La Nostra Amicizia

Questo articolo è stato scritto e pubblicato da Maria Carmen Brandi.

Pasquale fissa la luce del neon, l’odore acre del disinfettante per pavimenti è ormai familiare, questa è la terza infusione.

È sdraiato sulla poltrona nella sala dell’ospedale, dove stazionano i malati oncologici per ricevere la terapia. Arriva l’infermiera, che con la solita delicatezza, sistema la flebo, e con voce sottile gli raccomanda di restare immobile per quanto gli fosse possibile: “Attento Pasquale, l’ago non deve muoversi, abbia pazienza!”

Con occhi vivaci dà uno sguardo alla bottiglia che riflette la luce del neon, conta le gocce del medicinale che scorrono lentamente.

“Che ore sono?”, chiede a Piera, seduta accanto a lui.

“Abbiamo appena iniziato, manca almeno un’ora prima che finisca la flebo”.

Pasquale, rassegnato, si osserva le mani sul dorso e sul palmo. Sembra voler dire a se stesso: quante cose ho fatto e quante ne dovrò fare.

Pensa che l’estate è vicina e che aveva progettato di trascorrere le vacanze al mare, come ogni anno.

Vuole tornare al paese, riposare, ritrovare i vecchi amici del bar, bere e parlare di politica o delle scorribande da ragazzi.

Conosce Piera dagli anni dell’università e non si erano più separati. Hanno studiato alla facoltà di lettere. I loro gomiti si erano sfiorati mentre stavano in fila nella mensa universitaria. Un momento di pausa tra una lezione e l’altra, uno scambio di battute, un primo appuntamento in biblioteca. Così era iniziato tutto in una giornata di autunno.

Le scalinate della facoltà erano il luogo dove trascorrevano molti pomeriggi a discutere, anche in modo animato, del governo dell’Italia, di questo o quel personaggio politico.

Si scambiavano idee e in un attimo progettavano le loro vite future. Si trovavano così uno difronte all’altra, il sole caldo autunnale scaldava i loro visi e dava energia agli sguardi e alle occhiate timide.

Avevano tentato di intraprendere una relazione sentimentale, ma al primo approccio erano scoppiati in una risata. Non si riconoscevano come una coppia, ma uno strano sentimento simile ad un affetto profondo li teneva insieme.

Da quel momento avevano condiviso molti momenti della vita.

Lui ha deciso, dopo la laurea di insegnare al Liceo. Aveva conosciuto tante donne, ma si ritrovava poi a scegliere la vita da single.

Lei ha iniziato a scrivere articoli di politica per riviste specializzate, nessuna relazione importante, aveva preferito viaggiare e non legarsi a nessun uomo.

Pasquale aveva scoperto di essere ammalato di carcinoma al duodeno dieci anni prima. Era stato operato e da allora il tumore non si era più manifestato. Aveva vissuto la vita di quegli anni nell’illusione che quella sorta di demone, che per un momento si era impossessato del suo corpo, fosse stato esorcizzato dalle tecniche alchemiche dei medici. Così all’improvviso una febbre, all’apparenza insignificante, era in realtà il segno del ritorno del demone.

Dà ancora un’occhiata alla sala, le postazioni sono segnate da separé, un continuo via vai anima l’ambiente.

Piera per ingannare l’attesa legge un libro, la copertina riporta delle scene di guerra e lo scoppio di bombe, sembra concentrata sulla lettura. Pasquale la guarda intenerito, sa che invece sta pensando a lui e non vuole mostrare la sua preoccupazione. È sempre premurosa da quando l’ha chiamata al telefono e le ha detto che aveva fatto delle analisi e visto il medico che gli aveva comunicato il responso: “signor De Luca, purtroppo le notizie non sono buone”. Così appone le lastre della TAC su un pannello luminoso e inizia a spiegare. Le parole del medico si perdono nel piccolo studio e nella mente di Pasquale risuona soltanto la frase: “è ritornato”.

Piera vive a Milano è una giornalista freelance, è subito corsa a Roma, ha raggiunto Pasquale. Un abbraccio, un sorriso e la sua dolcezza hanno riempito il momento in cui si sono incontrati.

Lei lo ha rassicurato solo con gesti e pochissime parole, così è stato sempre tra loro.

Nello stesso periodo Piera era stata contattata da un giornale romano per indagare su un caso di corruzione negli ambienti politici della capitale, aveva deciso di trasferirsi lì. Pretesto per mascherare la sua vera intenzione di stare vicino a lui.

Pasquale ripensa all’estate, alla vacanza e a Piera. Fissa ancora la luce del neon che diventa un tutt’uno con quella del sole che penetra dai finestroni della sala, il suo sguardo è rapito dal calore dei raggi e la mente ritorna al paese. È con Piera: sono seduti nel patio della sua casa al mare, guardano l’orizzonte, i loro pensieri si perdono e si confondono con un brano di Vivaldi “Gloria”, non erano particolarmente religiosi, ma questa melodia li avvicinava a qualcosa che assomigliava alla spiritualità e che li univa profondamente. Così come avveniva sempre i loro sguardi si incrociavano e sembrava che le loro anime si fondessero.

Piera si lascia riscaldare dal sole, è nel patio, anche se è ottobre sembra estate: è sola guarda tutt’intorno, si rassicura che le finestre siano ben chiuse, chiama Antonio il ragazzo che si occupa della casa da quando Pasquale si è ammalato, per consegnargli le chiavi, gli raccomanda di fare un giro di controllo che tutto sia a posto proprio come voleva Pasquale. Intanto lei entra in casa, passeggia per le stanze, arriva nello studio, si siede alla grande scrivania, dove lui amava dedicarsi ai suoi studi e alle letture, ancora libri sparsi qua e là: Pirandello, Verga e Pasolini. In un angolo nota un quaderno con una copertina con un paesaggio marino, lo apre, legge il suo nome “Piera” e un sottotitolo “La nostra amicizia”.

Piera ha come l’impressione che da un angolo della casa risuoni come un’eco la loro melodia: “Gloria, gloria, gloria in excelsis Deo”.  Piera sorride, le ritornano in mente i pomeriggi all’università: loro due ragazzi, gli occhi limpidi di entusiasmo e di passione, le mani che si sfiorano e solo ora comprende il rapporto con Pasquale: si erano amati tanto.

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