accompagna al tavolo, prendendoci sottobraccio.
Il ristorante è carino ed elegante dall’arredamento moderno con grandi specchi alle pareti, quasi tutti i tavoli sono occupati, le luci soffuse suggeriscono agli ospiti di tenere nei loro discorsi un tono basso e delicato, si sente ogni tanto l’acuto di risate qua e là.
Il nostro tavolo è in angolo in penombra, Claudio è lì in piedi che ci aspetta in compagnia di Marco, un ingegnere amico di Francesco. Ci salutiamo con calore misto ad un leggero imbarazzo e poi decidiamo come disporci, io “capito” vicino a Claudio.
La serata si prospetta divertente, Francesco inizia con i suoi racconti e aneddoti sui colleghi di lavoro, li definirei delle vere e proprie caricature, è molto bravo ad usare le parole, fa spesso sfoggio di espressioni di autori latini, reminiscenze degli studi giuridici. Lui attento alle nostre espressioni fameliche nell’osservare il menù esclama: “Cibi condimentum esse famem (la fame è il condimento del cibo)!” E introduce una gran risata a cui tutti facciamo eco.
Tra il divertimento generale arriva il cameriere. Francesco, Marco e Martina hanno deciso: Ostriche e spaghetti all’astice.
Claudio legge il menù, esita, indossa gli occhiali, che rilassano lo sguardo, noto che sbircia di tanto in tanto anche sul mio, è attento al movimento del mio indice mentre scorro l’elenco dei piatti, si sofferma proprio quando pronuncio con risolutezza: “Filetti di baccalà e una bouillabaisse marsigliese (zuppa di pesce).
“Deciso! Prendo filetti di baccalà e una zuppa di pesce” continua lui con sorriso ironico, rivolgendosi al cameriere che appare in un primo momento confuso. La precisazione linguistica di Claudio scatena l’ilarità di Francesco che come sempre arriva a tutti.
Posso dire che proprio da questo banale episodio ho iniziato ad apprezzare la vicinanza di Claudio, mi faceva sentire importante e unica, si fidava delle mie scelte, ne prendeva il buono, esprimeva il suo parere con garbo ed eleganza.
La cena continua in un clima di festosità, beviamo un buon Chardonnay, siamo tutti concentrati sui nostri discorsi, quello che accade nel ristorante fa da sottofondo insieme alla musica tradizionale napoletana che arriva dal pianobar. Le persone intorno sono solo delle sagome che si muovono tra i tavoli e qualche volta assumono l’aspetto ora di una ragazza un po’ su di giri, ora di un tizio che è circondato da un gruppo di donne.
Penso: “finalmente un po’ di spensieratezza, voglio godere ogni attimo! Sto bene!”
Conclusa la cena, salutiamo Francesco, Claudio e Marco tra l’ebrezza e i sorrisi, sottolineando che abbiamo gradito tutto soprattutto la compagnia, promettendo di rivederci presto.
Claudio e io avviciniamo le nostre guance e ci stringiamo la mano con una strana, ma naturale intesa.
Propongo a Martina di fare ancora due passi per il centro di Roma tra gli addobbi natalizi e nei i vicoli intorno a piazza “Mattei”, non è freddo, il cielo è puntellato da qualche stella ed è molto piacevole godere della magia del contesto. Non parliamo della cena nei particolari, ma ricordiamo e ripetiamo le battute di Francesco, perché vogliamo continuare a ridere, siamo d’accordo nel ritenerlo divertente e simpatico.
Mi sento piena, non so bene di cosa e come se fossi avvolta da una vitalità nuova che in quel momento associo allo Chardonnay, sorridendo tra me.
Facciamo ritorno a casa, in macchina continuiamo a chiacchierare. Martina fa qualche battuta su me e Claudio, ma continuo a non voler pensare e lascio che il discorso non prosegua su quel tema, svio su questioni che riguardano il lavoro. È tardi e domani si ricomincia in ufficio.

Il secondo incontro

Non ho pensato più a Claudio nei giorni successivi alla cena o almeno ho finto di non pensare alle nostre guance che si sono sfiorate e alla stretta di mano che mi hanno lasciato con qualche aspettativa, questo non potevo negarlo a me stessa.
Ho parlato con Martina e abbiamo deciso di telefonare a Francesco per ringraziarlo della bellissima serata.
Lei è stata d’accordo. Al telefono Francesco ha mostrato la sua solita cordialità, l’ho ringraziato per la cena, gli ho ribadito che ci siamo divertite e che porti i nostri saluti a Claudio e Marco.
Mi risponde che lo avrebbe fatto sicuramente e poi: “Sonia, dimenticavo, a Claudio farebbe piacere sentirti, posso dagli il tuo numero?”
Io cerco di contenere l’emozione, perché avrei voluto gridare: si! Mi contengo e con moderazione rispondo:
“Si, Francesco, volentieri!”
Chiamo Martina, riferisco tutto! Sono molto contenta e tanto emozionata!
Il giorno dopo arriva la telefonata di Claudio, i toni sono formali e talvolta impacciati. Riemerge quello strano imbarazzo “della stretta di mano”, cerco di nascondere il nodo in gola che mi rallenta il respiro. Mi fingo sorpresa nel ricevere la sua chiamata, come se non lo avessi riconosciuto e fossi presa in quel momento solo dal lavoro, Claudio sta un secondo in silenzio, poi riprende a parlare con un tono caldo e paziente.
La telefonata si chiude con un saluto e un a risentirci presto. Subito dopo ripasso le battute scambiate con lui, ma soprattutto rifletto sull’emozione provata e sul nodo in gola che mi ha lasciato un lieve dolore come un livido.
Provo uno strano sentimento come un dejà vu e l’impressione di trovarmi davanti a qualcuno che non speravo più di rivedere e che ho ritrovato, ma ora non voglio dare troppa importanza a queste sensazioni.
Siamo solite io e Martina trascorrere la pausa pranzo insieme, qualche volta si ferma con noi anche Francesco, così qualche giorno dopo ci chiama per invitarci a pranzo, ma non saremmo stati soli, Claudio ha chiesto di rivederci, ci tiene molto a salutare noi e incontrare lui.
Così siamo tutti di nuovo intorno ad un tavolo, questa volta il ristorante scelto è “Cacio e pepe” che propone le ricette della cucina tradizionale romana, si trova in un altro quartiere storico di Roma: Trastevere. Durante il pranzo, tra un piatto di amatriciana, di carbonara e di carciofi alla giudia, come al solito, dominano l’allegria e le battute di Francesco, accompagnate dalla famosa Romanella Romana, un vino tipico del Lazio, che inganna il bevitore perché dietro la gradevolezza del gusto dolce e frizzante, nasconde l’inganno di un’ebrezza ammaliante.
Io e Claudio siamo seduti uno accanto all’altra, i gomiti si sfiorano e così le ginocchia, ogni tanto ci scambiamo sguardi e frasi che apparentemente non hanno senso. Io gli sussurro: “Prendi del tempo per te, non sentirti in colpa, ne hai bisogno.” Il timore nel pronunciare questa frase fa tintinnare la mia voce, ma insisto con questo discorso e lui annuisce: “Si, mi rendo conto, chiedo troppo a me stesso. È difficile, talvolta organizzare anche un caffè con un amico, ma voglio fermarmi!”
Sono sollevata perché mi preoccupo di apparire invadente e mi stupisco della franchezza del tono della mia voce, proprio come se io e lui avessimo una grande confidenza. La cosa più strana, poi per due persone che si conoscono appena, è che Claudio mi ascolta con grande interesse, come se non aspettasse altro da tempo che qualcuno gli dicesse: “Fermati!”
Ci salutiamo con la consueta promessa di sentirci presto, lui dà un’occhiata all’orologio e alza lo sguardo nel vuoto come se avesse davanti a sé in fila tutte le persone che avrebbe dovuto incontrare nel pomeriggio e si stesse risvegliando di soprassalto da un pisolino fugace.
Anche io mi riprendo e ripenso alle cose da fare in ufficio in quello scorcio di pomeriggio, ma sono stranamente soddisfatta, ho trascorso un bel momento dal sapore magico. Colpa ancora del vino?
Io e Martina rientriamo in ufficio. Sulla strada del rientro commentiamo e ripensiamo a Francesco, ai suoi discorsi.
Intanto arrivano le vacanze natalizie, con le colleghe dell’ufficio Cecilia e Marzia organizziamo una passeggiata al centro di Roma per gustare l’atmosfera natalizia, fare una visita al museo del Chiosco del Bramante dove è allestita una mostra sulla pop art di Andy Warhol, sono esposte le sue più belle opere, ma soprattutto la Marylin Pink, poi pranzo da Gusto a piazza Augusto Imperatore e chiacchiere a non finire.
Ero convinta che avrei trascorso una giornata tra amiche e cultura e invece…

4 pensieri su “Capitolo 2


  1. Maria Carissima, ora più che mai i tuoi racconti allietano le mie giornate burrascose e buie, ti adoro e ti invito a scrivere ancora, sei una buona penna😘

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